Volontà - anno XIX- n.8-9 - agosto-settembre 1966

vengono qui alla mcnlc due filosofi e.li gn111dc ::. meritala fama, che furo– no cntr~mbi dilettanti, cioè non pro– f.;:-ssionìsti, negli studii filosofici in cui emersero, ma ebbero una vita co– sì dispa1·ata sul piano sociale: Spino• za e Leibniz. E' lecito se non altro nu– trire d~i dubbi se il primo, qualora avesse goduto della sicurezza econo– mic.:i. che godevano in quel tempo i professionisti (oggi le cose sono cam– biate i11 peggio), ci avrebb::: regalato la sua Elhica more gcomclrico demon– slrata; e se il secondo, nel caso che il prr)fcss:onìsmo a,•csse alimentato n-:1 suo animo la noia che automaticamen– te arreca sempre la professione, avreb– be dato alla luce la sua Teodicea con la Monadologia e la ben not.:i. teoria dall'Armonia Prestabilita. E forse la professione avrebbe vincolato spiri– tualmente il filosofo tedesco da non trovare neppure il tempo di favorire i st:ci contemporanei e i posteri con quel capolavoro della matematica su– periore ch'è appunto il calcolo diffc. renzial~ e integrale (infinitesimale). Non vuol dire se Newton, indipenden– temente da lui, ci diede la st è!SSaco– sa. E di Galileo ,costretto ad insegna– re ai s:.1oi scolari, a Padova l'Almage– sto di Tolomeo e la fisica d'Aristote– le, che egli sapeva erronei, che cosa diremmo mai? Ma C altresì vero che Kant, Fichte Schelling,. 1-legel, nonchè Schopen– hauer, che ambì così fortemente la professione di filosofo e non poté su– perare b libera docenza, ci procura– rono delle cose geniali, pur professan– do. Sì, p~rchè riuscirono a staccare, probabilmente con sforzo e sacrifi– cio la loro posizione di professionisti dalla !ero capacità di filosofi dileltan- 528 I! per mettere questa in efficienza. 11 -.acrificio V<:!nneallora rimpiazzato dal piacere, dal diletto, dell'invenzione. Ma quanti sono coloro che potrebbero fa– re di più se non avessero l'attrazione della quiete professionale? Concludiamo quindi col dire che la cultura potrebbe superare la tremen– da crisi in cui si 1rova se il cattedra– tico svolgesse sì dalla cattedra la sua opera istruttiva ed educativa senza far sì che lak suo lavoro non finisse, come finbce il più delle volte, per diventare una fastidiosa diuturna ri– pc1izione. Esso dovrcbb::, invece, ave– re un seguito in sede d'invenzione o, se non fosse- possibile ciò, almeno di godimento intc1·io1·e e spirituale del sapere, godimento che non rimarreb– be sterile ma farebbe presa anche su molli discenti. Dal canto suo, il dilet– tante dovrebbe cercare con tutte le sue forze di disciplinare sè stesso 1·iu– scendo poi a convincè!rsi che la pili grande soddisfazione, e quindi il mag– gior dilette, non sta nel puro e sem– plice pi.:-icerc del fare per obbedire ad un'innata disposizion ~ in qualche scienza cd arte, quando non sia per passare piac~volmente il tempo, hen– sì nel trionfare degli ostacoli, nel su– perare I:: difficoltà che qualsiasi cos~ presenta. Discirlina di sè dall'una parte e dal– l'altra, giacchè questa farà sì che le piaghe dei professionismo e del dile1- tant ismo scompaiano, facendo suben– trare all'odierno disprezzo del profes– sionista verso il dilettante, e vicever– sa, la comprensione e l'amore dell'uo– mo ,erso l'aliro, nell'acquisita coscien. za d'un lavoro in comune, che solo può essere realmente proficuo. REMO FEDI

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