Volontà - anno XIX- n.2 - febbraio 1966

fu così che la Grecia disperse la sua potenza dietro l'orda Macedone di Alessandro alla conquista effimera di Assiria e di Babilonia e si preparò a ce• dere il campo al dominio di Roma. La sua vera grandezza poggiava sul pensiero dei suoi filosofi e sulla nobiltà creativa dei suoi artisti: Socrntc, Platone, Aristotile avevano stabilito le basi fondamentali della filosofia che, nella natura, indagava il significato della vita; Ippocrate di Coo aveva studiato l'uomo nel suo complesso psicosomatico e ave– va creato 1c fonti prime della medicina moderna. L'arte e la scienza erano onorate come un lustro nella vita sociale della Grecia, ma non avevano avuto alcun potere determinante a fianco del mondo politico regolatore e guid,1 della organizzazione sociale e dei rapporti con gli altri popoli improntati fin d'allora alle gare di predominio. E si può anche af– fermare che fin dalla antichità si prospettò un disquilibrio di concezione e di azione fra le due forze componenti di ogni comunità che potremmo classificare, in sintesi, come quelle dei governanti e dei governati. Mentre infatti il mondo dell'arte e del sapere si studiava di indagare i pro– blemi della nobiltà creativa e dell'indagine dando la prova di un allo Jivello di civiltà di un popolo e la misura della sua grandezza, il mondo politico mostra– va invece di avere a tal proposito una concezione sua e ben più materialistica e limitata. Esso si studiava di codificare diriui e privilegi, e vedeva ragioni di gran– dezza solo nelle guerre di sopraffazione sui popoli vicini e di aJlargamento dei suoi confini o, comunque, del suo predominio. li concetto di patria è ben più antico del concetto di nazione ma fin d'allo– ra si deve a questa concezione di governò l'immagine conturbante di una patria da difendere contro tutti e da ingrandire in ogni modo. Nasce proprio da questa errata impostazione originaria la figura assurda e antisociale dell'eroe vista soprattutto nell'incidenza di una grandezza derivante a ciascuno dalla misura del suo coraggio nelle imprese di violenza verso i pro– pri simili, militanti sotto diversa insegna. E la figura dell'eroe cadde ancor più nei secoli in questo concetto di violenza tanto che si arrivò a celebrarlo esten– sivamente dagli atti di coraggio offensivo anche tra fazione e fazione fino alle imprese ancor più odiose degli eccidi in massa e indiscriminati dell'ultima guerra. La storia di Roma rifà, in certo senso, la parabola di Atene poichè, nei mil– lenni, si ripete sempre l'aberrante concezione politica della grandezza in funzio– ne di potenza. Rammollite dal successo e decadenti nei valori morali, esse hanno finito sempre per cedere all'arbitrio degli invasori: Roma si impose con la distruzione e l'asservimento dei popoli e, dalla caduta di Atene, assorbì la civiltà della Gre– cia. Seppe certo dare il suo contributo di intelligenza e di pensiero ma anche essa aveva in sè lo stesso tarlo del suo mondo politico che, assunta la regia della vita sociale, nei quattro secoli del suo dominio europeo, nelle spese del~ 93

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