Volontà - anno XIII - n.11 - novembre 1960

vigoroso, grande, grosso. Già in cabina facevo compassione a me stesso, e non soltanto di fronte a Te ma di fronte a tulli perchè Tu eri per me la misura di tutte le cose. Quando poi si usciva fuori in mezzo alla gente, io condotto per muno, uno scheletrino incespicante a piedi nudi sul ta– volato, pauroso dell'ac(1ua. incapace di imitare i movimenti di nuoto che Tu, con buone intenzioni ma con mia profonda vergogna, non Ti sta 11• cavi di mostrarmi, allora ero proprio disperato e tutte le mie peggiori esperienze in ogni campo in quel momento, concordavano spaventosa– mente. Era meglio quando, a volte, Ti spogliavi per primo e io potevo indugiare nella cabina a rinviare la vergogna della comparsa in pubblico finchè Tu non venivi a vedere e a tirarmi fuori. Ti ero grato 1>erchè non mostravi di accorgerti della mia angoscia: cd ero orgoglioso del corpo di mio padre. Del rcslo questa diversità sussiste Ira noi ancora oggi. Alla Tua superiorità fisica faceva riscontro quella spirituale. Tu Ti eri ir.malzato con le Tue sole forze, di conseguenza ave,,j una fiducia illi– mitata in Te stesso. Pcl' il bambino ciò era meno evidente di quanto non lo fu per il giovane che si faceva adulto. Dalla Tua poltrona Tu gover– navi il mondo. La Tua opinione era giusta, ogni altra era assurda, stra– vagante, pazza, anormale. La Tua sicurezza era cosi grande che potevi anche essere incoerente e tuttavia non cessavi di aver ragione. Accad'eva anche che su certe questioni Tu non avessi opinione alcuna, e allora tut– te le opinioni possibili intorno a quel tema dovevano essere sbagliate senza eccezione. Per esempio insultavi prima i cechi, poi i tedeschi, poi ancora gli ebrei, e ciò non a proposito di a1euuchè iu particolare, ma sotto tutti i riguardi, tanto che alla fine Tu solo rimanevi. Acquistasti ai miei occhi un alone misterioso, come tutti i tiranni, il cui. diritto si fonda sulia loro persona, non sul pensiero. A me, almeno, pareva così. In verità succedeva con straordinaria frequenza che contro me Tu avessi ragione; discorrendo era ben naturale, pcrchè raramente si giw1- geva a nn dialogo; ma era così anche di fatto. In questo non v'era nulla di incomprensibile: tutti i miei ragionamenti subivano la Tua grave pres– sione, anche quelli che non concordavano coi. Tuoi, anzi, quelli soprat• tutto. Il mio pensiero, in apparenza da Te indipendente, era gravato a priori dal Tuo giudizio contrario; sopportare questo peso fiuo allo svol– gimento completo e definitivo del pensiero era quasi impossibile. Non parlo qui di idee sublimi, ma di tutte le piccole imprese dell'infanzia. Bastava essere felici per qualche cosa, averne l'animo pieno, venire a casa ed esprimerlo, e la risposta era un sospiro ironico, un crollare del capo, un tamburellare delle dita sul tavolo: s'è già visto qualcosa di meglio». Oppure: « ho ben altro da pensare io! » O anche: « son tutte qui le tue preoccupazioni? » O invece: « e che te ne fai? » O infine: u senti che avvenimenti! >}. Certo non potevo pretendere che Ti entusia– smassi per ogni bambinatP, mentre poi vivevi tra crucci e fastidi. Non di questo si trattava. Ma del fatto che 'l'u per la Tua indole contradditoria, inffiiggevi sempre e per principio al bambino simili delusioni, e così que– sto spirito d'i contraddizioni si rinforzava sempre piì1 tanto che alla fine 697

RkJQdWJsaXNoZXIy