Volontà - anno XIII - n.4 - aprile 1960

61a modifica seguirà In strada inversa. L'operaio aggiunge perciò sulla sua bolla il tempo supplementare, la consegua al caposquadra che ricalca a penna quanto l'operaio ha scritto a ma1iia, e 6rma sotto; infine il mar~ catempo verrà a controllare tutto aggiungendo la sua firma. Invece il nostro operaio dopo avere sostitnito <'ronometristn, caposqua– dra, tecnico caporeparto, riprende il suo posto dnvnnti alla macchina. Per esperienza sa benissimo che tutte le irregolaritì1 che ha commesso gli saran– no perdonate se la cosn va bene: in caso contrario le sue iniziative gli rica– dranno addosso, come un boomerang che sbaglia obiettivo. Se la cosa non va possono rimproverargli o di non essersi dato da fare o di n,•ere sba– gliato nel darsi da fare. Ma diamogli, comun<1ue, fiducia: se è capace, nel luvoro di dimostrnre che non è un automa, snpril nuche dimostrarlo <1uando qualcuno verrà a piantargli la grana. . . . . . . . . . . . . La 1>ropaganda comunista attorno nl problema delle prospeuive di di– soccupazione e di recessione colpisce molto lo spirito degli operni, ma la paura che ne vien fuori an:dchè esprimersi in collera giustifica lo stato di pnssività uel qunle permangono. Benchè i volantini della CCT pongano come rivendicazione « le 40 ore pagate 48 >), quasi tulli considerano questa possibilità come una vera utopia, una cosa che non si ,,edrà mai. Adesso, piì1 nessuno, o tiuasi, ritiene che i solari possano esst"re amuentali. Nasce <1uindi, In paura del ))cggio. Se parli di rivendicazioni, qualcuno dice, magari dietro la tua schiena: « Lui se ne fregn della disoccupazione, sua moglie lnvora ... >>, oppure: << Lui è senza figli ... Stn benOne, lui. .. » Cre: dono che tu fai apposta a negare In prospettiva della disoccupazione per meglio rim1>roverare agli altri la loro passività. La paura della disoccupazione diventa un buon pretesto. L'ostenta. zione delle nostre miserie personali sostituisce le azioni rivendicative. La voce rnssegnnta di un compagno ripete per l'cnncsirua voltn: « Siamo nella merda ». « E non siamo capnci di uscirne». Un buon diavolo ri– prende: « !'ion si riesce nemmeno n mangiare ». No, questo qui esagera, ma se vai n dirglielo si offende. La miseria deve per for-1.:a venir rappresen– tata con la denutrizione, altrimenti non è piil la miseria, e se non è pil1 la miseria ,,uol dire che stiamo bene, e se stiamo bene non c'è nessuna ra– gione perchè ci si debba lamentare, e naturalmente nemmeno per opporci a quello che succed·e. Dire che si sta male, esagerare questa disgrazia fino all'assurdo, è una protesta, una (uga. Le cose che afl'e1'ma quel buon dia– volo, le ha tirate fuori dalla propaganda sindacale o dalla letteratura bor– ghese. Ha rinnegato la propria realtà e i propri problemi perchè è stn10 portato ad accettare la condizione dell'operaio. Da Victor Hugo alla « Vie Ouvrière » tutti hanno cercato di semplificarlo fino a non essere altro che un tubo digerente. E allora si capisce come, con lenti di questo genere, l'operaio sia ))Ol'– tato a considerare soltanto le prospettive immediate; ma dato che in pra– tica da mangiare non gliene manca, gli rimangono solo due cose da fare:. 274

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