Volontà - anno XIII - n.4 - aprile 1960

salva, se non si salva l'anima socia– le ». (Keir Hardie), nella quale « vi– viamo, ci muoviamo e abbiamo H nostro essere ». Il diritto di opporre .un « no » alla guerra e alla coscrizio– ne non può emanare soltanto dal ri– fiuto della coscienza individuale di degradarsi e disumanizzarsi. Pili ni– to ancora sovrasta il rifiuto di causa– re la proCanazione, la disumanizza– zione, In disperazione di diecine e centinaia di milioni di nobili esseri umani onesti, gentili, amabili e a– morevoli che si sforzano, in coudi– zioui normali, di mantenere il loro equilibrio morale, ma che dalla pio– vra della guerra sono afferrati con mille tentacoli e trascinati giit nel vortice, tra le rovine, gl'incendi, il Iango, la perdita dei loro cari e dei beni - condannati i supcrsliti a una vita di dolori e miseria; il rifiuto di udire le urla delle vittime di tan– te Hiroshima, imprecanti ai demoni scatenati dalla guerra, maledicenti alla vita e all'Autore della vita. E' perciò che noi neghiamo la guerra e tulio ciò che alla guerra conduce e coopera: la guerra, negazione del di– vino nell'uomo. E Cucciamo nostro il proclamn <lel– Jn Convenzione Panaustraliaun della Pace. cc I negoziali debbono soppia,1,– lare la guerra: pere/tè non esistono contrasti fra nazioni che non possa– no essere appianati con pa:ienti ne– go:iati ». Fa quel che de,·i Molto si ò parJato del potere mi– cidiale che le bombe atomiche e al– l'idrogeno avrebbero, qualora fosse– ro lanciate, pioggia atomica di mor- · te, sui nemici del nostro paese; ma non abbastanza di ciò che, da parte nostra, significherebbe il fare uso di queste anni micidiali contro gli altri. Sembra anzi, ai lliì1, natura– le, quando sorge questn questione, di riconoscere che è assai meglio che distruggiamo noi gli al!ri Ji quello che gli altri distruggano noi. l\ta il pacifista rigetta completamente que– sta valutazione. Infinitamente me– glio sarebbe, per lui, che il suo pae– se, con sè stesso, la sua lamiglia, la sua casa, i suoi amici fossero le vit– i ime di sì diabolica strage anzichè esserne i carnefici. E questo llerchè, per lui, l'evitare di fare il male e lo sforzarsi ardentemente di praticare una morale superiore è un dovere u– nilaterale. lo debbo, la mia nazione deve, compiere ogni sforzo per ope– rare ciò che è giusto, indipendente– mente da ciò che foranuo gli altri. Non possiamo noi pretendere che gli altri rinunzino al male prima che vi rinunziamo noi; che essi smettano di fabbricare bombe atomiche prima che smettiamo noi. E il pacifista riprova anche ener• gicamenle l'asserzione che « i prin– cipi del Cristianesimo non possono applicarsi integralmente ad una si– tuazione, a meno che ambedue le Jlarti non li osservino »; che cioè i principi del Cristianesimo funzioni– no soltanto quando ambedue le par– ti in un conflitto sono e si comporta– no da Cristiani. Questo paradosso e– quivale per un pacifista a dire: « Io non posso agire da Cristiano se pri– ma Stalin, o altri, non agisce lui da Cristiano»: solo allora io seguirò il suo buon esempio di Cristiano e sa– rò Cristiano anche io. Sicchè, la re– sponsabilità del com portarsi da Cri· stiani sarebbe scaricata dalle spalle dei Cristiani e trasferita sulle spalle dei non-Cristiani. Quando i Comuni• 219

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