Volontà - anno IX - n.5 - 1 settembre 1955

gnoli che vive~umo e portammo il nostro granello di sabbia al sommo– vimento sociale di emancipazione che ebbe luogo in Spagna, sentiamo nostalgia di quel passato, e ne1la no. stra azione propagandistica e di rie– vocazione, infondiamo tutto il calo– re del nostro spirito, in un modo però che l'effetto non sia circoscrit– to al provinciale. Perchè raggiuuga l'alto intento di opera di giustizia è necessario che gli amici della giu– stizia dell'uno o dell'altro continen– te vi pongano mano. Dobbiamo rallegrarci che qui e là si trovino compagni desiderosi di diffondere intensamente ciò che fu realizzato in Spagna co) sorgere de). la rivoluzione H 19 luglio 1936. C'è da essere ottimisti che compagni CO• me Fedeli in Italia, e il conterra– neo Lapeyre in Francia mettano tut– ta ]a loro volontà nel propagare _gli insegnamenti che si apprendono dal 1>eriodosommariamente rievocato in questo articolo. FONTAURA UN NUOVO SINDACATO t nato, .$empre ir1 Italia, un nuot10 mo.Mro: il Sindacato promouo ed aiutaio da un µudrone dell'industria, il Movimento Si11dacalc ciae, auspice e probabilmente mecenate l'i,ig, Adria.110Olivelli, /ia fatio le !Uu prime pro-ve nella fabbrica Olitll!tti di Ivrea e ~,a ora tenttmclo i primi pa"i anclie in altre città ed altre aziende. La buona-volontà penonale d'un tale padrone e la sua buona fede sono CO.$Ì ovvie che par irwrile ria.iermarle. Ma sì è bene rilevare che illusione pericolosa tut1a11iaegli ,·ipresenti in nuova forma: l'illu&ione che ad uomini e donne cliiusi entro la prigione clella u condizione operaia» faccia ciel bene l'aiuto di chi di 1ale condizione, in. fondo si ,:iova, 1rae,1doda eua i ~uoi profitti, accettandole come inevitabile nelle condi:ioni date. Cli operai - dell« Oliveta o d'altre fabbriclae - impareranno a. ballersi solo ren– dendosi conto nell'azione (nell'a:ione spontanea, con i suoi rW:lii) che la loro fabbrica, pur tanto meglio costruita ed impiantata ed o.irenle tante pii, «facilitazioni• ai suoi lauoratori oltre che migliori salari, è anch'eua una prigione. E che battersi contro di e.ua equivale a dire ai padroni delfu fabbrica (cl1e non son solo l'ing. Olivetti, anzi egli è proprieuvio wlo d'un« c1uota di minoranza: ma è pur lui che rappreJenla l'in– Jieme): noi vogliamo più del buon salario o della m,u.sicanel reparu, di lavoro o del– l'assàMen:ame,lica eOettir,'Qo dell'asilo per i nostri bimbi. Noi vogliamo libertà, poui– bilitù d'amare il nostro lavoro: cioè ruodificl1e radicali dei proceui di fabbrictnione per cui nessuno sia più. servitore d'waa macchina, cirucuno senta la macchina Jua serva. (Il che equivale a dire, in termini oliveuiani: vogliamo che la fabbrica diventi una nostra e<>munuà). Con ciò non chiederebbero una rivoluzione. Vi son capi1alisti (la I. B. C. americana, ad eJempio) che sià sono su <1uellastrada, e non per filantropiJmo ma percl1è (tra l'al– tro...) trovano cl1e ,lando all'operaio medio una ,,uolclie possibilità di peruare ed amare il proprio lavoro egli produce di più., il suo prodotto viene a costar meno. Ma reJistere alla tenttnione del Sindacato nascente dall'ispirazione illuminata d'un. padrone è, più jemplicemente, cl1iedere cl1e non si coltivino illusioni, 227

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