Volontà - anno VIII - n.11 - 15 marzo 1955

te e le rovine dove abitano ancora esseri umani; la convivenza in uno s1>azio ridottissimo di uomin'i e di animali; l'elemosina di danaro, data come compenso, al raccoglitore di castagne nei monti dell'Irpinia. E' innegabile che in tutti i campi le capacità costruttive del •popolo hanno fatto dei miracoli. La fabbri– ca, l'officina erano costruite con dei mezzi di fortuna; ]e prime locomo– tive venivano estratte dalle macerie e qualche volta messe insieme con dei rottami; uomini si mettevano sotto l'aratro perchè mancavano di bestiame e coltivavano la loro terra. Tra difficoltà incredibili si è mes– so in funzione le ferrovie (ed i tre– ni arri\•arono ben presto allora an– che senza Mussolini!); si è riusciti a dotarle via via di treni più comodi e persino di lusso, e questo è più che troppo perchè è un insulto alla mi– seria. Della capacità e della volontà di fare del 1>opolo italiano, ne!!suno può dubitarne. Ed il magnifico sfor– zo di ricostruzione ne è una testi– monianza luminosa. l\fa i ricchi, i proprietari delle fabbriche, delle officine, i padroni del vapore, così come li ha ben de– finiti E. Rossi, che cosa hanno fat– to 1>erla ricostruzione? Da buoni patrioti hanno aspettato, prima di alt ingere alle loro borse, di essere certi che lo Stato - grazie al ·danaro americano - assumesse su di sè il peso della ricostruzione. In questo modo erano sicuri, dato il periodo caotico che attraversavamo ed in cui tutto poteva accadere, che se gli affari fossero andati ma1e, non avrebbero perduto niente del loro, 660 se invece fossero andati bene avreb– ·bero intascato gli utili. Ed è certo che se lo Stato non fosse corso in lo– ro soccorso. essi avrebbero avuto un altro modo di dimostrare il loro a– more all'Italia, trasferendo all'este– ro i loro capitali, c trovando al lo– ro danaro un impiego redditizio. I ricchi hanno dato prova, davanti alla miseria ed alla sofferenza del popo• lo, di un egoismo feroce e di una sor– dità morale impensabili. Hanno di– mostrato che, passata la paura avu– ta durante la Resistenza, erano sem– pre gli stessi lupi .famelici, con la stessa bramosia di danaro. Officine furono chiuse perchè non considera– te abbastanza redditizie, (abituati com'erano ai forti guadagni deUa 1>roduzione di guerra); a1tre rimesse in moto senza le trasformazioni che sarebbero state necessarie per ren– derle più efficienti o per 1>repararle ad una produzione di pace. II risul– tato fu che migliaia e migliaia di quei lavoratori, ammirati da tutti per quello che avevano dato alPope– ra di ricostruzione, furono messi alla porta e quelli al lavoro dovettero ac– contentarsi di salari d,i fame. Bisogna dirlo, perchè il tacerlo sa– rebbe una vergogna, il salario che si dà al lavoratore italiano è gene– ralmente il -salario della paura. Del– la paura di essere messo alla porta, potendo il i>adrone trovare sempre tra i due tre milioni di disoccupati, da sostituire chi protesta o chi si rifiuta di lavorare per una misera paga. « Gli illegalismi e gli arbitrii del– la classe padronale, hann-0 raggiunto /orme intollerabili (e) la miseria e la disoccupazione determinano la paura della perdita del lavoro, eh"

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