Volontà - anno VIII - n.11 - 15 marzo 1955

più perfooloso dell'altro perchè esso porta a discreditare rapidamente il movimento presso la gente sensata, e conduce ad un incremento assurdo di demagogia, ad una megalomania che non potrebbe trattenere che gli imbecilli o i 1>azzi. Ad ogni comparsa del giornale, si gioca alle oche ca– pitoline: si « mobilizza ]e masse», si grida ali' assassinio, alla guerra, al fascismo, alla sommossa, al soccorso, alla lotta finale, proprio quando non accade niente, così come si avvertirebbero i pompieri per burla. Quanto al giorno in cui accade realmente qualchecosa, si constata, ge– neralmente, che gli stri11oni di slogan sono scomparsi, a meno che ~li at– teggiamenti non si trovino « invertiti ». In questo caso gli « o?ganizza– tori » riconoscono improvvisamente che non c'è « niente da fare >1, se ne « disinteressano», si «arrangiano», cambiano di spalla al loro fucile o seguono docili la discesa dell' obbedienza e del conformismo governativo. Sono i dilettanti - i cinici o i contemplativi - che escono dal ]oro studio o dalla « torre d'avorio». Al richiamo irresistibile dell'azione, nei momenti in cui tutto ridiventa possibile, i militanti. e gli agìtatori, stanchi sono so– stituiti dalle forze vergini dei non-organizzati. Decine, centinaia di nomi si presentano alla mente quando si pensa, per es. ciò che fu il comportamento rispettivo dei «politici>> e degli « apolitici » di fronte alla rivoluzione popolare spagnola. Ne ricorderò uno solo: Camillo Bcrneri. Questo vagabondo ideologico nei sentieri della psico– analisi, aella psichiatria, della filosofia, della religione, dell'erudizione storica, della poesia intima e di altre futilità d.i alta cultura, ha dato alla « guerra di cJasse » in Spagna, durante dieci mesi, da diciotto a venti ore al giorno di lavoro intenso, al di ]à delle forze umane, finchè gli as– sassini di Stalin gli regolarono il suo conto, vedend-0 in Jui la coscienza chè essi ,•olevano uccidere. Se fosse necessario scegliere, io sceglierei, dunque, il dilettante, che nel.le grandi ore s'improvvisa servo e combattente della causa che egli ama, che le dà la sua salute, la sua sostanza e la sua vita, al lecnico del– l'agitazione a vuoto e del combattimento verbale foori tempo, che troppo spesso in caso di successo non pensa che approfittare al massimo delle gioie egoiste che egli stima dovute alle sue lunghe fatiche, o se le cose vanno male, a tirare la castagna dal fuoco in un modo più o meno elegante. Detto questo,' io penso che sta nel « giusto mezzo » la migliore risposta alla òomanda che io ponevo al principio di questo studio. No, il liber– tario non deve nè può disinteressarsi di ciò che accade nel mondo e che si riassume in quel grande fatto politico ch'è l'oppressione dello Stato sul– J'nomo. No, il libertario non deve e non può perdere per molto tempo di vista che la sna vita privata, la sua intimità intellettuale e morale è compromessa e minacciata ad ogni istante dall'inquisizione, da1l'invasione penetrante - a volte accompagnata da promesse cd altre volte da minacce, a volte ciecamente brutale - dei poteri. . Ma la reazione del libertario non può essere quella di entrare nel gioco dei poteri rivali, di confondere ]a 1otta contro il governo in fun- 610

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