La Voce - anno II - n. 55 - 29 dicembre 1910

474 LA VOCE anima, ch'è il divino archetipo della sua arte, cosi nel voi urne del le sue poesie noi troviamo forse l'espressione più interessante di lui, un'espressione che ci permette di discen– dere nel suo profondo assai più di quanto altro abbia egli creato, col pennello o con lo scalpello, nella sua lunga carriera d'artista. Il. L'arte sua - fu notato più volte in ogni tempo, e di recente riaffermato con disin– volta prontezza di fantasia dal Borinski, e fra noi con perspicace serietà da Arturo Fa– rinelli - si risente fonemente dello spirito dantesco: e motivi danteschi ricorrono sulla parete del Giudizio universale, come sulle volte della Cappella Sistina. L'osservazione è giusta : essa è, in gran parte, una con– statazione. Certo nell'anima di Michelangelo il canto di Danle si ripercosse con gran– dezza di echi, con accompagnamenti di im– magini austere ed eterne, con prolungamenti di terrori, di collere, <l' invocazioni e di pre– ghiere. L'anima in cui aveva tuonato la pro– fetica esortazione di Savonarola, non poteva restar sorda al gran canto che due secoli prima aveva ~!traversato l'infinito deponendo il fiore della vita umana alle soglie di Dio. Michelangelo senti nei ritmi e nelle geome• triche proporzioni della Commedia, la nega– zione del limite e la presenza del l'Eterno, e potè certo ripetere, con serietà che c'impone l'adorazione e ci punge quasi di pianto, ogni verso del poema, sacro certo nella sua anima. Ma era egli veramente un fratello spirituale di Dante? I ravvicinamenti che si son fatti fra la ter– ribilità dantesca e la terribilità michelangio– lesca, fra lo sdegno del poeta e l'ira del– l'artista, non bastano a persuadercene. Sono due vette cosi alte che toccano lo stesso cielo; la comune grandezza li fa assomigliare per chi li guardi dalla pianura. Ma se soltanto ciac• cingiamo a salire la faticosa erta di quelle anime, avvertiamo immediatamente la diffe– renza del sentiero. Entrambi hanno sentito con dolorosa intensità tutto il tragico della vita, tutto iI misterioso del mondo : ma mentre Dante reagisce all'oppressione dell'oggetto ed impone alla materia del mondo la sicura e salda sua forma spirituale, Michelangelo resta invece perennemente tormentato in un' aspi– razione alla forma che pienamente mai non s'appaga: perciò mentre il rrimo è un vitto– rioso, il secoçdo è soltanto un combattente. Questa differenza è, in parte, la differenza dei tempi, e si cadrebbe in esagerazione o in er– rore se si pretendesse farla risalire tutta intera alla dissomiglianza delle anime. In– fatti, la concezione filosofica che nella C~m– media governa il mondo, decade rapida– mente dopo Dante - e quasi sparisce. Spa– risce insieme - ed è il più - l'armonia della vita nelle sue manifestazioni diverse; si spezza l'unità del mondo; nasce la duplicità e la contraddizione che poi $i svolgeranno, con varietà grande di forme e di casi indivi• duali, attraverso tutta la storia moderna. E Michelangelo copre con la sua lunga vita un periodo nel qual.i il dissidio proprio del l'età moderna scoppia dovunque, e diventa il tono fondamentale, la nota dominante di tutta la storia. Egli non potrà dunque essere il poeta dell'armoniosa unità unh·ersale che si sovrap– pone al moto irrequieto degli uomini e delle cose, dominandolo, così come Dio domina il mondo. E sarà invece il poeta che esprimerà l'anima umana dilacerata e contrastata da principi opposti - e la sua voce dirà, non già l'impero ed il trionfo. bensl l'angoscia e P invocazione. Ma pur tenendo conto della enofme diffe– renza dei tempi, la poesia di Mi~helangelo ci rivela una profonda ditferenza fra le anime dei poeti - differenza che bisogna cogliere e determinare se si vuole intendere, ad esem– pio, come mai la terzina dantesca abbia un accento ed nn colore poetico cosi diverso dal sonelto del Buonarroti. Ora la differenza fra i due grandi spiriti, in quanto non è differenza di cultura e di tempi, consiste sopratutto in questo: che, mei1- tre Dante è una volontà militante, Michelan– gelo è una volontà in forma1.ione e in affer– mazione, un voler volere che non riesce a trasformarsi in un volere puro e semplice, ed attraversa tutta una lunga vita, e la riem– pie di una cosi tremenda tensione, che il poeta stesso ci sembra talvolta un dannato che si di\'incoli disperatamente sulla parete del giu– dizio universale. Vorrei voler, Signor 1 quel ch'io non voglio .... Ed il pregio particolare delle poesie di Michelangelo sta in questo: che mentre nelle sue sculture e nei suoi dipinti egli è, oltre che sè stesso, in gran psrte l'uomo del suo tempo e della sua cultura, si che tah·olta lo troviamo circonfuso di spiriti platonici e dan– teschi, nelle rime invece egli è sopratutto sè stesso - ed attraverso un velo tenuissimo noi scorgiamo il palpitare del suo cuore messo a nudo, e le contrazioni della sua anima che s'accompagnano al ritmo poetico. Non è l'opera di Michelangelo, ma è Mi- chelangelo stesso che ci sta dinanzi. .. E perciò, nonostante le stranissime incon– gruenze formali, e talune non attraenti singo– larità, a cui s'accennò in principio, le rime di questo sublime scultore e cercatore di anime sono adorne di una così vaga bellezza poetica, che tall'olta il cuore sobbalza ad un verso, e lo spirito ha dei moti che ci portano più ad– dentro e più in alto nella vita. Ciò che ci è apparso prima come imperfetta e singolare struttura, lo sentiamo poi come castità di forma: castità che rispond~ ad una divina umiltà Ji spirito, e rammenta la sobria purez· za, tutta interiore, dei disegni del Buonarroti. E le rime, accanto ai disegni, c' introdu– cono veramente nell'intimo spirito dell'artista - più interne dei disegni, perchè esprimono l'animo direttamente, fuori del simbolo; più esterne perchè fatte di parole che suonano - ma la parola di Michelangelo cerca quasi di far dimenticare la propria esteriorità letteraria, teme il rumcre e quàsi rifugge la proposi– zione e il periodo. Di qui nasce la forma dif– ficile, accidentata e scontorla: essa è il prezzo con cui questa poesia si affranca nettamente dalla tradizione umanistica e classica, e vale di per sè come poesia che non è letteratura, come espressione eterna di quella realtà eterna che è lo spirito ( 1). III. Nello spirito del Buonarroti la caratteristica più impressionante è lo sfor{O. Accanto alla maravigliosa e feconda altività creatrice del– l'artista, che rappresenta la spontaneità in,en– tiva in uno dei più alti gradi mai raggiunti da uomo, sta una natura morale travagliata da u~ sostanziale malcontento eh' è stimolo a dominare ed a salire: a dominare la natura, sia pure nella più alta delle $»e manifesta– zioni, ch'è per l'artista la propria realtà di creatore, a salire verso un mondo di li)>ertà che sfugge al simbolo, che non si lascia rac– chiudere in forme, e che si arresta in una forma un solo attimo, per poi sorpassarla e spezzarla. È l'odio del limite che s'accom– pagna all'aspirazione verso I' infinito e l'e– terno. Nulla è più commovente di questo fame- lico ricercatore del I' inrnito, che ha sortito da natura il dono della più finita delle arti: la Scultura. li dono ha magnificenza regale; ma a lui deve sembrare talvolta squallido di un'opprimente miseria - è la catena dello schiavo impotente. In un sol punto, rapido ed evanescente, è la coincidenza fra il contenuto e la forma nell'arte michelangiolesca - e già in' quel punto si sente che lo spirito sta per -supe– rare la propria creazione, l'essenza sta per rompere l'involucro. Di qui viene quel moto, tutto interno, che noi sentiamo in ogni forma michelangiolesca, anche nelle pii1 au– stere, ed apparentemente immobili. Talvolta lo spirito che aspira ali' infinito, muove oltre prima che l'opera sia compiuta - il passo è rapido, e non comporta il necessario indu– gio. Talvolta que$t0 < muover oltre » rimane in qualche modo ad adombrare l'opera inter– rotta, come nei Prigioni incompleti - ed allora la scultura stessa, assorbendo in sè il fatto a lei esterno di non esser giunta a termine, (1) 11 T11ovEz ha commesso un grave errore d'omissione, dimenticando il posto ed il signifì. cato cli ~tichelangelo nella. storia della poesia italiana. BiblotecaGino Bianco sembra esprimere l'infinito. È il Michelan– gelo incompleto - ed in questo sta il suo valore: che l'accidentalità dell'incompiutezza non è più tale, ma prende un tal senso che tocca nel profondo la vita dell'artista. Ora questa necessità di esprimere il moto per l'immobile, lo slancio per la calma, eh' è inseparabile da qualunque rappresentazione del disegno, - e l'anima per la pietra, ch'è il destino proprio della !tatuaria - genera ancora lo sforzo, uno sforzo di congiunger termini incongiungibili, che s'aggiunge all'al– tro tutl' interno che spinge l'uomo, oltre sè stesso, verso I' infinito - e dà alla figura di Michelangelo un doppio travaglio, interno ed esterno, nella realtà metafisica e nell'arte. È da notare che nella poesia I' impaccio della materia bruta è grandemente •diminuito ; là pertanto il movimento è prevalentemente in– terno e si diffonde senza contrasti tecnici per le parole. Sta in ciò il valore estetico tutto particolare che ha la poesia in confronto con l'arte propriamente detta di Michelangelo. Lo sforzo, ch'è la più intima sostanza della vita del Buonarroti, e che di\'enta l'archetipo di tu1ti i suoi fantasmi e di tutte le sue opere, meriterebbe una il lustrazione assai più completa di quella che qui noi possiamo dare. Esso tra– passa, fuori della vita intima, nell'arte e nella cultura di Michelangelo ; e lo ritroviamo come tentativo di sintetizzare la Grecia e il Cri– stianesimo, il genio del Rinascimento e quello della Controriforma. Nell'anima, nell'arte, e nella storia, Michelangelo rappresenta sempre la medesima intensa aspirazione a congiun– gere, a saldare con fuoco divino, termini ri– pugnanti della realtà : nella loro fusione la realtà supererà sè stessa, non sarà più sè stessa, trascorrerà 'nell'infinito. In mezzo al– l'onda vorticosa delle sue figure che sfuggono e salgono, sta Michelangelo stesso, il più dannato dei suoi dannati, poichè il dolore metafisico del limite lo tortura, è gli fa sen– tire un veleno amarissimo in ogni calice della vita. E poichè il limite è il mondo stesso, ed è lo stesso uomo che lo fugge, cosi la fuga attra– verso le forme tormentate, se indica un moto che ha la sua mira oltre il mondo, è desti– nato tuttavia a restare nient'altro che un'om– bra - un simbolo. Tutta l'arte si svolge in questo piano d' irrealtà; ma l'uomo sta oltre - e l'uomo ch'è in lotta contro il mondo (il mondo stesso, non i suoi mali) si volge a Dio. Si volge a Dio per riaffermare, negativamente, il proprio inappagamento della realtà limi– tata - per mendi care la liberazione. L'uomo chiede la Iibertà - la sua voce non ba più l'accento del la battaglia, ma quello della pre– ghiera. In Michelangelo questa preghiera esprime un infinito bisogno - un'appassionata e sem– pre rinno,·ata invocazione di libertà, che passa attraverso tutti i gradi della tristezza e del– l'emozione, e risveglia la voce umana in tutti i cuori. Egli è un divino mendico ; un men– dico che non chiede questa o quella cosa, ma solo ciò che non è mondo. li suo bisogno di Dio è assiduo e indimenticabile come un bisogno di pane. Di qui la lamentazione che scoppia irrefrenata ogni volta ch'egli guarda alla propria persona in cui la miseria del mondo gli appare tutta concentrata, ed in– cancellabile. 11 volere stesso, che intende a Dio, è avvelenato dalla mondanità ; non ha la punta e la lama, ma è fatto duplice ed im– potente: Vorrei voler, Signor, quel eh' io non \·aglio Tra il foca e 1 1 cor di iaccia un ,·et s'asconde Che 'I foca ammorza, onde non corrisponde La penna all'opra e fa bugiardo 'I foglio. A volte lo sconforto ricopre tutta la su– perficie della sua anima, come una marea che sale, e quasi assopisce quel tormento più che umano in uoa tristezza piena d'umanità. Allora la forma abituale de\ grido e del- 1' invocazione s'altenua in quella insolita della elegia malinconica, in cui il desiderio spunta appena, e trova qualche accento, che non è più soltanto michelangiolesco, ma è dolce, umile e vasto, come la vita umana. O notte, o dolce tempo, benché nero Con Pace ogni opra sempr'al fin assalta Ben vede e ben intende chi t'esalta E chi t'onor' ha l'intelletto intero. Tu mozzi e tronchi ogni stanco pensiero Che l'umid 1 ombra e ogni quiete appalla E dall'infima parte alla più alta In sogno spesso poni, ov' ire spero. O ombra ciel morir, per cui si fernn Ogni miseri' a l'alma, al cor nemica, Ultimo delli amitti e buon rimedio, Tu rendi sana nostra carn' inferma Rasciugh' i pianti e posi ogni fatica E furi a chi ben vive ogn' ir' e tedio. IV. Lo sforzo ed il bisogno - l'atleta ed il mendico: questi due momenti dell'anima di Michelangelo non si contraddicono, ma si aé– cordano e si continuano sulla stessa linea che muove dal mondo per p~dersi in Dio. Essi de– notano un contrasto fondamentale con la real là; il dissidio con le cose caratteristico di tutti i grandi platonici, la tendenza ad abolire tutto il Reale nell'Ideale - e questa tendenza in– veste in Michelangelo cosi la sfera dell' in– telletto come quella del cuore; è un senti– mento che coincide con la sua caratteristica individuale, più ancora è un' istinto profondo eè :rreducibile, che ci dà la chiave dell'uomo e dell'opera. Ciò che si oppone al limite, alla separa– zione delle cose finite, se noi lo pensiamo si chiama con vari nomi : Infinito, Assoluto, Dio ; ma se noi lo sentiamo si chiama con un nome solo: Amore. Ora Michelangelo come aspira a Dio, aspira anche all'amore; egli è forse il più appassicnato amante d'amore che la storia conosca. Se noi scrutiamo attraverso la sua vita, le sue rime, le sue lettere, sen– tiamo questo ardente fuoco che lo porta ad amare con intensissima passione tutto ciò in cui rifulge lo spirito, poichè in questo amore lo spirito stesso si realizza come infinito e divino attrav~rso l'opaca sordità dei corpi. Nel dialogo di Donato Giannotti, Miche– langelo parla di sè stesso con alcune parole che lo ritraggono nel suo più intimo. • Sap– piate che io sono il più inclinalo uomo ad amar le persone, che mai in alcun tempo nascesse. Qualunche volta io veggo alcuno che abbia qualche virtù, che mostri qualche destrezza d'ingegno, che sappia fare o dire qualche cosa più acconciamente che gli aTtrì. io sono costretto ad innamorarmi di lui, e me gli do in maniera di preda, eh' io noo sono più mio, ma tutto suo. » Ma il mondo è freddo ed indifferente; esso circonda di macigni e di ghiaccio il foco cupo e immortale che brucia nel cuore di Michelangelo. È un'altra forma del contrasto fra Dio e il mondo : e la freddezza e l'indif– ferenza delle cose (anche se le « cose :, sono « uomini ») fa sorger l'odio per l'esterno. Di qui il moto verso la solitudine dell'anima, di qui la diffidenza verso la vita, e verso gli atti di coloro che vi sono immersi : così la pas– sione più calda e più alta si riveste di una maschera che fa pensare alla misantropia. E certo a molti dovè apparir tale l'austera so– litudine del grande artista; e a molti appa. rirà tale ancor oggi. Ma se noi leggiamo queste rime, la verità ci si svela chiaramente - le parole foco e ghiaccio, le immagini di ardore e di fredde{{a, di fiamma e di sasso, e cosi via, le riempiono con tanto significativa frequenza che è impossibile difendersi dal- 1' immagine di un foco acceso su di una di– stesa di ghiaccio, un fuoco freddoloso, - se mi è permesso di cosi dire - donde esce una voce di poesia, eh' è la poesia di Miche– langelo. Arder solè nel freddo iaccio il foco Or m'è l'ardente foco un freddo iaccio. Ond' io farò come nel foco el ghiaccio Che si distrugge e parte e non s'accende. Cosi questa passione d'amore, che si strugge invano nel mondo, suscita costantemente il pensiero della morte, ch'è il più fedele com– pagno del poeta, e fra le due rive d'amore e morte corre tutta questa poesia che scaturisce da un.' insoddisfazione fondamentale e muove verso la speranza della soddisfazione finale. La morte pone termine al finito della vita, cosi come l'amore lo fa dileguare: di qui la loro stretta parentela che è motivo eterno di poesia. E lo spirito che ha mosso alacre– mente da una scultura all'altra, sempre cer-

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