La Voce - anno II - n. 37 - 25 agosto 1910

382 LA VOCE Le memori<> d, Santa Rosa sono troppo breYi, troppo saltuarie e frammentarie per poter ricostruire su di esse una vita che durò circa quarantadue anni. Pure esse ci bastano a penetrare sino nel fondo dell'ammo suo e a farcelo vedere quale era. Già è note\"ole che egli, a simiglianza di molti suoi contem– poranei, abbia lasciato traccia di sè in quella particolarissima forma de\l'alli\"ità intellet– tuale e morale di un uomo che sono il dia– rio o la memoria. Quanti uomini del nostro risorgimento o preparandosi all'azione, o ispi– randosi :i.d essa, non ci lasciarono la storia preziosa del proprio animo! Quando l'azione è resa impossibile dalle circostanze, allora lo scrivere i propri pen– sieri, lo espandere in parole i propri senti– menti, ha quasi valore di protesta. Anche gli uomini meglio nati per l'azione, nell'ozio, ricorrono alla introspezione, si ripiegano in sè stessi, si fanno meditativi. Talvolta in que– ste attese si compiono inconsciamente, o con dolori che paiono voluti da una sorte cru– dele, le grandi preparazioni. Nell'anime s'ac– cumula, compresso, tutto un avvenire. Santone di Santa Rosa benchè a trenta anni esteriormente non fosse ancor nulla; pure era già un'anima, aveva una coscienza parte formata e parte in formazione ; c'erano dei germogli in lui ; era un uomo sviato, sperduto, ma non era un uomo vuoto. Una grande" idea, che nella sua natura mistica sfocava e svaporava nel fantasma, lo occu– pava, lo eccitava, gli dava sogni da sveglio, gli turbava le notti, gli consolava le veglie; nell'ozio gli da,·a un carattere di nobiltit, di poesia, un., luce di idealità che lo rendeva caro e desiderato agli amici. Era la parola patria, era il fantasma dell'Italia. Il 20 maggio 18 14 è una dHta nella sto– ria del vecchio Piemonte. In quel giorno Vittorio Emanuele fece il solenne ingresso nella sua capitale dopo il lungo esilio. Ma purtroppo questo 1e era rincasato tra una doppia lila di soldati austriaci, incontrato e salutato per primo da un generale au– striaco, mentre un altro generale aust1iaco veniva nominato governatore generale del Piemonte. Toltisi di dosso i francesi si an– davano piantando in casa più duri che mai gli austriaci. Tuttavia i torinesi erano andati in visibilio nel rivedere la faccia sorridente e bonaria del re, che era tornato rimpannuc– ciato nelle foggie antiche, un cappello in capo alla Federigo Il, ben bene incipriato, con un codino che mentre egli porgeva saluti e in– chini a destra e a sinistra gli spazzolava le spalle facendo venire una gran voglia di ri– dere ai giovani sui vent'anni nati e cresciuti nei costumi della rivoluziqne e del\' impero. E Santorre, tornando a casa dopo quello spettacolo che lo aveva reso triste, prendeva la penna e scrh 1 eva nel suo facile ed en fa– tico latino chiesastico : Re.,· 11os/er i11/rabal in civilatem, e/ 0111:,is pop11l11sdicebat infesti– vi/a/e cordis sui: O Rex, o Rex, salve Re:,: . 1 Ma aggiungeva : Ma le aste del Re del set– tentrione lo circondavano; e il nostro re era come un fanciullo sotto tutela, onde chi aveva occhi esclamava : « Torna il re, ma la patria non torna con lui ». La patria per Santorre era l'Italia liberata dagli invasori, la penisola, senza gli austriaci. li quale passaggio dal piemonlesismo ali' ita– lianità fu un effetto anche nel Santa Rosa, come nei più dei piemontesi, del sentimento dell'onore militare. Non potevano soffrir scia– bole d'altri in casa propria; e siccome le sciabole e le baionette austriache si distendevano non pure in Piemonte, ma anche nel resto d'Italia, assoggettando visibilmente od occultamente, e il papa e il re di Napoli ; cosl inoieme con \'.odio per essi si allargò il sentimento d'amore per tutta la patria, si formò la prima coscienza della sua liberazione; il soldato pie– rnontese divenne non solo materialmente, ma anche psicologicamente e moralmentè, un faltore dell'italianità. Ma non illudiamoci: questa italianità non aveva che ben poco a che fare con I' italiani1à, poniamo, del ,\laz– zini ; questa era d'origine ideale, e di senti - mento rivoluzionaria e nella sua fo1 ma re– pubblicana; l'altra era d'origine storica, aveva un largo fondo nella razza e nel costume, era il logico sviluppo d'un sentimento tra– dizionale nella vita stessa ciel popolo pie– montese che si era battuto a destra e a si– nistra per non farsi mai mettere il piede sul collo da nessuno. Era la politica di un popolo di soldati e di gente d'onore; era anche, b politica di una monarchia che da secoli tendel"a alla formazione di un grande regno subalpino lungo la valle del Po. In una delle poche lettere che ci rimangono di Santorre, indi– rizzata all'amico Luigi Provana, datata del g maggio 181;, le origini guerresche della sua italianità si sentono, messe come sono in riliern da uno dei soliti empiti della sua natura calda e impulsiva : « Egli è soprat– tutto quando i miei corni da caccia suonano una rapida e viva marcia, e mi 1·eggo sfilar davanti i miei giovani di aspetto ardito e quasi dispettoso, che il mio sangue bolle e ribolle dentro le vene. Egli è allora che dico tra me: Perchè non nacqui inglese, prussia– no, russo? Nella mia disperazione dico per– sino : Perchè non nacqui francese? 'Kon saril mai che io stringa un brando italiano, che io guidi fra i perigli soldati italiani? ?-loi piemontesi, noi prodi, noi animosi, che siamo noi? Deboli ausiliari degli antichi nemici della grande patria; ausiliari disprezzati forse, e disgraziati a segno di non essere ammessi all'onore delle battaglie. Non vi ha in si– mili pensieri di che morire di rabbia e di dispetto? Federico padre di Federico 11, creò la Prussia creando \'esercito. \'ittorio Ema– nuele potrebbe creare il Piemonte creando un esercito. Sessanta mila soldati disciplinati ci renderebbero rispettabili. \'enticinque mila soldati insufficientemente ordinati che sono mai? » .... « ·~ destino comune dei popoli l'essere esposi i alle calami1à della guerra; ma è destino degli italiani l'esserl'i esposti per l'interesse degli stranieri ~ .... « I na– poletani pagano amaramente il fio d'aver af– fidati i loro destini ad un principe franeese, macchiato del nome di sleale e di traditore infame. I napoletani fuggono, e l'aquila gri– fagna li fa impallidire. Duci napoletani, i vostri brandi trafiggano quel francese vestito da Re. Acclamate un principe italiano; ri– manete armati, ed aspettate che giunga il momento di steaderci unti mano amica. Si accosteranno gli elmi agli elmi, le insegne alle msegne, ed all'aquila non gioverà l'arti– glio. La futura liberazione dell'Italia dev'es– sere operata o dai piemontesi o dai napole– tani. Questi più numerosi, più ricchi ; noi più animosi e prodi. Noi abbiamo sul trono principi di sangue italiano •- In questi tratti si seme non pure il soldato, ma il suddito devoto, il monarchico. È un altro carattere non _pure del Santa Rosa ma di tulla la nobiltà piemontese, dai Balbo ai d'Azeglio, essere devota alla monarchia. Averla in venerazione come suprema forma costitutiva del comune vivere, avere fede in essa, nelle sue sorti, nel suo avl'enire. Nel '2 1 Santa Rosa fu un rivoluzionario: ma fu rivoluzionario per la monarchia ; era un monarchico più innanzi degli altri, ecco tutto. Un monarcbico più evoluto, dalla vista più lunga, che anticipava la trasformazione costituzionale della monar– chia. E anche il monarchismo fu un coeffi– ciente validissimo d'italianità per una ragione che forse forse gli storici non hanno ancora messa in rilievo quanto bisognava. E la ra· gione eccola : una volta che la monarchia si fu trasformata in costituzionale secondo le nuove necessità dei tempi, il re rimase pur sempre per molti, forse per la maggioranza, quel che era prima, cioè il capo supremo, amato venerato dello Stato: e quel ch'egli faceva era ben fatto ; e quando comandava bisognava ubbidirgli, se anche a molti sem– brasse che l'ubbidire non fosse ora cosl dolce come una volta. Quanti piemontesi, non solo del popolo e della borghesia, ma dell'aristo– crazia, non solo soldati ma anche capitani e generali, e grandi nomi, che noi abbiamo trascritti nell'albo dei combattenti e dei morti per \' Italia, non combatterono se non per un sentimento di ubbidienza indiscussa, e di devozione al loro re, che aveva voluto la guerra. Fecero la figura di essere italiani : invece erano piemontesi dei più schietti, bougia-nen ; cbe l'unità d' Italia non senti– vano, e forse non volevano. Ma dove andava il re, andavano essi. E Santa Rosa voleva appunto che il re trasfor– masse con un potente esercite il piccolo Piemonte in una forte nazione; in modo poi che il Piemonte potesse liberare l'Italia. Questa era la sua politica. Come vedete ab– bastanza semplice. Era una politica che si potesse dire italiana? Secondo il ~lazzini, no. Era una politica che si potesse dire piemon– tese? Secondo il giudizio che ne fecero al– lora gli uomini della corte e il re stesso, non era nemmeno piemontese. E che cosa era? Era un dramma di anime sospese fra l'azione ed il sogno; era la poesia dolente e fremente di un lungo periodo di prepa– razione. Cesare Balbo disse del Santa Rosa che gli manca\'a « la sperienza o almeno la cultura politica •- Era un soldato, un soldato d'onore. Il senso pratico della vita gli mancava, tanto che a trentacinque anni senza far nulla di straordinario, al"e\"a quasi dato fondo al pa– trimonio. ~lancando del senso pratico della vita, per quanto egli cercasse di formarsi una cultura politica, aveva ragione Cesare Balbo di dire che non ci riuscì. Una cultura politica, in Piemonte, aveva egli, il Balbo; ebbe poi in grado supremo il Cavour. San– torre era un mistico. Basta scorrere l'indice dei capitoli che dovevano formare il libro da lui abbozzato nel 1820 col titolo Spcrm,{e d'Italia. Ecco il primo: Dello scrivere i11- lomo alla pairi<1; ecco \"ultimo: Alle do1111c italiane. Specialmente significativa ~ quel– l'invocazione alle donne italiane. A trentaset– t'anni Cavour non a1•rebbe mai inteso la politica in quelle forme. E non era nemmen letteratura. « lo non sono un letterato, con- BiblotecaGino Bianco fessava Santorre nel proemio che sarebbe andato innanzi all'opera; sono un soldato, che a niuna setta appartenendo, solo conosi;e i suoi altari, la sua patria, e la sua spada ». Santa Rosa era, diciamolo pure, socialmente uno spostato; intellettualmente un fallito. Tanto è vero che la sua vita finì in una tra– gedia; e tutto ciò ch'egli scrisse non ha altro valore che di documento e di memoria. Eppure è curioso - e insieme è doloroso - l'eder come quest'uomo s'illudesse quanto al valore della propria intelligenza; e quali sogni formasse di nobile avvenire in qualitit di scrittore, e con quanta e buona fede pren– desse seco stesso impegno di diventar qualche cosa nella patria e per la patria. « lo non sono un letterato »: vero. !'·la intanto un de' suoi sogni sarebbe stato di diventare un grande scrittore, operante ed eloquente, come si slava facendo Cesare Balbo. Lasciamo stare che il padre suo spi– rituale era l'Alfieri, sul cui nome egli e gli amici suoi nelle grandi e nelle piccole occa– sioni facevano giuramento. Ma la prepara– zione intellettuale del Santa Rosa non fu veramente politica; direi piuttosto che fu storica; direi anche che fu letteraria; ma d'un cattivo lellerato, pieno di buone inten– zioni, ma senza risorse. « Il 23 marzo del 18 15 fu giorno solenne della mia vita, perchè in quel giorno mi accomiatai per sempre dalla lingua francese » cosl scriveva egli in un registro quotidiano dei casi della sua vita. E il 2 7 maggio 18 16 dal'a conto in una lettera a!J1amico Provana di avere ricomin– ciato la lettura del Davanzati, che procla– maYa e fra i prosatori il primo »; di non discostarsi dai novellieri « miniera inesausta di 011ime e vaghe forme di dire ». Nel seguente settembre scriveva: « Ornato mi ha prestato gli Ammacs!rc1111e11ti degli antichi di fra B,rlolomeo da San Concordio. Questo libro mi ha contentato e mi contenta, e non lo restituisco al suo padrone per assai tempo .... Si scorge nello stile di fra Bartolomeo un certo nerbo, una viva proprietà di dire, che ricorda l'efiicacia e il colore della frase dan– tesca. Finisco la seconda le1tura di Segni. Leggo Matteo Villani, Varchi, Guicciardini e Ammirato. Le cose fiorentine divengono per me un alimento necessario e per la materia e per la lingua ». Ha un bel dire il caro amico mio Carlo Tona, autore di un libretto sulla Rivoluzione del '2 1, che si fa leggere con infinito piacere; ha un bel dire che nella mente di Santorre « gli stessi studi letterari assumevano una piega politica » (pag. 17). Per me, in quello sfondo immo– bile, oscuro, tranquillo della società aristo– cratica piemontese, Santorre raffigura il tipo dei vecchi letterati tra dilettanti e pedanti, il cui pi"i1grande amore è sempre la frase, grammatici superfiéiali senza profondità di umanesimo; spiriti tutt'al più preoccupati dinanzi a un'opera d'arte dalla ricerca di un contenuto morale che non diversifichi dal proprio, e però lettori fatalmente sterili an– che dopo innumeri lelture. Come vedere un alunno della politica, o la possibilitil di farsi una cultura politica in chi scrive : « Non so se potrò leggere il Varchi, perchè mi è noto esser egli inclinato alla parte dei Medici? » Era gente che aveva l'Alfieri sempre aperto davanti, e avevano ritratta una specie di al• fierite auche nella cultura. Non solo impa– ravano a memoria e recitavano ad alta voce tragedie intere dell'Alfieri, ma s'erano fatta inconsapevolmente un'abitudine di leggere e di compiacersi dei libri che a lui sarebbero tornati graditi: e buttavano via con un gesto violento gli altri, come Alfieri aveva fatto del panegirico di Plinio. Curioso poi vedere come questa alfierite letteraria finisce col far capo al romanticismo I Ma per ora diciamolo: cultura politica nel Santa Rosa non ce ne fu. Le sue stesse Spora11,e d' li,1/ia sono pagine scritte da un soldato; niente di più. V'è espresso il con– cetto del moto insurrezionale, vi è svolto il tema della duplice mossa dell'esercito napo– letano e del piemontese, quale in realtà avrebbe dovuto attuarsi qualche mese dopo, con l'effetto di prendere in mezzo e schiac– ciare gli austriaci. Di non militare, di poli– tico, c'è l'accenno alla necessità di un go· verno costituzionale 1 di un parlamento che serva a rendere nota al sovrano la volontà, ora messa in lacere, del suo popolo. Ma non era necessario avere una cultura politica per parlare nel 1820, ai tempi della costituzione di Spagna e di Francia, della necessità di un governo costituzionale. Dove non era a lfieriana o grammaticale, la cultura di Santorre era romantica, quale voleva un'altra parte della natura sua, che non era profonda; ma aveva pii, lati.... E certi giorni, probabilmente dopo un'oretta di lettura e di meditazione sul Segneri, San– torre usciva con un volumelto della Stael in tasca, o di \"oltaire, o di Pascal, o di Di– derot o di quel terribile Rousseau, la cui in– fluenza sulle anime del tempo fu smisurata. Con uno di questi libri, talora con più, Santorre usciva fuor delle mura cercava un luogo poetico e solitario, e leggeva e - drce lui - meditava. Forse noi dobbiamo dire: fantasticava. E a tratti alzando gli occhi dal libro li posava sulla scena circostante: quasi sempre illuminata dal tramonto del sole. E correva col pensiero agli amici, ~he amava con trasporto quasi Ji un' amanle; e all~Jta– lia. E giurava sulla memoria del I' Alfien o sul capo dei suoi ngli, di vivere, di lavo– rare, ali' occasione, di morire per lei._ E co– me dicemmo, il proposito di mettersi a un opera utile e ammonitrice, pili volte gli venne. Un verso di Diodata Saluzzo Italia, ltali:1 il mio dolor ti nom:1 trascritto da lui a guisa di epigrafe su un quaderno a quanto egli stesso dice « si riferisce alla risol~zione da me presa di consacrare i miei studi alla patria, e di porre mano senza indugio a qualche opera, la quale potra nu– scire a' tempi presenti di vera politica utilità all'Italia. Nobile, ardua impresa in 1·ero, e perigliosa ancora; per ciò appunto degna di me, se io non guasterò, se io non avertirò la mente e il cuore concedutimi dal Sommo lddio. Avrò in breve in dito un anello, in cui starà scritto : il mio do/or ti noma; e ciascuna volta che io leggerò queste parole di lutto, il mio cuore aggiungeravvi ratto: a d1fetto di ferro In mia penna li servirà. " Propositi nobili ma che rimasero senza effetto, poichè l'uomo era indolente, varia: mente mutevole, e quando non in,·olto nei peccati che si rimproverava, impigliato negli scrupoli nelle lamentazioni nei rimordimenti della coscienza che oscillava continuamente fra soverchie debolezze e soverchie rigidità. Egli era in apparenza uno spirito fervoroso; pieno di vita, di calore quando scriveva agli amici, quando parlava con essi, quando fan– tasticava; disposto a dare una grande impor– tanza persino alle cose piccole, tanto che gli amici lo avevano soprannominato il sole111u; ma nel\' intimo era pigro, svogliato, scontento di se stesso, e però non poteva creare, gli veniva meno la base per costrurre, di un'o– pera un po' larga non gli durava mai in mente stabile il disegno. I frammenti de' suoi diari sembrano quelli di un malato, o di una donna; sono di un debole a cui la vita sfugge giorno per giorno, recando ogni alba un proposito e una spe– ranza, e ogni sera facendo dimenticare l'uno, sfiorire l'altra. Soldato in tempi di pace, po· litico costituzionale in tempi di assolutismo, con la voglia di diventar scrittore senza aver– ne l'ingegno, con la passione dell'italianità, e morl per la Grecia ; lettore e annotatore del Villani e del Davanzali, e l'unico libro che scrisse é in francese. I.a sorte a lui fu nemica, triste e ironica insieme. La sua non potè essere la storia di un inge– gno; comf! dicemmo, la poesia di un'anima. Come questa poesia diventasse, un giorno. azione ; come il soldato fedele si mutasse un giorno in ribelle; come il nobile appartato assurgesse, in conspetto a tutto il Piemonte, al grado di ministro costituzionale di una monarchia che doveva ancora per 28 anni conservarsi assoluta; come Santorre di San· tarosa diventasse un eroe ed un martire in conspetto alle generazioni future; tutto questo la storia ha detto abbastanza bene e non è il caso di ripetere solo con varietà di parole cose abbastanza co1r.unemente note. Luigi Ambrosini. Enrico Giulio Holtzmann. Il 1 agosto morh·a a Badcn-Baclen, in età di 7S anni, l'insigne proressore di teologia del Nuovo Testamento nell'universit:\ di Strasl;urgo, Enrico Giulio l loltzm:11111. Da ben pochi in Italia è conosciuto il valore cleW uomo. Quando nel 1903 1 l'Italia delle chiac– chiere si affollò nel mostruoso Congresso inter• nazionale di scienze storiche a Roma, questo vecchieuo simpatico, dal viso colorito e vi\·acc sollo In radr. e corta barba bianca, dalle ma– niere semplici, quasi passò inosservato; mentre 1a gente stringevasi intorno a Adolfo I larnack 1 del quale ignoravano i più che avesse scriuo altro cl 1 e il famoso libretto sopra l'Essenza del cristiane:-.imo. Naturalmente I' I loltzmann non ru invitato al pranzo di corte, con cui una di quelle sere il Quirinale, scegliendo alla rinrusa tra gli intervenuti al congresso, sancì oflìcialmente la gloria degli uomini celebri. Di cosi fotte esclusioni Enrico Yiulio I loltz– mann non hn nulla a temere. li suo nome, non periuiro, è inclissolubilment'<! unito al trionfo della critica del NuO\'O Testamento 1 che, dc– corren<lo il secolo X IX, ha fauo potentemente crolb.re da' suoi fondamenti il cristianesimo tra– dizionale, ed ha in vece sua ricostruito il cristia– nesimo della storia, che C vita e civiltà, dal pas– sato risplendente sulle vie ciel foturo. I.! opera del!' I foltzmann, risultato di un lavoro tenace, continuato per cliecine d'anni, è in sostanza con– densata in poclii , olumi: una introduzione sto– rica e critica al Kuovo Testamento, che per In solida armonia dellt parti. e per una tal quale espressione di se\'era e solenne grandcua, ru

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