La Voce - anno II - n. 37 - 25 agosto 1910

I.A YO('P. C'onto corn~11to ,on ta Pesta. Tommaso Nuoletti A. 882. , 'ig. Avv. (Cosc11za) S. Giovannin fiore (Scade 31-12-910) E.ce ogni giovedl in Firenze, via dei Robbia, 42 .;J, Dirett(da GIUSEPPE PREZZOLINI 6' Abbonamento per il Regno, Trento, Trieste, Canton Ticino, L. 5,00. Un numero ceni. IO. Anno II $ N: 37 \ $ 25 Agosto 19J0. S0'1\1.\RIO: Gioie e dolori d'un Italiano,,:-. /11. Santorre Santa Ro~•. I 1<o1 .-\,rnROSl:'\I--:- Enrico Olullo Holtimann, S.\t\".\TORE )llsocc111 - Che f■re?, G1ov.,,,1 Bt)l'.'.J - Coa1roRoma, Gu-su•PJ- PRr-1101.1'1. Gioie e dolori d 1 un italiano. Il ,\fr::_::_,ig,,1111,>, i di1f ,11111i, ha la11rinto trt g111li: p,·1il tnm1101,,di Reggior .\frssi1111, prr l'h-ridi,,d'.-l11dri11 e di Hari,p,•1· il n1l,·r111dfr P11gli,·. Rirnrdi111110/o. A /111/i r tre 11011 nbbi11111<> 1ispost,1 in 111rdo drg110 : Rrggio e M essi11a sono rlllr()rrt 1111 1111rrbio cli rovim 1 1' di rnpn1111t'; 11iro11tndi11i11,.,-idio11t1/i 011 e tonress,, altro 111,,do d'1•spri111er,• /11 vol,mtà rhe /,• dimostra• ,i,111i sa11g11i11ou; e il tolern. rh,· torrhaà se111- p1t ni popoli sudici e disnllmti, dopola R11s– si11ri ba 1•agog11osa111mtr s,·g11at1 tol dii<> al– i' l:urop11 . .-lh ,111ei • barbari • tedeschi, rou I<! /i>ropnli::_ia ,. r,111 il loro !n'diu,, rom,· mi fa11111> invidia ! .\',111 ha mai da sorgere,per– di,,, da q11,·stc1111stra terra, da qnutn nostra .</<11 ia 11011 ha mai da srnturire 1111n geuaa– ,1011,· rhr si lm·i ,1g11i 111alli11n, che 111t111gi dn 111>11111, di<' /Ìlrrin il proprio dovere 11ellepir– r,>11' tos,·? Cli itnlin11idn11110 In vita sul rn111po di /,n11aglit1. romieeroi, le, sappiamo; 11111011 sa11110 prrparnr In bt11/t1glin. Dnr1111110 a11che d,·i 111ili1111i prr p11tsiballuti dalla disi;ra,it, ; 11111 mm st1mh1 td,uar,· ,ma p<1p,1/a;,_itll1t rht a/111 disgra,i,, rip,rri. lai lll<ll'Ìl'tl 1111 uUicin/é' ardihl, mo1/rt' /fu- 1,m, di co11q11i!/arr nl/'ftalia 111111 partedi q11cl p1i111at,> di Jor::_a r d'nrdite:;_z.a che sembraper– d11toprr ,,.,.,.,,,. pericolareper mare. ,\'011 ho .<impatit1 per la g11t'l'ra,11,aq111'1/' 101110, con 'I"""" divisa v1rrresra prostit11ita. troppospesso alleJÌ'steda bn/1<1 e lll'i caffè co11urto,mi ,frllr 1111 s11ssulto di amore. Pajiuo il gesto del Cor– riérétlcll.1 Sér.1 rhedi>poil Daily :-bil (2jo.ooo) ,. il ;>.l.11in(ioo.ooo)offre 1111a sommaper l'ai•in– ;;_it111e ( jo.ouo), mi pan:,· bello. Gioie e d,,fori d' 1111 italia11,, ! .\In s11rgerir, sorger,i, t·r /,, din> i,,, q11tst,1 111o·m gmte. E che stiam,,q11i ,, ;,11·.-? 1-'affiamoil poro che possin11lll, 11111 11111,,. /;' abbic111111 fidurin 111'/lt pircohi-olo11tir: il sah·111lmnio di 11milrcreta, rnl s110 /iocro 11,– z.1111·0 rhe la sp,,snrnsaliugn gli frg,1 nl rape,– ;;_olo per il s110primo 111110, i·i11rrrti /11 mssa [<11·/1• d'nrric1it1. g. pr. Santorre Santa Rosa. Legge, o giorni sono quel poco che ci ri– mane di Santorre Santa Rosa: brani delle sue memorie, lettere, qualche atto del suo bre,·e governo, il libro stampato anonimo in Francia e scritto in francese: De la rl~ ~ululio11pil111011/.1i.'-t' ".antorre : <Juci che a Sfacttria <l,,rme t in Ales!)andrin primo di\! a l'aurt il tricolor .... Benchè noi sappiamo che il verso epigra– fico del Carducci involge un errore di fatto. l\on fu il Santa Rosa primo a inalberare sul la rocca del carbonarismo piemontese il verde bianco e rosso vessillo, il Ìricolore del Regno italico. Quest'onore spetta a un altro di quei congiurati del '2 1 1 al capitano Ansaldi, costituitosi nell'occasione presidente della Giunta provvisoria di Go\'erno. Il che prova, anche una volta, se ce ne fosse biso– gno, quanto la poesia così detta storica ab– bia a che fare con la storia, pur quando a comporla ci si me11a chi, come il Carducci, tanto studiò e tan10 seppe delle cose del nostro Risorgimento. Il che, del resto, poco importa. E forse non poteva essere signiti– cato meglio di come riusci al Carducci, ,e non il vero, almeno il desiderio del veio: poichè nessuno pii, di Santorre era deg:10 di inalberare dinanzi ali' Italia nuova il ves· sillo ciel risca110 ; e per nessuno più che per lui la morie fu pace e riposo, fu sonno con– solatùre, fu placido porto dopo grosse tem– peste. Curiosa vita. Santorre è senza dubbio una li– gura storica · c'è 110 momento 1 nelle vicende del ,·ecchio Piemonte, ch'egli si fa innanzi, si mostra tutto allo scoperto, in rilievo, ope· ra, dirige, chiude nel pugno le sorti di un:t rivoluzione. E questa è la parte più nota della sua vita, il la10 a cui più si rivolsero gli sguardi dei posteri. ,\la chi legge e me· di1a sulle sue pagine, quasi dimentica l'eroe, il ministro generoso, l'audace dittatore che, sia pure per pochi giorni, sostitul con un go,·erno disperatamente crollan1e, la suprema autorit~ del monarca assoluto, e sperò per la patria più liberi tempi. Si lascia in dispane il politico, e si trova l'uomo. In· torno a lui non è ancora il clamore della storia; è il murmure, il susurro, il bronto– lio della vila: della vita quotidiana, citta– dina, di quel vecchio Piemonte che venne al nuovo quasi senza accorgersene, molte volte senza volere, di quel Piemon1e che fece l'Italia, ed è dubbio se quasi sino al– l'ultimo avesse proprio l'intenzione di farla. l!n Piemonte che i nostri storici del kisor– gimento non hanno fatto ancora rJ\•tvere come sarebbe desiderabile, dinanzi a noi, nei suoi cara11eri particolari di paese chiuso, antico, consuetudinario, dalla struttura e dal disegno sociale non grandioso, ma certo saldo, intero, organico, cosicchè per capire una parte anche piccola di quella che fu la sua storia, bisu~na prima avere abbracciata nel suo complesso tutta la sua vita, essersi liberato di una quanti1à di pregiudizi, a,·er ricos1ru110 nella menJe per intero quell'orga· nismo che formatosi Jentameate attraverso evo• luzioni secolari e liete e tris1i fortune, ebbe per ultimo còmpi10 di fare I' Italia; e in questo còmpi10 dell'uni1à slemperò e rninò sè medesimo Santorre nacque nel 1783: del 'i I era esule : questo spazio di tempo che egli at· traversò quasi fino all'ul1irno in qualità di uomo privato, e quasi per intero in patria, ci è come illuminato dai riflessi della sua anima, che in queste memorie pare abbia lascialo tracce fosforescenti di sè, del suo passaggio. E tenendo dietro a lui rivediamo la vecchia Torif'lo, risentiamo, aiutandoci con altre memorie, il vecchio Piemonte, pene– triamo in qualche dimora chmsa, respiriamo l'aria dei salotti e degli studi, delle bibliote– che famigliari: pene1riamo nella corte, ,e. diamo un piccolo mondo di gente, che ci si muove attorno, che vive: che passa il suo tempo, che legge, che studia, e che prepara lentamente un avvenire, le cui prime appa– ri1ioni lo stupiranno, lo scombussoleran110, lo terranno agitato da rivolgimenti e da an– sie monali. Santorre è proprio uno dei tipi della nobil1à piemontese, di sellanta, di cento anni fa. Vedremo che cosa c'era in lui di proprio e parlicolare, di suo; per intanto diciamo che era anch'egli un nobile, che aveva i caratteri ·della sua casta. Non v' ha dubbio che la nobiltà piemontese ebbe de' caralleri tulli suoi ; diversi da quelli della nobiltà delle altre parti d' Italia, come il paese era diverso dagli altri paesi. Per quanti difetti quella aristocrazia avesse, pure nel suo complesso era una bella cosa. Era bella per• chè era una forma non spuria, ma genuina della vita e della storia del paese. Era una casta potente, che come tutte le caste aveva teso al dominio, e c'era riuscita. Però era veramente un'aristocrazia. E se potessimo dif– fonderci in questo discorso, dimostreremmo che era nel tutto insieme,·tutt'altro che cat– tiva. Conservava il paese in un grande equi• librio. Se l:1 borghesia e il popolo le erano sottomesse, bisogna anche pensare che in tempo di guerra quei nobili prendevano le armi, versavano danaro e sangue anche per gli altri. Dalla corte al popolo era come un piccolo mondo tra feudale e romano, tra di ,•assalii o di clienti da una parte e di signori e di soldati dall'altra. Era una socie1à stretta nella pace da poche e salde consuetudini, stretta nella guerra da un patio solo. Non c'era nell'aria, come oggi, la febbre delb produzione, non si sentiva il bisogno di BiblotecaGino Bianco molto produrre perchi: si consumava poco; l'aris1ocra1ia specialmente ,,ive,-a in una spe· cte di ot111111, che era molto meno bruto di quel che non crederemmo noi ora ; e sen– tiva disprezzo per il guadagno, non teneva molto ad accumulare il danaro. E però i mi• · gliur, pa~savano il tempo parte divertt.ndosi, 111 liete avventure e in burle, tinchè erano giovani, e nell'esercizio della milizia e in lunghe e riposanJi lellure. La nobillà passava mol1i mesi dell'anno in campagna, nei vec– chi castelli, e la le11ura era il miglior modo per far passare il 1empo. Nelle ca.e le bi– blioteche erano più comuni e meglio prov– viste che noi non crediamo. Non manca– vano i grandi autori, i latini particolarmente, gli i1aliani di tutti i secoli, i francesi. Quasi ogni casa ave,·a nella sala da pranzo i busti di gesso dei quattro poeti : non che non servissero a quando a quando a guisa di attaccapanni ; ma, insomma, indicavano che qualcuno in casa legge,·a almeno una volta l'anno il Petrarca, il Tasso, !'Ariosi" e Ora– razio ecc. ecc. C'era, senza esagerare nel suo valore, una educazione letteraria. Non era una educazione elegantemente umanistica, non serviva a gran cosa, era una ~!)ecie di abitu• dine intelle11uale, ma insomma c'era un fondo di idee, di cognizioni, di consuetudini lette– rarie, sul quale tutti s'accordavano, s' inten– devan('I. Un segno dei tempi nuovi fu la comparsa dell'Altieri: che caccio di seggio il ~letas1asio. Ci furono anni in cui nelle famiglie il padre era metastasiano, il figlio allieriano : ma queste dissidenze non vale– vano a rompere la 11ni1à e uniformità della educazione comune. E Santorre fu appunto una delle ligure più rappresentative di quell'ambiente di vita, di educazione e di cultura. Xulla di strano se a tredici anni, già al– fiere, lo vediamo tener testa in uno scontro micidiale coi francesi. Quei francesi! Il Pie– monte era francese per non piccola parte ; era forse più francese che italiano, parlava francese, leggeva Libri francesi, si conformava per la vicinanza stessa, a molti usi e costun1i francesi; ma in questa abbondanza di france– sume resisteva schie1to il piemontese amante della sua terra, fiero della sua libertà, armato tino alla morte contro il vicino ogni volta che tentava di passare i confini. Senza le in– tluenze liberali di Francia il Piemon1e non sarebbe stato quello che fu; ma intanto contro i francesi combatterono quelli stessi che un giorno do\'evano attenderne la li– berazione. '.\ella milizia i nobili non per– manevano mollo. I più, dopo qualche anno <li servizio, davano le dimissioni, prende,•ano moglie, si ritiravano a vita privata. oppure passavano in diplomazia. Non è nemmeno da credere che i nobili ambissero troppo di d– vere alla corte e <lirive,tire cariche di tiducia presso il sovrano. Questo era un loro dovere; ma era anche un dovere che recava seco molte noie, che spesso dava f•stidii e da cui non sol– tanto uomini come Altieri e come d'Azeglio e come Cavour rifuggivano; ma anche altri pii1 miti, e diciamolo pure, meno sovversivi o scapestrati di loro. Però, tanto la milizia quanto la corte anche a chi se ne ritirava lasciavano nell'animo questi due sentimenti semplici, rudi, ma incrollabili, della de,·ozione al re, e dell'onor militare: sentimenti spe– cialmente l'ultimo, sui quali nessun vero pie– montese avrebbe saputo transigere. Noi sorri– diamo oggi al sentir parlare di dirillo divino di cui i re di una ,,oJta si credevano in\'e– stiti. ,\la quel diritto divioo non fu per secoli se non il riliesso di un potente e maschio sentimento umano. Era una socie1à feudale, cavalleresca, aristocratica, che ave\la bisogno di un forte cemento che ne tenesse unite le parti: e questo era il rispetto per il capo riconosciuto, da cui poi nasceva, più in gene– rale, il rispetto della gente da meno per la gente da più, del debole per il potente, del povero per il ricco. Si arrivava a questo che il popolo non odiava il signore; come il si– gnore non odiava il principe; perchè ognuno sentiva la quali1à del proprio slato e misu– rava la lontananza che lo separa,·a dallo stato superiore; e ognuno pensarn che se non avesse a\'uto qualcuno al di sopra di sè, non sarebbe cosi difeso, e protetto e sovvenuto, come nella pratica il piit debole era dal più forte. .\la e certo che in questa costituzione ar– ch11etton1ca della società del tempo, bella a non guardarla tanto per il minuto, erano poi le falle, i difeui, le eccezioni rnevitabtli in ogni organismo sociale per quanto vicino alla perfezione. E procedendo a ritroso, in ordine 1n"erso al •entiment-:> generale di dspeuo per chi occupava gradi sociali piu alti, c'era dif– fuso e qua e là concentrato un sentimento di avversione, c'era una tendenza alla critica, l'ironia, il sarcasmo del più debole, ma più intelligente contro il più forte ma soverchia– tore e presuntuoso. E la corte era avvolta da una fitta rete di chiacchiere tra pettegole e maldicenti nate nell'aristocrazia; e l'ari sto• crazia a sua vòlta sentiva tagliarsi i panni addosso dal ceto della borghesia se non pro– prio dal popolo, la cui attitudine era preva– lentemente quella di una servitù, nutrila ed allevata in casa, famigliare nel senso più schietto della parola, e però contenta nel suo fondo e soddisfalla della sua posizione. Onde è che in t.Inasocierà come questa, ristretta, chiusa, non rinnovata da contatti con forestieri - come poniamo l'aristocrazia romana, - non potevano vivere soprat11110i bislacchi, gli strani, quelli che o ptr l'ingegno o per i cos1umi menavano una vita diversa dalla co– mune. Le tesle a troppe punte urtavano nel– l'uniformità di tulle quelle teste quadre, e si sentivano presto fuori di posto. Allora si fa. cevano dare un permesso dal re ed emigra– vano; o passavano molti mesi alt' estero, viaggiando. Così fece Alfieri, cosi Cavour, cosi Massimo e Roberto d'Azeglio, cosi tanti altri. Quanto a Santorre egli a,·eva certi caratteri suo,, e un certo istinto quasi selvatico di li– be,ta e di indipendenza; ma nel fondo del– l'animo era molle, era pieghevole, e il suo misticismo, la sua tendenza all'esaltarsi fin da giovane presero una via che non pareva do– vesse far capo a nulla di pericoloso. Era un carattere un po' strano, ecco tutto: ma piu raccolto in sè stesso che non disposto all'a· zione, più tipo di sognatore che di uomo vera• mente fa1to per l'esercizio, sempre pericoloso in certi governi, del pensiero, e per l'alta specu• )azione. Aveva del nobile signore d'una volta l'ine11i1udine agli affari, il disdegno dell' atti– vità pratica quotidiana, rumorosa, procacciante, l'inclinazione alla vita raccolta e ritirata, con– suetudinaria. Aveva un patrimonio, ci ,•h·eva su e lo assottigliava. Talvolta si rimproverava ques1a sua trascuranza della casa domestica, come una colpa; face"a solenne proponimento di regolarsi altrimenti per l'avvenire; magari giura,·a innanzi a Dio di ravvedersi; ma come era rimase sempre lino alla fine. Ho già detto che l'a11accamento al danaro non fu mai del nobile piemontese, il quale quand'era ricco non fu mai fastoso, ma anche nella povertà non sapeva esser pitocco. San1orre aveva tredici anni quando il regno •napoleonico sostitt1i la monarchia sabauda; ne aveva trenta quando la monarchia ricomparve imparruccata, incipriata., col codino, certa dalla certezza di poter con qualche trallo di penna cancellare tre lustri di vita quanto di– versamente libera; trent'anni: ma gli erano passati senza che egli fosse arrivato a far di sè stesso qualche cosa, a darsi una fisionomia, a proporsi uno scopo. Gli si era consen·ata senza mutamento, intatta, l'anima di sogna– tore che aveva sempre avuta. Era un di que– gli uomini che non hanno nella vita nè un vasto nè un solido disegno, e che non sanno costruire, troppo pigri, troppo irrequieti e mutevoli nelle piccole voglie e negli umori, non privi di naturale ingegno ma sforniti di ogni ambizione solida e feconda; disposti piit ad accasciarsi dinanzi alle avversità che non a ri1emprarsi in esse; pieni di eccellenti in– tenzioni, ma svagati, senza quella unità for– midabile di tutti i particolari impulsi, che forma la meraviglia e la fortuna del genio: caralleri buoni, ma deboli, entusiasti, ma fem– minei, pierri di una verginità di amori e di ideali bellissima, ma stanchi della vita prima di aver vissuto. Sono uomini che attendono per anni e anni il loro giorno, la loro ora, che spesso viene, più spesso non viene, e se viene il miracolo si compie, diventano eroi, penetrano d'un passo solo nel dominio della storia. Se non viene muoiono senza lasciar traccia di sè, quasi come non fossero mai nati.

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