La Voce - anno II - n. 35 - 11 agosto 1910

374 LA VOCE basti a dare un senso e un ,·alorc a un esercito di parole allineate in perfetta buona fede, ma in assenza di vita. Vita spirituale è 1 innanzi tutto, vivere; so che farmi del! 'attributo soltanto quando la sostanza non manca. La convinzione intuitiva che chi mi parla non cerca di \·enclermi lucciole per lanterne, mi risparmia una faticosa scher• maglia di difesn, mi concede d'abbandonarmi ingenuamente al primo senso delle parole, per convenire o per repugnare a viso aperto: deter– mina insomma l'aueggirunento del!' interlocu– tore, non il giudizio del critico. li critico bacia alla sostanza. E, sia lodato ancora il Signore! Ercole Mar– selli è uno scrittore sostanzioso. Jla pensato di cose che hanno affaticato molte teste prima della sua, ma con la sua testa. Ha veduto cose ch'e• ran passate innanzi a molti occhi# prima che ai suoi, ma con i suoi occhi. Ha qualche cosa eia dire e non pensa se non a dirla. Ed è legittimo sperare che possa continuare a lavorare cosi. Di molti, quando t'hanno conchiuso il mondo den– tro una laboriosa ordinanza di parole, tu sai che per un gioco di combinazioni ingegnose con– tinueranno tutta la vita a variare l'ordinanza, allo stesso modo che noi bambini si edificava con i pezzettini di legno ; ma che il castelletto disfatto potrà sempre serbarsi nella medesima scatola. Guardando e pensando, invece, lavorando con sassi e con rami invece che con i legnetti squa– drati, puoi permetterti di mutare non la sola ordinanza, ma il materiale. A chi va per il mondo con due occhi sotto una fronte, tutto potrà es– sere negato, ma non vedere e pensare nuove co– se; e, se altra non gli è data, almeno la novità dei suoi sguardi e dei suoi pensieri sul sempre vecchio mondo. E pensava a di tal sorta pelle– grini il mio venerato Cardinale Dominici, dicen– do: « Sempre ci rimane la libertà di fare meglio .,._ Il. Direste che sul i\lorselli tutto l'ultimo secolo della nostra poesia non abbia fatto presa : nè Foscolo nè Leopardi, nè Carducci nè d'Annun– zio. E se volete chiamarlo uno scrittore moderno, egli è tale soltanto nel senso migliore, per cui sono moderne scritture d'ogni tempo. Tutto quel eh 'egli dice potrebbe essere inteso appieno nel Cin– que e nel Settecento; e leggendo i suoi due esili libriccini, io penso al Doni e al Gelli, o, meglio, ai due Gozzi : le favole e la fiaba. Egli ama ri– petere molti semplici ed antichi motivi, che noi, riempiendo della nostra esperienza attuale, as– saporiamo come novità. In fondo, ciascuno di noi compie questa Specie di equazione anche tra le parole antiche e i sensi moderni ; ma a11ora ne abbiamo l'impressione di tradire lo scrittore, e ci sforziamo, per quanto è in noi, di tornare a non intendere pill di quel che è detto real– mente : di ricondurre cioè il segno soltanto alla cosa realmente significata. Qui invece, possiamo tranquillamente abbandonarci a interpretare in termini del nostro mondo queste parole che sem– brano estranee, perch·è le sappiamo e le sentiamo sgorgate, attraverso un processo di semplifica– zione, da una esperienza in tùtto simile alla no– stra. Anche dove il segno sembra restare di qua dalla cosa che per noi significa, l'andar oltre non è arbitrario, ma quasi comandato dal fatto che udiamo una voce vicina, non una lontana eco. Quelle linee elementari e un po' dure, non le traccia una mano nuova al lavoro, che ancora non giunge a seguire da presso tutta la flessuosa e complessa realtà, cui più non aspira che d'a– deguarsi; ma l'occhio esperto di curve e di piani si ritrae dalla stanchevole molteplicità per guidare la mano obbediente alla ricerca delle linee essenziali. Non un primitivo, ma uno sti~ lista. Tale il processo ideale dell'arte del Morselli, questa la definizione del suo stile. Vediamone ora la reale operazione, i primi frutti : le Favo– vole per i ,,e d'oggi e l'Orione. E significative, assai che il primo volume sia di fa,·ole. Dirò sorridendo che io non credo ai generi letterari. Ma chi, ne1I1atto di volontà ch'è pur necessario per condurre a maturazione i germi interiori e cogliere ed esprimere i propri fantasmi, s' impone una forma, uno schema1 una norma qualsiasi, ammette con ciò fra le condi– zioni, almeno, fra le quali la sua atti\"ità si de– termina. una specie di armatura astratta, una cornice, una linea, a cui il fantasma si sovrap– pone, s'inquadra, s'avviluppa. li genere che non vive d' una realtà sua oggettiva, diviene reale ed efficiente nell'economia dello spirito che crea. E la favola è, in questo senso, un genere per eccellenza, perché il suo modello ideale non è puramente fantastico, ma misto di ragione j non è una pura armatura, ma qualche cosa di ben vivo che interviene nell'operazione stessa della fantasia, e la sottomette e leg:1 e governa per i suoi fini diversi. La libertà della fantasia non è limitata soltanto da norme a loro volta fanta- stiche, da una sorta di sua propria geometria, ma assolutamente viziata e quasi negata fin cl;il suo sorgere, per essere asservita alla conseguenza morale. Perciò di solito nello ~crittor di favole interessa assai più il moralista, il critico dei co– stumi, che non il poeta; nella favola più il do– cumento che l'opera d'arte. Il poet:1 è strumento del moralista ; i fantasmi, astuti avvolgimenti. Solo che qui, come :i.ltrove, il grande poeta tra– scende il genere, e c' é più cieli' incomparabile Lafontaine in una analisi estetica di Karl Vos– sler che in un c:i.pitolo di storia dei costumi di Ippolito Taine. Le favole del ì\lorselli rest:i.no nel genere, ma in un modo loro proprio. Il dissiJio tra la fan• tasia e la ragione non è in esse composto col predominio dell'una o cieli'altra lungo tutto il libro; ma di favola in favola esse s'avvicendano, e ,·oi scorgete che ora egli si piace del piccolo mito e ci attacca la morale per necessità, ora solamente medita, e per necessità ci dà la ~a meditazione sollo colore fantastico. Il primo càso è più raro. Le più volte si cerca e si loda la fine. « Chi nelle infime necessità della vita, tro• va tutta la ragione di vivere: chi nega la vita senza averla provata, chi fugge il mondo non già perché il suo cuore è gonfio d'amarezza e gli oèchi son secchi di lacrime, ma solo perchè ha saputo che nel mondo un'ora cli gioia si paga con cento di dolore ; quando egli osi ancora ri– prendere, per i loro errori, quelli che vivono e si battono nel morula, meriterebbe certo di far la fine dell'ostrica ». « La Pazienza è una virtù che consiglia lasciarsi bastonare solamente dai più forti ». Ecco una meditazione grave ed una ironica, bene espresse e sentite ; rna l 'ostrica 1 e per l'altra favola il cucciolo ed il somaro, io li dimentico compiutamente quando i due pensieri m' han preso. Credo che il ì\lorselli avebbe fatto assai meglio che un volume di favole, una cen• turia di pensieri. E questi mi interessano. Ma penso ch'egli tenga queste favole quasi per un esercizio : io comprendo il desiderio di parlar sommesso, da cui uno spirito non voi• gare è assillato fra il volgo degli urlatori : pro– \'are il timbro della pròpria ,·oce prima d'alzarla. La sua lingua è nuda di letteratura, se non in quanto vi senti lo studio degli antichi toscani ; ma come di chi abb:a vissuto con essi familiar• mente, non li abbia aggrediti per derubarli. Sem– plice e piano, sobrio come chi s'è posto un li- mite. E poi è andato per l:l !'-Uastrada. Da Gaspare Gozzi a Carlo, dall'accademico granellesco al romantico avanti lettera, dalla fa– vola, genere classico per eccellenza in quel suo porre un fine universale alla rappresentazione individuale, all'On"o11e, dramma romantico. III. Credo che abbiano torto quei critici che nel- 1' Orione sono andati a ricercare troppo Sottil– mente i sensi riposti, e o ve li hanno ficcati dove non ci sono, o si sono stizidti di non riu• scire a escogitarne. Il giuoco disinteressato del– la fantasia è cosa che ripugna a quelle menti, come del resto a tutto il pubblico dei nostri teatri. Se quel che si ,·a ad ascoltare non ha qualche altro senso, qualche altro fine, o non serve almeno da droga afrodisiaca, i letteratis– simi da un lato, e coloro a cui il teatro serve per pass:i.re la serata senza accorgersene, dal– l'altro, sono presi da un comico stupore che si converte subito in indignazione. Nel pubblico fiorentino, ad esempio, l'Orione ha suscitato un interessantissimo fenomeno di indignazione mo– rale. Certi tratti un po' crudi, ch'esso avrebbe assaporati beatamente in tutt'altra salsa, offen– devano chi s'attendeva un'opera di poesia. E perché alla poesi:i., penoso dovere, il pubblico pensa oramai d'averci un po' fatto il palato, sa di che vellutati epiteti essa debba condire i pic– coli pezzi di carne cruda, che favoriscono la di– gestione del lungo pasto pesante. J1 teatro rii 1>0esia è una dura necessità della moda; ma al– meno il paziente ascoltatore possa portarne via qualche insegnamento utile nella buona societfl, e il ricordo d'un gentile vellicamento di mani guantate. Chi sa, invece, che cosa vuol dire l'Orione? ed è così volgare 1 L'Orione è il libero gioco d'una fantasia un po 1 secca 1 punto infronzolita, pensosa. La poesia vi è anche pensiero 1 ma il pensiero è tutto ma– teria della poesia, non schema o armatura. TI poeta filosofeggia da poeta. E i sensi morali vi sono, non riposti come per divertirsi a capina– scondere, ma involti nella vita delle persone del dramma allo stesso modo che nella vita reale. Piani dove la rappresentazione è più tersa, oscuri dove più opaca. Si tratta dunque soltanto di intendere l'arte, che è in diretto rapporto con I' intelligibilità. della favol,1. Ascoltatela in buona fede, e sarei per dire umilmente: essa non vuol dire se non quello che dice. E però vuole innanzi tutto esser creduta. S'è .. BiblotecaGino Bianco parlato assai dei tragici greci a proposito della tragicomeclia del Morselli ; ma già, chiamandola cosi, egli ha voluto porla fuori delle solite C:tte– gorie. Ch'egli li conosca, e bene, non dubito; ma il modo cli conoscenza che un artista ha delle opere d'arte altrui, è tutto speciale: llé– rédia imitava, e spesso abbelliva, gli epigrammi dell'antologia greca, di su una traduzione fran– cese. Certi modi naturalmente greci che sorridono qua e là nella snella e nervosa prosa del!' O– rione, non sono sapienza di filologo, ma intimità di spirito. E l'atteggiamento dello spirito del poeta è Lutt'altro che tragico. Egli s'è posto di fronte al mito come un buon vecchio favoleggiatore schiavo della sua favola: vi s'è immerso tutto. Prima dell'ultima scena, per tutti i tre atti, si vive in un mondo pro– fondamente reale; e i tre dei, padri dell'eroe, e Diana nel bosco, e Lino che s 1 odc cantare, hanno per noi la stessa immediata esistenza che i personaggi ~ulla scena. Una ,·ita schietta, in cui gli dei han quasi la statura degli uomini, e gli uomini poco meno di quella degli dei, in un mondo in cui ciò non dev'essere maraviglia, po– polato cli grandi belve e ferace di grandi vigne: qui è la vera serietà dell'artista: averl:i. vissuta. Orione tiene il campo, e la sua breve salace avventura, che sta per chiudersi con le sante nozze, Orione grande cacciatore di bel\'e e vio– latore di ninfe al cospetto dei suoi padri divini. « Orione .... Orione solo ! può ridere della sua gloria che nulla gli costa! ... la Terra è madre sapiente: gli ha dato bellezza, forza e salute, senza risparmio .... ma tanta ;mima appena .... quanta basta per vivere, e nulla più ! » Questa meditazione di Malusio é, per chi non I' inten– desse altrimenti, la chiave della figura di Orione; e tutto quel ch'egli dice o fa, le si adegua mi– rabilmente. E intorno a lui, e tutta sconvolta e dominata da lui, si volge la varia vita degli uo– mini, ansia e speranza, vizio e passione, tutte le figure minori, moventisi fra !'ombre e le luci d'una prospettiva sagace veramente animata cia– scuna cruna sua semplice vita unilineare: il vec– chio padre amoroso, il servo fedele, la meretrice, la donna innamorata (e come !), la nutrice ; e il divino re Enopione figliuolo cli Bacco, col suo eunuco querulo e il suo cerimoniere intrigante. Matusio, saggio d'una sapienza che non gli giova, e mercante d'un' altra sapienza a cui non crede, filosofo per sè e indovino per gli altri, occupa il primo piano quasi con Orione. Solo con quest:l forza brutale la sua mercanzia è quasi vana, ed egli conquista il grande eroe puerile per la vanità e per le risa. La diceria che gli fa, delle avventure della sua testa ubbriaca, è un primo sfogo della sua vera sapienza, ma tra– vestita in cenci comici : Orione è beato di que– sti, mentre l\fatusio vi persegue, attraverso i fumi del buon vino e del buon cibo, una sua idea che sembra sfuggirgli continuamente. E non è saggio se non con sè solo, nel monologo del second'atto, della sua umile sapienza digiuna. Ma l'ultima scena del dramma ci innalza in un mondo diverso. Orione ha sfidato la Terra a su– scitargli contro un mostro più forte di lui, ed ora gli convien morire del bacio d'uno scor– pione. L'invocazione a Giove padre celeste, e la imprecazione alla madre beffarda, improvvisa– mente ci fanno assistere alla calda formazione del mito. Tutto il piccolo mondo sparisce, e il grande Orione dimentica il padre e l'amante per con• versare con gli esseri della sua vera statura. « Se tu con la mano mi segni la strada sulla gran \"Olta del cielo, per mezzo alle eterne fi– gure, passerò silen.tioso. ,. « lo m'affaccerò sul mare, per vedere le ultime vendemmie ... e non appena le vedrò finite, su leverò la mia spada, spaventosamente alta, sopra la Terra briaca .... e incomincerò la mia vendetta. » La vera natura d'Orione, che Matusio aveva detto in piccole parole dalla sua sapienza, tutta si svela ; e so– pra le passioni e gli amori, sopra la stoltezza e la sapienza degli uomini, egli riconosce la sua fra– ternità di forza e di bellezza e di dolore con lo spirito cieco della terra e del cielo, con le forze originarie, con la natura che è intorno a noi, e pure cosi alta e lontana, che è dentro di noi, ed altra da noi. Orione è passato tra gli uomini, come in ciascuno spirito nostro passa l'oscura brutale materia della vita, quella che è gioia perfetta a chi vi s'abbandona come ad acqua corrente, quella che è tormento perpetuo a chi le rilutta per conquistare la foce e la vetta. Ed è tornato in cielo, ed ha il governo delle tempeste. RAFFAELLO PICCOLI. ·Pro e contro la Massone-ria. Cara Voce, il tuo discorso del n. 33 su « La Massoneria nel Socialismo » e il titolo « Corru• zione massonica» che desti nel n. 31 a una let– tera aneddotica del Prof. Dino Provenzal puzzano di metodo storico. Tre dqcumenti insignificanti ti servono a tratteggiare storia modecna di ma– niera, come i documenti sui quali si fan miopi gli storici puri sen·on loro a descriver con la biacca i colori di uno pseudo passato. La lettera Provenzal come documento anti– massonico non dice nulla. Dice soltanto questo, che a quel bravo professore son capitate i11terra di cafoni avventure ove naturalmente son pro– tagonisti i cafoni e lui. Quando i cafoni, nel commetterne una delle loro, si fanno il segno della croce ~ invocano l'architetto dell'universo non c'entra nè Cristo nè la massoneria, c'entra la cafoneria, cioè quella mancanza di coraggio. di senso d'onore, d'idee civili e di rispetto a sè stessi che è propria oggi dei novanta centesimi de' meridionali. E non essendo possibile fra i cittadini d'una stessa comunità tener lontani dalle espressioni civili o incivili quelli che apparten– gono a strati storici immaturi, ecco che di quei tali novanta cafoni venti o trenta penetreranno automaticamente i partiti o le sette rosse, altri venti o trenta si butteranno ai partiti o alle sette nere e subito in seno a ciascun fenomeno ita– liano si delineerà la questione meridionale che non deve peraltro svisare i giudizi intrinseci sulle sette o sui partiti. Nel n. 33 tu seguiti, cara Voce, a immaginare di certi altri documenti una portata che non hanno e citi il Semp,·e Ava11li e la 1Jfarli11ella contro I' Az,a11/i I e contro i blocchi approvati dalle Loggie. Se l'Avanti!, dopo i primi assalti socialisti alla poltroneri:l italiana, divenne ed è rimasto, specie per I' inter\'ento del buon Ferri e di molti cafoni, un giornale meschinamente concetto e turpemente redatto, un asilo di mendicità intel– lettuale e di miseria morale, la colpa mi par più di quei « socialisti devoti » che se c'erano e non ci son più vuol dire che hanno] disertato, che non dei farnbutti massoni insinuatisi secondo te nelle loro file. Ma in vero non si tratta di con– quista massonica dei poteri socialisti, sibbene di riassorbimento borghese e colonizzazione a\'V0• catesca. Tra i borghesi, e borghesi avvocati, dei massoni, come dei clericali, naturalmente ce n'è troppi : i primi sciamano verso il profumo di carogna dei fogli e dei comizi popolari, i secondi verso i pòllini tabaccosi dei fogli e delle con– venticole di colore oscuro. È tutto quel processo italico di decomposizione del passato ~ germi– nazione verminosa del presente che al tuo diret– tore cara Voce, pone in bocca la domanda: Che fare? Se poi qua e là si van costituendo blocchi fra gente che non sa che acqua si bere, e i blocchi hanno programmi di sole parole, ma fanno, come a Firenze 1 asinerie da pigliarsi con le molle, domando e dko che novità è mai questa in Ita– lia e dove r:i si veda l'influsso speciale d'una setta segreta. Ahimè ! nemmen di quella! Gli influssi sono di farmacia, di giornalismo, di pro– vincialismo, di curia, di morale furbesca e so– prattutto della solita italica bolsaggine. L'antimassonismo che, al pari di molto anti– clericalismo, è per lo più leggerezza, posa, sguaia– tezza, nel caso tuo, cara Vore, ha intenzioni d'oro ma manca d' informazione. Tu dici che a esser massoni si fa carriera. T'assicuro di no. Certo a essere intriganti e vili si fa carriera anche se massoni, anche se cleri– cali, anche se capi ameni, e non soltanto nel Bel Paese, ma la massoneria non è organizzata affatto per il vantaggio dei fratelli a danno dei cugini. Tu dici che la massoneria è una società se– greta, sospetta, immorale. Non pare che sia segreta, è mert"/amente sospetta, non è immorale. Di segreto 1a massoneria ha o vorrebbe avere qualche rito ; e poi ? II resto è il segreto di Pul– cinella. Sospetta si, e, come ho detto, merita• mente. Quando sul collare di molti figuri si legge non solo ; avvocato, medico, ragioniere, specia– lista depilatore, ma anche : massone, vien fatto di domandarsi : o che i massoni sian tutti figuri? Per analoghi allarmi della coscienza e incompo– sta prontezza a generalizzare si dice spesso: ac– cidenti agli avvocati! cretini di medici! e via. Tocca ai massoni, ai medici, agli avvocati far che la loro federazione o classe si purifichi dai figuri e dagli imbecilli, ma è giusto riconoscere che questi non sono tutta la massoneria, non rappresentano la legge, non esercitano tutta la medicina.

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