La Voce - anno II - n. 31 - 14 luglio 1910

358 LA VOCE tori vi stanno come a pigione, come si sta in un fiacchere. Quando c'è entrato l'ultimo pi– gionale, Averardo Borsi, con un mutamento improvviso, sono corse voci assai gravi in molti giornali. Si è veduto in ciò l'azione di capitalisti che avevano interesse a far passare le Convenzioni Marittime. Le voci sono state smentite. Quando c'era il pigionale precedente, Yorikson, s'era visto l'interesse del marchese Gerini a diventare deputato di Borgo San Lo– renzo. Comunque sia, l'entrata del NuovoGior– ,iale nella scena politica e morale di Fireme coincide, presso a poco, con quella sfacciata e dorata della Firenze moderna nella Firenu, antica, della Firenze delle banche, delle in– dustrie, degli affari e degli affaristi, nella Fi– renze degli impiegati, delle clientele agricole, dei pensionati. Ma coincide anche con quella disorga~iz– zazione dei partiti e del carattere che è il blocco popolare. Il Nuovo Giomale, è stato, sotto Yorikson, il giornale del blocco. Men– tre prima non esistevan di fronte, come par– titi seri, che conservatori e socialisti, e i so– cialisti lontani dal potere andavano compiendo quello che è loro più vero ufficio, cioè l'or– ganizzazione dei lavoratori, ora le questioni elettorali attirano tutto l'interesse del prole· tariato, e tutto il partito socialista, nella sua forza elettorale, è messo al servizio dei radi– cali e demo-sociali borghesi che hanno le ca– riche in Palazzo Vecchio. A questa falsa e confusionaria democrazia si deve la moralmente scandalosa elezione del marchese Gerini, nella quale si videro i socialisti far da galoppini al borghese ram– pollo d'una famiglia clericale, che conqui– stava un collegio non certo per virti1 di prin– clpi o per eminente personalità. Fu una ri– voluzione per il buon fiorentino e toscanino d'un •tempo, ligio ai grossi nomi dell'aristo– crazia, servo fedele e poco remunerato della « clientela >, abituato a votare per il pa– drone. Ma fu sopratutto una rivoluzione morale, uno schiaffo dato a tutti i princlpi di coe– renza e a tutte le speranze nella propaganda ideale: da allora il dubbio è insito in ogni lotta elettorale, che basti un signore genero~o e un giornalista audace per conquistare i col– legi di qualunque partito, come ieri fu con– quistata la rocca del conservatorismo toscano. A me non sta più a cuore il marchese Ge– rini del marchese Torrigiani: ma sento do– lore di quanto allora è avvenuto per la cre– scente corruzione del paese in cui vivo. Nè posso trattener la protesta contro un giornale che abitua il pubblico ad improvvisi volteggi, a mutamenti non giustificati da nessuna ra– gione. Lo scetticismo cresce, i migliori si ritirano dalla lolla, ogni partito perde le nozioni dei propri limiti, la confusione mescola le per– sone e gli interessi più opposti in una v1101a concordia. A questa tradizione di falsa democrazia non ha punto derogato Averardo Borsi. I socia– listi di Firenze l'hanno ferocemente attaccato perchè, dicon loro, finto democratico ; come se la democrazia che aveva preso a pigione il Nuovo Giomalc prima del Borsi fosse più autentica di quella d'ora I Il torto è stato fin dal principio di chi ha fatto ingollare ai fioren– tini queste forme spurie di democrazia, che ricevono l'imbeccata dalle logge massoniche e digeriscon tranquillamente i marchesi Gerini. Chi ha abituato il pubblico a queste falsifi– cazioni, deve aspettarsi un giorno o l'altro lo scherzo fatto dal Borsi, il quale ha seguito il buon esempio di Yorikson. Il Borsi ha creato una democrazia di marca speciale, la democrazia, dice, di quelli che pagan le imposte, e tende a fare del Nuovo Giornale un giornale senza colore, obbiettivo (?), che si occupi della Toscana industriale e produt– trice: un quid simile a quel che, in altro campo, è stato il famoso « Partito economico » di Milano: di quei partiti che hanno il cuore nel portafoglio e la testa nel salvadenaio. Lo stato intellettuale dei nostri giornali è facile immaginarselo. Nei primi 1empi il Nuovo Giornale ebbe articoli abbastanza buoni, anzi bisogna che renda giustizia a un gio– vane del quale ho detto male, (nè mi dis– dico), per altre sue manifestazioni, ma che nel Nuovo Giornale d'allora scriveva articoli di informazione su questioni religiose, che erano fatti assai bene: dico d'Aldo Sorani. Ma oggi non ce n'è uno che si sollevi, se non di radissimo, dalla comunalilii d'espressione e di pe:isiero dei giornalisti di terzo ordine. Ciò che più spiace, non è poi tanto l'assenza di intelligenza e di coltura, quanto il nessun spi– rilo d'amore per l'idea e per il pubblico, cbe ~i legge tra le linee di chi seri ve; quanto la nes– suna preoccupazione superiore che si sente in tutto l'ambiente. L'effetto naturale, il fiore spontaneo che nasce da un !aie terreno è il giornale della beffa, del gioco di parole, della presa di bavero senza forza e senza convinzione : Il La111pio11c. Il lampione è il giornale fioren– tino per eccellenza, gustato da lulli gli uo– mini cli tutti i partiti, espressione genuina della mancanza di fede di un:. città che ~ bandona una tradizione meschina e stinta, ma ancora pulita, per la nuova vita caotica im– brogliata insana scettica arrivista. Come un tempo la città di Stenterello ebbe per gior– nale popolare La Chiacchier11 delle ciane, nel periodo pieno del suo più sano popolarismo ebbe il Vero Monello rivoluzionario, oggi ha finalmente li La111pio11c, edizione fiorentina del Tra.vaso di Roma, dove i giornalisli cor– rispondenti dei giornali di più vario colore, ritrovano finalmente il vero colore e la vera personalità fiorentina in quel riso, non rabe– laisiano purtroppo, che non scuote le viscere, non accende il cervello, non tocca il cuore, ma che si arresta sui piccoli difetti e sulle qualità più esteriori degli uomini, sorvolando di superficie in superficie, come un soffio di vento fiacco, e piace a tutte le persone d'a– nimo piccino che godon di veder ridotta ogni cosa alla capacità dello spirito loro. Giuseppe Prezzolini. Al prossimo numero, per disguido di bozze, l'articolo di Alberto Caroncini : e Che fare? • IL SUPERAMENTO Negli scritti e nelle conversazioni degli intel– lettuali si può osservare, in Italia, da alcuni anni in qua, la frequenza con la quale ritorna la pa– rola « superare », e Lutti i suoi derivati. È co– desto uno dei tanti casi comprova11ti l'influsso che il movimento del pensiero filosofico ha sul– l'intera distesa della vita teoretica. l\la presso i cosi detti intellettuali si comincia a notare altresi qualcosa, che è più che l'uso predileuo di un semplice \·ocabolo: la predile· zione per l'atteggiamento del superntore. Non c'è da stupirne. Quell'atteggiamento solletica l'amor proprio; e ai giovani in particolare sem– bra, con l'assumerlo, di essere giunti di volo sulle alture, di sovrastare ormai alla generazione che li ha preceduti, di avere prodotto qualcosa di personale e di proprio e, mentre ancora fer· vono di una vita che li ,·olge all'avvenire, di essersi collocati nella storia. Congiungere il moto con l'arrivo, i vantaggi della gioventù con quelli della virilità e della vecchiezza, la \'Ìta attuale con la solennità della storia, sarebbe, di certo, una bella soddisfazione ! Senonché, io che sono stato tra gli autori della nuova voga conferita al vocabolo di « supera– mento » ; e non vorrei essere tra i promotori nè dell'abuso linguistico di essa, nè dell'atteggia– mento al quale essa serve di vessillo ; mi per– metto di sottoporre alle riflessioni altrui alcune noterelle intorno al concetto di superamento, che varranno, forse, a raffrenare alquanto cosi quel– l'abuso linguistico come quell'atteggiamento pra– tico. E, cominciando dal primo, dirò chP. il supe– ramento è nient'altro che la teoria circa il ritmo o la vita del pensiero, anzi della realtà tutta. Ora, è di catth·o l{_USlointrodurre i termini tec– nici delle dottrine filosofiche o scientifiche nella conversazione e prosa quotidiana, quando non si tratta di definire e affinare concetti filoso– fici, ma di \'acare alle proprie faccende ed esprimere nel modo più semplice e limpido i proprii pensieri su fatti e problemi particolari. Perciò bisognerebbe evitare al possibile (o farne almeno un uso discreto) le parole di « supera– mento », di « ttsi, antitesi e sintesi», di « dia– lettica », e via dicendo, che riescono tanto fa. s1idiose qua1110 sarebbero, e sono, quelle di « imperati\'O categorico », di • subordinazione all'uni,·ersale >>, di « rispetto all'Essere», allor- BiblotecaGino Bianco chC si tratta d'inculcare a un impiegato l'osstr• vanza cleWorario di umcio; o il vocabolo d' « in– tuizione » e di « forma fantastica », allorché si vuol dichiarare la propria stima o disistima per quattro versucci e per un bozzettino. Altrimenti, si ha l'aria di scansare le difficoltà intrinseche col ricorrere alle formule generali; o, quanto meno, si rischia di rendere ridicoli, mercè l'uso i11opportu110 1 quei vocaboli solenni. Si riserbi, dunque, il vocabolo cli << supera– mento » ai dibattiti circa la teoria del supera– mento; teoria malage,·ole, irta di scogli. sparsa d'insiclie 1 che meriterebbe di essere indagata con ogni acume, e sulla quale, mi sembrai non si è lavorato quanto si dovrebbe. Peggio assai 1 perché non si trnlla di semplice ridondanza, improprietà e cauivo gusto lingui– stico, ma di errore concernente pili profondi va– lori spirituali, è l'atteggiamento del supera/ore. Qui la ridondanza è riclo11da11zaetica, la gene– ricità è vanità 1 il cattivo gusto è cattivo siltii- ,. clie,~ Cesclunack. li superamento 11011 può essere un fine che s1 persegua per sè stesso; come non è un fine la moralità in astratto, tantochè (come è L,en noto) coloro che piti parlano di moralità meno moralmente operano. La rnoralità consiste nello sforzo d 1 ogni ista1ne contro piccoli e pro– saici ostacoli 1 che costituiscono le sue stesse condizioni i e l'uomo morale è cosi preso e im– pegnato in questa lotta spicciola che non sa, o dimentica affatto, che egli sta auuanclo la moralità. Egualmente, la viuori~, nella sua generalità, non è il fìue del soldato: alla vittoria in astratto volge i suoi ardori il mi!es gloriosus. Quando si leg– gono memorie di militari, che narrano le guerre realmente combattute, si vede, con mera\'iglia, che coloro non cercavano la vittoria, ma, per esempio, di far tacere un pezzo cli artiglieria po• stato sopra un'altura 1 o di giungere a un pozzo dove le soldates ... ht si sarebbero alfiue dissetate! 1i'1altri termini, quel che importa è la solu– zione del problema che si ha innanzi, senza preoccuparsi se questa sembri vecchia o nuova, senza proporsi di oltrepassare il già detto, ma proponendosi soltanto di veder chiaro in quel prÒblema. Si può star sicuri che ogni verità, se è verità 1 è sempre nuova, perchè sempre con– quistata con uno sforzo personale, che, essendo sempre diverso, le conferisce una nuova forma e ne fa una nuova verità. Coloro che verranno poi, doveudo narrare la storia dei tempi nostri, e perciò introdurre certe espressioni empiriche d'importanza, divideranno la serie di verità in verità originali e verità meno originali. l\la quale strana generosità, spinge le generazioni presenti (le quali hanno i loro ben definiti c6mpiti) ad addossarsi anche il lavoro, che gli storici futuri dovranno eseguire, se ne varrà la pena, sull'o• pera alla quale esse attendono? A proporsi come fine quella che è una formola generale, ossia il superamento per sè stesso, c'è. pericolo che 11011 si conquisti verità alcuna nè \'ecchia nè nuova, e rimanga in cambio il mero atteggiamento, ed anzi il « gesto » ciel « superato– re ». Il pericolo è tanto maggiore i11quanto gli in– tellettuali italiani di oggi sono quasi tutti, o per fatto loro proprio o per eredità vicinissima 1 in– fetti della sitilide dannunziana, della quale si vanno curando, ma che richiederà ancora molte e molte irrigazioni cli sublimato per essere comple– tamente espulsa dalle loro vene. E una delle ma– nifestazioni pertinaci di quel malanno è la so– stituzione dei gesti alle azioni, degli ampii at– teggiamenti ali' opera ristretta e modesta ; e, nel caso presente, dell'astratta velleità cli supe– rare al superare effettivo, che si compie tacita– mente, senza annuncii e senza proclamazioni, e, quasi direi, senza averne coscienza. BENEDETTO Ck.OCE. MOUSSORGSKY E DEBUSSY Ho letto tempo fa uno s111diodi M. D. Ca– valcoressi Aloussorgsky, nei 1lfa.ftres de ta musi– que, (Alcan 1908) - sull'au1ore del Boris Co– do1111ow, il mirabile rnusicista autodidatta 1 che, sdegnoso di qualunque aiuto scolastico~tradizio– nale volle e seppe da sè solo, col proprio cer• vello « scoprire la musica ». Il libro ciel Cavalcoressi è forse uno dei pochi saggi cli critica musicale, se non perfetto, in alcune sue parti assai buono. La personalità del ~loussorgsky vi rivive intera, con tutte le sue qualità di contenuto e cli forma. In quanto al contenuto egli fu uno dei più vasti poeti-musicisti che abbiano finora avuto le nazioni ; in quanto alla forma egli offre allo studioso un esempio direi quasi esterno ed onnivisibile cli quella mira– colosa autogenesi musicale che riavviene in. ogni vero compositore anche Se! egli in tre qua,'/i dei!a sua opera sia.si riadagiato « dans te sein. de La tradiction. ». E souolineo intenzionalmente queste mie parole, giacché se ~loussorgsky ha « scoperto la musica», non meno l'hanno scoperta per dive– nire originali e laddove sono veramenle origina.li e \Vagner e Beethoven e Schumann e i\lozart e tutti quegli scrittori cui la strettezza critica e la limitatezza sia pure intensissinrn del ;\Joussorg- sky chiudeva nel polveroso ar111 ~cl.io della tr~– clizione. Certo una differenza emp1nca tra lo svi– luppo cieli 'arte dei classici tedesd1_i e dell'arte moussorgskyana c'è. i\la 110~1 consiste altro che in questo: che in \Vagner e 111 Beethoven la for– ma personale, che, in quanto è personale, t~a~cen– de quanto quella moussorgskyana la trad1z1one, sembra staccarsi a poco a poco con processo len– tissimo dall'imitazione più o meno vivace e libera dei modelli estranei a sè stessa: mentre in ì\lous– sorgsky il miracolo .noi~ .a~cade _per c:is! l~nta e ai più - cioè a quei cnt1c1! og~1 111olt1s~11111, eh~ non sanno vedere che i fatti facilmente nentrant1 nello schema estetico di moda - segreta e ina\'– vertibile sibbene avviene coram papula, con un salto ap1;arentemente improvviso. L'art~ è infatti sempre partenogenesi ; ma mai come 111 Mous– sorgskr questa imprevedibilità ~ss~h!ta dell'~tto creativo colpisce anche i meno rnclln1 a cogliere l' immu~abilità delle categorie sotto il molteplice intrecciarsi dei fenomeni. Il Ca\'alcoressi esamina e pone in rilievo in modo esauriente il novissimo miracolo Moussorg– skyano. Con entusiasmo a cui. - vedre_mo più tardi - si mescola lo zelo 111tempesuvo del neofita debussista, egli analizza Con audace per– Spicacia l'anatomia più impercettibile della forma operistica del ì\foussorgsky, e I~ sua ~uprema razionalit:'l - che tanti arretrati vogliono ca– restia di logica - e la sua bellezza semplice e ingenua. Le pagine che commentano l'esposi– zione del Boris: quelle intitolate: 11/oussorgsky musirien; quelle che rintracciano le peculiarità d 1 espressione nelle « romanze » ; sono tutte, a mio parere, modello di rarissima criti~a mu– sicale e finiscono col convincere e, conv111cendo con la chiarezza tutta francese con cui sono pen– sate, finiscono anche per entusiasmare, sebbene non fioriscano nè d 1 effusioni sentimentali, nè cli vane imnrngini di sprecata poesia. Se non che, se il critico è riuscito perfetta• mente a farci p;1rlare uno spirito da noi latini così lontano storican1ente e geograficamente e per di più così geloso anzi avaro di sè stesso 1 com'è quello di l\loussorgsky; se ha raggiunto tutta la chiarezza del possibile nel raccogliere da tutta la sua opera in poche formule precisis– sime gli infiniti elementi sparsi di quello che potrebbe chiamarsi il paradosso moussorgskyano - idiosincrasia, come dice il Cavalcoressi - paradosso che consisteva nella creduta necessità di 11011 snper musica per crearla ex-abrupto, rea– listicamente, sotto la continuamente mutevole suggestione del testo ; non mi sembra poi che il critico stesso abbia saputo superare tale pa– radosso, debellare talt idiosincrasia, ma che anzi l'intero libro ne sia inquinato a un grado cosi intenso da esserne tutto diminuito cli valore. E si noti bene che il paradosso d'un artista come il paradosso cli un'eroe cessa di essere paradosso in quanto serve di base a un allo spirituale che non vuol essere scepsi scientifica, ma creazione di un fatto nuovissimo negante qualunque altra contemporanea attività spirituale. l\toussorgi:.ky chiamava stilizzazione - e proprio nel cattivo senso con cui oggi adopra questo concetto un recentissimo esteta - lo svolgimento del r 0 tempo della sinfonia in mi bemolle di Schumann, e aveva ragione. Le sinfonie di Schumann nei loro massimi tempi (il 1° e il 4°) sono spesso stilizza– ::ione, il che non toglie che lo Schumann e in altre parti delle sinfonie e specialmente ntl Alanf-rEdi non sia uno de:i creatori dell'orchestra moderna. Ma il Moussorgsky - e di qui comincia il parados– so - arriva più in là : sentendo in sé balzare immacolata e intatta da qualunque superfeta– zione scolastica 1a sua bella libera volontà di creare, irritata anzi più dalla tristezza delld sa• piente retorica schumanniana, ecco quello, che osa dire : che lulln la << musica pura» è stiti::– ::azione, con palese intenzione di riferirsi a Mo– zart, Mendelssohn, Schumann e a \Vagner, di cui non cita neppure il nome tra « les reforma· teurs tels que Palestrina, Bach, Gluck, Beetho– ven, Berlioz, Liszt ». Paradosso estetico enorme, che getterebbe a mare un numero arbitrario di veri e nuovi musicisti. Paradosso generato da una idiosincrasia, di cui il Cavalcoressi s'accor– ge, ma, turbato anch'egli eia un analogo errore,. (la nuova idiosincrasia dcbussystica), non sa de– bellare superandola con una vera e propria sin– tesi critica. lnfatti, come ho già detto, l'arte, quando sia veramente arte - cioè intuizione d'un nuovo contenuto lirico, il quale non può altrimenti essere espresso che in un modo nuovo, 11011 essendo possibile, assolutamente parlando, il caso d'un artista che vedn un mondo nuOvo e l'esprirna in un linguaggio vecchio - è par– tenogenesi. La c,,otta di faì'ngat, lo Scherzo d'una 110l!ed'estate, per non citare altri capolavori men• delssohniani, le sonate per violino di Bramhs, certi suoi scherzi e intermezzi ecc. ; possono sembrare agli spiriti angusti dei novissimi neo– fiti del futurismo musicale vecchia espressione, ma in realtà sono bellezza assoluta e quindi no– vità impreveduta rispetto al passato e al futuro; onde quei capolavori sono dalla critica esatta– mente· eia distinguere da ciò che di brutto (re• torico, stilistico) sia nell'opera d'un ì\fendels– sohn e d'un Bramhs. Lo stesso si dica per lo Schumann la cui vera opera viva e imperi/11,ra in gran parte si restringe alle composizioni pia– nistiche e in speci.:il modo al suo primo ciclo compositivo. Lo stesso si dica, e più di tutto, trattandosi nel libro del Cavalcoressi in princi• pal modo dell'espressione musicale dell'opera, cieli' immensa opera di \Vagner, dav~mti alla quale, non se l'abbia a male il Cavalcoressi e con lui il suo Debussy antiwagneriano accanito, il Boris Comlonow e Les Cl,ovanski à 11/osco11, appaiono infinitamente più piccoli e meno signi– ficativi. Di tutte queste distinzioni e cli questi fatti oppugnabili soltanto dal falso zelo dei neofiti, doveva dimostrare d'aver piena coscienza il Ca– valcoressi per fare opera di giusto critico. Da• vanti alla suprema categoria dell'arte i concetti empirici di musica pura - di opera attuata rea– listicamente e tradizionalmente ecc. ecc. spari• scono tutti per lasciar libero lo spirito del cri– tico d'accertare se tale produzione è o non è espressione d'un nuovo e necessario contenuto lirico, se soddisfo cioè all'esigenza di essa ca– tegoria e, per essa, all' esigenza della suprema delle categorie: l'essere. 11 Cavalcoressi, anch'egli, mi sembra creder troppo che l;i musica di \\"agner sia - e in senso catti\'O - stilizzazione, mentre, se mai, la verità è che, accoppiando ostinatamc:nte nel giu– dizio il Boris Cot!ounow e il Petléas et 1llelisa11de e dimostrandoli infinitamente più ùnmedinti e in– genui per es.: dei Jlfaestri Cantori, egli obbe-

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