La Voce - anno I - n. 47 - 4 novembre 1909

196 nile, crea armonie e sinfonie, ma qui non le vedo. Vedo delle donnaccole nude o semi– nude, degli infermi uggiosi uggiosamente di– pinti. delle vignette da romanzo mensile, e non una tr:1.cciadi novità, di poesia e nem– meno di quella luce che il suo pennello di impressioni!lta dovrebbe cercar di far balenare nelle sue pitture. È un peccato pcrchè a\'rei visto volentieri come ci si giova di qua dalle Alpi degli insegnamenti di quella scuola glo– riosa che Fradeletto ignora, ignora tenebro• samente. A meno, tuttavia, che per impressio– nismo non s'intenda, qui fra noi, I' innocente truffa pittorica del malinconico Antonio Mar– tini. Ma non parliamo di Antonio Martini e nemmeno di Guglielmo Ciardi. Son della povera gente stantia, mortificata dall'attesa dell' ii-pirazione e della forza che non vengon mai, pentiti for~ di non aver seguito il con– siglio che Foscolo dà ai loro simili: « siediti dunque e fa' il sarto » 1 e non bisogna stra– pazzarli. Rispettiamo anzi quella loro nullità cullata dalle lodi e dall'approvazione delle anime buone. Un giorno o l'altro passeranno, come tutti noi, ahimè l a vita più serena e il lor nome con essi. Di chi bisogna invece parlare è d'Alberto Pasini, buon'anima. Questo obbiettivo nato a Busseto, degno rÌ\·ale del terribile Benjamin Constant e amico degnissimo di Geròme, si dovè buttar nelJ' arte come un altro si but• terebbe nel commercio delle fotografie e delle cartoline. Uomo pratico quanto mai, capl 1 certo, che il lrompe-l'<ril, la riproduzione meccanica, la fotografia in colori, sono, in fondo e sempre, Punica delizia di un pubblico diseredato d'aspirazioni verso il bello, il li– rico, il nobilmente grande, e subito si dette a lavorare per quel suo pubblico. E perchè questo non saprà mai capacitarsi che l'orto di dietro casa, il campo che si ,·ede dalla fi– nestra o la gente con la quale ci s'incontra ogni giorno, che parla come noi, che veste come noi, possano interessare in un modo qualunque, se raffigurati sur un pezzo di tela, di legno, o di carta, ·e agogna perciò alla finta immagine di paesi e di popoli lontani, i quali rappresentan, per esso, unicamente, con realtà, il mistero, Alberto Pasini volle cattivarsene la grazia, col contentarlo anche in questo, e parti in cerca di luoghi e di costumi nuovi. E perchè il pubblico ama pure la modera– zione in tutto e non vorrebbe m3i che, per esempio, gli si dicesse con G3uguin che i mori dell'Affrica son belli, Alberto Pasini scelse quella parte del mondo e quei popoli che per esser leggendari e pittoreschi non sono meno accessibili e, per più ragioni, fami– liari .tlla mente dell'uomo mediocre: - l'oriente. Cosl dipinse e dipinse, a centi· naia, a migliaia, quadretti gelidi, cristallini, feroci, che taglian l'anima come rasoi. Nè per lui era dinìcile chè ave\'3 le sole due cose veramente necessarie per un t:11 mestiere: occhio sano e polso (ermo. Con questi requi• siti e parecchia :abitudine si fanno mirJ11coli. L'anima? è inutile, anzi nuocerebbe. Non si tratta che di riprodurre esattamente quel che si vede col nostro occhio bottegaio, rialzando tutt'al più di un tono il colore della realli perchè faccia più effetto sul comprntore e basta. Il pubblico abbocca e in poco 1empo si va alle stelle clellR bancl\ del ciel zecchini 11rde11ti. Senonchè Alberto Pasini preferiva restare in terra e con zecchini meno metaforici com– prar terreni e besti3me. Cosi, non ancor ben vecchio, si ritirò nella sua villa di Cavurreuo a coltivar pere cosce e maiali ed agli amici che lo visitavano - dice uno qui del cata– logo - e mostrava con orgoglio i prodo11i ec– cezionali del suo orto, della vigna, dei suoi campi, della sua stalla, con orgoglio mag– giore che non provasse per l'arte sua ! ,.. Sfido io! l'aveva disonorata e prostituita! Chi la vede qui a Venezia lo s.1. Ciò nonostante questa pittura \'endereccia dell'abile bussetano vale un Perù :t petto della scultura che mi trovo ora fra i piedi. Son nella sala di Fr-.ancesco Jerace che la ma,!:che– rata ciel Sartorio orna e che l'opera dello scultore riempie. E dalli, e dalli, e dalli, e dalli, e dalli Con ques,i ca\•Olacci riscaldati. LA VOCE Che cosa si può dire, santo iddio, di que• sto scalpellino che nemmeno i critici italiani ardiscono esaltare e che \lien presentato timi– damente1 d'ufficio, da un A. F. che neanche lui si compromelte troppo? Diciamo tuttavia, come il suo padrino, ch'egli e passa facilmente da un genere al– l'altro > e aggiungiamo che in 1ut1i sfoggia la stessa scipitaggine cogliona e abbietta. Kon si potrebbe esser pii., equi. Come in– \'ece non si potrebbe essere abbastanza cru· deli se si dovesse occuparsi di pittorastri se– dentari, anemici e nulli come Girolamo Cai– rati. Perciò glissons. E glisstms anche su Cesore Tallone, e sul Carcano e sul Del– leani, glissom, glissons. G/issons su tutta que• sta rigovernatura, su tulta questa fungaglia pittorica, su questo paesaggiume, ritrattume, cittadinume, sputacchioso, pidocchioso, inu– tile, opprimente, insopportabile, esas~ante. Troppe ne abbiamo ingollate di queste « bie– tole acide con ambrosia ». Ora basta. Cer– chiamo legumi pili freschi o almeno più grossi. Cerchiamo gl' invitati stranieri. Ma no ecco qua un altro gastigo 1 sono i pastelli di Francesco Gioii, le Armonie fio– renlù1e. « Se sapesse con che piacere li bo dipinti ! - esclamava questo pittore mo• strando i suoi quadri al suo biografo - sera per sera tornavo laggiù lungo il fiume, col passo lesto e il cuore palpitante, come se a\·essi a,,uto vent'anni e fossi andato a un appuntamento con qualcosaltro che una nu• \'Ola viola e una statua di pietra .... >_ È commovente, ma che farci se queste nuvole e queste statue son tanto insignificanti come del resto tutta la pittura di questo ottimo complice di \linea, del Cannicci e del Sorbi e di tutte le comparse del macchiaiolismo? Tiriamo di lungo e perdoniamogli d'aver questa volta insultato alla bellezza Ji Firenze e alle sue armonie, in grazia della sollecitu· dine del suo amore senile. Che se poi, come trapela dalle sue parole, egli se ne compiace, tanto meglio. c~esl ainsi que Die11, q11i es/ juste, donne aw,· gre11011illes de la satisjaction de lmr cha,1/. Ardengo Soffici. CAVOUR Il. Il Risorgimento italiano non s'intende senza l'opera e il genio di Cavour. Come Bismarck in Prussia, Ca\'OUr in Piemonte (u il mode• ra1ore supremo, fu l'arbitro definiti\•o di que' diversi e cozz:mti moti che vanno sotto il nome unico di rh 1 oluzione italiana; fu uno di quei genii pratici che nelle epoche di ri\·olgimenti, piene di idee, di confusioni e di incertezze si fanno av:mti e s'impongono per la \'isione nitida che hanno degli eventi, per il partito che ne sanno trarre colla pron– tezza e l'abbondanza delle facoh:1 intellet– tuali e morali, e per l'audacia, la tenacia di volonlà con cui operano mentre gli altri stanno a teorizzare, a commentare e a discu– tere. Con tutto questo, Cavour è ben lontano dal rassomigliare a Bismarck, dall'avere quella sua strultunt mentale soldatesca e barbarica, quell'impeto di dominio e di distruzione, quella tendenza a usare con1ro gli a,·,·crsari il fe~ro e 11 fuoco. Se Bismarck fosse nato e cresciuto in Piemonte nel seno di quella aristocrazia e in quegli :inni che nacque Cavour, non a\'rcbbe certo aspeuato Pelar· gizione dello Statuto e la compartecipazione della democrazia al potere per prendere parte al reggim('nto politico del paese. Si sarebbe scavato il cammino nella roccia purtroppo non più granitica dell,assolutismo i e avrebbe tentato di ricacciare a basso a colpi di leggi o di spada i nuovi minacciosi in\'asori 1 deli– berato a regnare e a regnar solo . .\la il conte di Cavour si decise a iniziare la carriera di uomo pubblico soltanto il giorno in cui i conti suoi pari furono divenuti dinanzi al potere uguali ai figli della borghesia e del popolo, cioè quando orm:1i si sfaldava e ca– de\'a detinitihmente distrutto l'edificio di quell'assolutismo dinastico intorno al quale avevano vissuto, avevano operato ed amato, erano nati ed erano morti i suoi padri e che egli giudicava incompatibile perfino con le proprie ambizioni, che pur erano oltre ogni dire grandi e irrequiete. Diciamo pure che le origini sue, i primi passi, possono anche non sembrare quelli di un grande. Al Cavour del 48 e 49 che scrive articoli sul Risorgimmlo e balbetta alla Ca• mera i primi discorsi, non è mollo dimcile preferire come idealmente e storicamente superiori e più significative le figure di Maz• zini e di Garibaldi degli s1essi anni, triun– ,·iri apostoli e guerrieri. Essi sono certamente più epici e ci paiono anche più vicini a risoh·ere il problema urgente della indipen• denza e delJ3 unilà. Ma queste preferenze non ci aiutano a capire, sibbene a fraintendere la storia d'Italia, la quale come tutte le grandi elaborazioni storiche nacque da una sintesi dei contrari, si che le lotte stesse degli uo– mini che si avversarono ne accrebbero, invece che diminuirne, il valore e la forza pratica e ideale. l. 1 unità d'Italia non fu compiuta se non quando la grande idea unitaria e il tra,•olgente impeto rivoluzionario di Mazzini ebbero trovato una consistente e naturale esplicazione e quasi la lor forma nella mo– narchia dei Savoia e nel parlamento di Cavour. 11 Risorgimento è sintesi; anche la sua storia, nelle conclusioni, de\•e essere pensata come tote. Nel fatto, Cavour e Mazzini parvero e furono a\"\ 1 ersarii e nemici; ma nell'unità culminante del nostro pensiero essi assorgono alla posizione magnifica di collnboratori. Ciò che l'uno elise della parte dell'altro, non rappresenta una perdita, ma un guadagno per la causa finale e comune. Mazzini era nato per il pensiero e però Cavour bene fece a tagliarlo fuori dall'azione; ma Cavour aveva necessità per andare innanzi di un continuo moto delle cose sollevate dal fermento e dal tumulto dell'idea e però Mazzini compi san– tamente la sua missione facendo l'apostolo e il rivoluzionario. L'unic:I d' Itali3 si fece perchè furono in molti, e questi operarono in molti modi, a volerla; non perchè la volesse, in un unico modo e per una unica via, uno solo. Ora, Cavour operò sempre, fino dal prin• cipio, assai diversamente da Mazzini i perchè in lui la visione della società e della storia non fu cosi profonda, nè cosi tilosofica da astrarlo dall':11.ione; ma fu una visione dirella, immediata, che dal presente o da un prossimo passato lo spinge,·.i al lutur(!, solo in quanto il già fatto incita ad altro da fare, in quanto l'esperienza spinge i desiderosi di azione alla pratica. Cavour è l'uomo che vede gli uomini e le cose cosi come stanno; è il medico cogli occhiali che studia le condizioni del malato i Cavour è un fisico. Mentre .Mazzini si ri\iolge con una cecità sublime all'anima di questo povero moribondo, nell'illusione che l'anima po.;sa con un :Hto di volontà e di Cederisanare e risuscitare il corpo: è un apostolo e un metafisico. In veritil, non c' e in Italia, nel 48 e 49, un uomo che veda meglio le cose, e che! conosca meglio le condi1ioni sociali e politiche non pure della penisola, ma delle nazioni d'Europa, che Camilla Cavour. ~lazzini stesso, che ha vissuto in Inghil– terra molti anni, non conosce così bene I' lnghiherrn come Cavour che ,·i ha trascorso solo qualche mese. Per Mazzini l'Inghilterra fo un rifugio; per Cavour fu uno studio e una scuola. Mentre la visione del Mazzini a mano a mano che si allargava acquistava di umanità, ma perdeva di valore storico e politico; la mente delCa\'ourdopo a\•erespaziato nei campi delle teorie, dopo n~re osservato i grandi movimenti delle nazioni in Europa e i nuovi ori~ntamenti delle classi in ogni nazione, decideva di raccogliersi per operare, di sce– gliersi un campo adeguato non alla vas1it:I d~I sogno, sibbene alle contingenze delPazione, cioè un campo necessariamente limitato m:t fe– condo. Ed ecco perchè col 48 Cavour ritornò piemontese, si risenti figlio della sua piccola patria, si riattaccò al suolo su cui era nato e cresciuto, si riavvicinò a quella monarchia alla quale giurò di legare il proprio a\•venire politico, alla quale doveva congiungere le sorti storiche d'Italia. Insomma Mazzini rinno,·a nel pensiero e Bibloteca Gino Bianco nella cultura italiana l'ardimento e la pas– sione di Kicolò ~lachiavelli; Cavour incarna con più fortuna il tipo politico del Guic– ciardini. Parallelismo magnifico fra il genio latino ,•olto all'azione, e il genio latino che s'irradia nell'ideale. Quando poi si pensa che fra l'uno e l'altro prende sua posizione e giganteggia Garibaldi, pare veramente che nei piii grandi uomini del risorgimento, l'ltali:t abbia esemplificato se stessa; sè con le sue di,·isioni regionali, dai limiti delle quali usci il Cavour, con le sue tra.:lizioni universali di cultura, tra le quali visse il Mazzini; con le forze intatte di 1111 popolo, che da sè espresse il genio e poi elaborò l'epopea e il mito garibaldino. Cavour dunque cominciò piemontese e mo· narchico. La sua prima Italia fu all'ombra dei campanili di Torino. Fu piemontese come Cesare Balbo e come Massimo d'Azeglio; con la differenza che non aveva a proprio van• taggio l'autorit~ di scrittore dell'uno e le simpatie e la fiducia acquistatasi dal secondo col tratto cavalleresco e con la sua divulga• zione, così fatta alla buona, delle proprie idee; e fu monarchico come quelli benchè inviso a corte. Per Cavour la monarchia apparve sempre, qualunque l'umore dei re, una isti· tuzione e un acquisto dn conservare e da con• solidare, come le Camere e la libertà; e nel suo pensiero le sorti particolari del Piemonte andarono innanzi 1 indubbiamente, a quelle ge– nerali d'Italia. Del resto era destino suo e di tutto il suo partito, di dibattersi fra le esigenze di un'opera di consolidamento in– terno egoistica e regionale, e le ispirazioni che do\fe\'ano farsi sempre più vive verso l'italianità. Il decennio dal 49 al ;9 non è che la storia di questa contradizione, chiusa come tra due parentesi fra la disfatta di Novara e i plebisciti. Con la disfatta di Novara rina· sce dalle ceneri il nuo\'o Piemonte; coi ple– bisciti rinasce dopo una lenta incubazione l'Italia. E Cavour fu l'uomo che empi di sè il largo spazio di quella parentesi, che rap– presentò insieme l'azione e la contraditione; l'azione in quanto consolidò nel Piemonte le libertà e le attività costituzionali; contra• dizione in quanto parve tendesse a favorire questo consoli8amento anche nelle altre parti d'Italia, là dove invece era bene che agisse nefanda e conculcatrice la reazione. Questo aveva ben capito il D'Azeglio quando nel giug.no 1852 1 cioè prima di cedere il suo posto a Cavour 1 scriveva al nipote Emanuele: e Nel senso gretto piemontese ci torna a conto che gli altri go"erni it::iliani go, 1 ernino male e più son cattivi, pit1 dl\·entiamo moralmente padroni dei loro sudditi > senonchè subito aggiungeva : « Ma questa politica, che è quella dell'Austria 1 è politica da disperati, politica di chi non può farne altra, se non tirare finchè strappa. Noi abbiamo un avve• nire e dobbiamo seguirne un altro. » Ebbene la gloria di Cavour (u cli essere riuscito a poco a poco a identificare questo doppio av• venire del Piemonte e dell'Italia, questi due che parevano ed ernno termini contrarii, alme• no sinchè la rivoluzione non ebbe capito che ormai la monarchia l'aveva preceduta e l'at• tendeva sul cammino dell'indipendenza. Coloro che si Jom:tndano se nel 48 e 49 Cavour avesse il concetto e il proposilo del- 1' unità d' Italia, pongono male il problema della sua grandezza politica, poichè anche supponendo che Cavour avesse questo concetto non poteva essere che un concetto astratto, al quale egli nella qualità sua di uomo po· litico non poteva sacrificar tutto se stesso, come Mazzini, dovendosi riserbare alle lotte quotidiane e annuali di quel dato parlamento in quel dato paese, e fra quei dati uomini. Il merito di Cavour non è nell'aver procla– mata e predicata e voluta innanzi tempo l'u– nilà. d' halia ; è si di averla resa possibile e concreta quando l'ora scoccò e quando forse altri che lui non sarebbe riuscito che a lasciarla sprov\'edutamente passare. ,.. 1 C'è dell'ast_uz'.a, c'è.anche della mc:dio~rilil, c è del materialismo 111 alcune parti dell'o– pera ca,·ouriana diplomatica e parlamentare;

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