La Voce - anno I - n. 47 - 4 novembre 1909

OCE E,ce ogni giovedì in Firen:e, via dei Robbia, 42 .:/> Diretta da GIUSEPPE PREZZOLINI .:/> Abbonamento per il Regno, T renio, Trieste, Canton Ticino, L. 5,00. Un numero ceni. IO. Anno I .,,. N.' 47 JI. 4 Novembre 1909. SO~IMARJO: t·uposltloat di Vtnni1, 11, .\MoF,vo Sf11n1.1 - Cnour, 11. l.lHòl .\\111Mo-.1,1 - Il caso "1cdardo Rouo. I·••·''"'' .\,.,ouni ,'todtH, G. ~Ai;c1,rn1 s1 // ro1rg,·r.rso dl'i Jil,wl_/t, ~ p, \\alalo all'os~dalt i!lu-.1rMionrl. \lt O.ARIIO Ro-.!'>O L'esposizione di Venezia. 11. Ed eccoci subito sollo la cupola dipinta da Galileo Chini. A sentir la critica italiana m coro, e iI critico pa1entato Ojeui a solo, la fiamma del colore, il vigore dello stile, lanto italiano (son parole sue) e la fre– schezza d'invenzione di questo dipinto sa• rebbero tali che per trovar qualcosa di me– glio bisognerebbe risalire (son sempre parole Jue) ai secoli d'oro dell'arte nostra. Vedia– mo. La prima impressione quando ci si volla in su, è, per dir la verità, un'altra: siamo colpiti innanzi tutto da una discordanza di toni, da una baraonda di forme e di linee, da una trivialità inaudita di tinte rissose: è come se si fosse in un bazar di campagna dal cui soffitto pendessero scialli sgargianti, peuole di seta gaiette, ciarpe e sottane stril• lanli per toni vivi, crudi, acidi, velenosi. Guardando meglio ci s'accorge che non si tratta solo di stracci, ma che fra le drappe– rie e i fiori, vinosi, gialli, \•ioleui, incredi• bili, guizz.ano corpi e forme umane. Sono figure di sesso, di età e di carattere ambigui che si contorcono stranamente, pendono in diversa guisa, precipitano, svolazzano, capi– tombolano, o abbozzano gesti misteriosamente innaturali fra l'oro e il celeste; membra \egatt: in un contorno preciso \;he solo oi– vide nereggiando l' irrealilà ceramica della carne dalla zuffa circostante dei colori, dei fondi dorati e delle lince. Chi poi cercasse di che cosa si tratta, in fondo; dov'è la vita, la verità, la bellezza, l'esprèssione, quello in una parola che fa grande, o almeno soppor– tabile, un'opera d'arte, butterebbe il suo tem– po. Non ci sarebbe che il catalogo a rispon– dergli : « Il sole vivifica la terra e illumina l'umanità bruta: la Bellezza, portata dalle Muse e guidata da Amore, va verso l'uomo. Egli porge la sua offerta al Mistero. La fa– miglia si costituisce; I' abitaz.ione si adorna delle prede di caccia e s'inghirlanda di fiori purpurei di fuoco e di sangui!. Cosi dal senso della natura e del dh•ino, dagli affetti umani, dall'istinto dell'ornnmcntazione 1 nasce l'Arte: Primo sorriso della belva unurna > ecc. Benissimo ! benissimo! senonchè io vedo, qui, nella cupola, catti\•o disegno, membra bistorte, falsità di a11itudini, comunalità in– finita d' in\'enzione 1 mala pittura e morte. Pigliamo, per esempio, questa Teodora impa• lata nella sua \'es1aglia 1 allonila, geometrica: vi par egli ch'essa ri(letta, come pare YOlesse l'autore, la solennità e l'incanto della divi– nissima ane di Bisanzio, di quell'arte che ha prodotto proprio qui a Venezia, dei capola– vori eterni, impregnati di realità e di spiritua– lità - di poesia entusiasmante come la faccia del sole? O non somiglia piuttosto, questa Teodora, e nelle pieghe dure, manierate del– l'abito, e nella impcrsonalit!t della faccia, e nel gesto inespressivo, e nel colore, e nel disegno, uno dei tanli cartelloni di i\'1ataloni 1 di Mucha o, tutt'al più, di Grasset, racco– mandanti una compagnia d'assicurazioni, un nuovo modello di lampada elettrica, un'acqua minerale o - prosa definitiva - un ener– gico purgante? Porrei anche sbagliare, ma a me questa basilissa e tutta la pittura che ri– copre gli otto spicchi della cupola ha fatto l'impressione di roba da cartellone e di co– pertina da calendario, e quando leggo nel• I' illutile didascalia, di quello e ~arabco simbolo di bellezza e talismano di salute >, di quella .: immagine: enigmatica del ~ilo •, di questi « cavalli delle industrie e dei commerci •, e tutti i terribili versi scritti torno 1orno, avrei una gran \'Oglia di dare un consiglio: Andiamo, cari signori I la– sciamo da parie 1utta questa fraseologia da callisti indannunziati, e dateci un po' di buona pittura, di quella che è nello stesso tempo strofa e chiosa del maraviglioso poe• ma della vita e non ha bisogno, perchè va dirìtla allo spirito, delle spiegazioni, anche se parla per simboli e per allegorie. l,.la una raie pittura non credo che Galileo Chini possa darcela mai. Fin da quando egli espose, un dodici o tredici anni fa, nella sala dei Ri– jiulali dall',lrle efiori di Firenz.e, un suo Cri– sto nel giardino, accompagnato da piccole storit:lte a tempera e a pastello, la sua arte ha sempre avu10 un tal quale carallert vi– gnettis1ico che mal si pres1a alle grandi opere murali, o, come che sia, liriche e poe· tiche - con solennuà. È un'arte che può util– mente alluminar vasi e piani, illuslrar libri e riviste, metter su scenari meno bestiali di quelli dei nostri teatri, nobiluare l'industria e il commercio: ma che, per l'amor di dio, non sconfini - checchè poss:111cantare i cri– tici pappagalli e i cortigiani del talento. Singolarmente simile ::.Ila pillurn che abbiam visto nella cupol:t del Chini è, negl' intenti come nell'attuazione, quella che troviamo in questa sala slumacata tutt'intorno da G. Ari– stide Sartorio. La stessa sarabanda di corpi nudi o fasciati da veli, gli stessi atteggia– menti epilettici, gli stessi musi inespressivi, la $lessa mancanza di disegno, di stile, di poesia e di vita. Solo il colore c'~ ri~armiato, cbè il pittore romano si contenta della biacca e di una cerla terra tra il marrone e il verde che, se il naso non soccorresse. si potrebbe pi– gliare per chi sa che materia. Persino il ca– ulogo, interrogato, parla col medesimo tono, con la stess.1 fraseologia, con similissimi vnsi. lo ho serino altra volta, su queste stesse co– lonne, ciò che penso dell'autore di questa tre– genda (dono del re alln cittù di Venezia), e di quella consimile esposta in altra sala, e l'ho fatto con tanta chiarezza, che non credo ne– cessario ripetermi. Basti !-Olonolare come da tutta questa fradicia letleratura emani tale un lezzo d'impotenza, di ciarlataneria e di brut– tezza da rivoltare chi punto punto ami l'arte, Qui, peggio forse che nell'opera del Chini, la rtttorica, l'accademismo e la superficialità si danno la mano e ballano torno torno con la trivialità e la menzogna, guidando la ridda l'/lung,1 del Calandra, degnissimo corifeo. Perciò, a\•anli ! chè la via è lunga e fangosa. Ma non senza aver dato un'occhiata a due vaste tele del Komel lini e a questi Cavalli del sole di Clemente Origo. Il Nomellini, dicon quelli che hanno visto delle buone cose sue, è un uomo di talento. lo, per quanto de– sideri pensarlo e mi sia dato da fare per tro– varne una prova in parecchie e~posizioni) non lo potrei ancora affermare sen1a una certa esi– tazione. Nèquesli dipinti mi confortano a farlo. Anzi se ciascun'altra volta - a Venezia, a Fi– renze e a Genova - sono stato colpilo più che altro dalla povertà della sua fantasia che non gli suggerisce che due o tre temi, invariabili, sa– zicvoli, eterni; dalla Jìacchezza del suo disegno sfikiccicato, e dal partito preso del suo color rosso-giallo a ogni costo; qui mi sconcerta anche più il vedere queste deficienze e difetti ripetuti, rinforzali e ingigantiti in ragione Bibloteca Gino Bianco delle stesse dim::nsioni dei due dipinti. Tanto nella G111/1no~.1 che nel Canliert, I' evane– scenza dei toni e la nessuna corposità delle mair;scproducono nell'animo di chi guarda un sen~ H vuoto, di dd•.;ll'!t1 .. ~ ;,; =n-:.bai:1rh~, se non giovano in una tela che deve arricchire e riscaldare un stanza amminislrati,•a, mi pare traducano ancor meno lo slancio, il fuoco del– l'anima popolare moderna presa a esallar dal– l'artista, di quell'anima popolare che nella sua Liguria specialmente, prepara l'avvento di nuovi valori civili e spirituali. Sbaglio? In quanto n questi cavalli del sole - brenne della nebbia, piuttosto - e di che 1in1a ! - non ne farei parola se il loro autore, famu/11s del principe Trubetskoj, questo falsificatore alla chetichella dell'arte di Medardo Rosso, non passasse per qualche cosa, fra i ~uoi, e se questo 1ris10 gruppo il cui solo meri10 è l'esser di gesso - materia stritolabile con facili!~ - non rappresentasse in un certo senso l'ultima Tuie della fantasia ufficiale italian3. E difatti non e' è concorso, esposizione o monumento pubblico, dove queste rifritture allegoriche e mitologiche non entrino come pitlllo di sostanz.a. Cavalli del sole calpestanti « il rinalo frumento di Roma >, ca\•alli della luna, cavalli delle stelle, Fetonti 1 Aurighi j pare non si possa uscirne, se non con un atto violen10 di tutto l'essere in eruzione creativa - e allora esce fuori una quadriga. La qua• driga è per certi scultori italiani il paradigma della vita universa. L'anima nuova si divin– Ct,..ù per mille aspirazioni insaziate? perce-– pisce nuove armonie? vuole godimenti este– tici più ranìnati? domanda all'artista un jris• s01111011t·ta11 l Eccoti una quadriga. La qua– driga è tu110. Cosl noi, paghi per il mo– mento, di questa che non è ancora una c1ua– driga ma che lo diverrà forse un altr'anno mettiamoci in traccia d'altre maraviglie. C'è in questa esposiz.ione un nuovo Tiepolo, ha detto la critica i eccolo trovato: Tito. < E11ore Tiro - scrive un suo biografo, d'accordo in questo con tutti i cozzoni d'arte d'Italia - è all'apice della sua potenza, uni– vers.1lmente riconosciuta, d'artista. Egli ha espresso il suo genio d'aneddotista e di scru– tatore della vita popolare veneziana; la sua maestria di ritratlisla e di mnrinista, la sua magia di decoratore dalle slanciate, animate figure >. Che mi sia graziosamente permesso d'essere in disaccordo con l'universo intero. lo non credo, neanche se mi si melle il col• tello alla gola, alla potenza di Ettore Tito, non credo al suo genio - c'è di più, non credo neanche al suo talen10 di ri1ra11ista di marinista ecc. Gli accorderei d'essere un buon fotografo se i suoi errori di disegno, la sua mancam.a pur di quella volgare abilità che fa ritrarre a cert'altri il vero senza emozione e senu signiticato interno - come lo deve \'edere un negoziante di pannine -, non me lo \•ietasse. La parola genio è poi troppo spropositatamente formidabile per lasciarla entrare, sia pure di straforo, in un discorso qualunque su questa pittura. Genio è, ~econdo me, quegli che sa condensare in un'opera d'arte, con e\lidente potenza epressiva, un'e– manazione vitale della realtà; quegli che il– lumina, illustra, rivela una verità, nascosta a tulti 1 per l'innanzi, dietro le forme abituali viste e riviste senza un p.1lpito 1 con gli occhi dell'abitudine; quegli infine che, astraendosi per un momento da tutte le considerazioni, pratiche, sensuali, scientifiche, che si inter– pongono fra la natura e lui, può penetrare dirittamente nello spirito dcli' uni\•erso, fon• dersi in lui, capirne l'armonia riposta e tra– durla in atto per l'elevazione e la gioia delle men1i caraci di spaziare ne' regni infiniti dcl– i' ideale. Solo a patto che un artista abbia questa f.i.coltà può esser dello geniale e l'o• pera sua può rivestire i caratteri sacrosanti della belleua e dello stile. Ora, Ettore Tuo non ~ di questa rana. ~o. Basta dare uo'oc• chiara in giro a questa stanz.a per capire che noo solo l'opera di quest' uomo non ha nessuno dei segni della genialità, ma che manca totalmente di s1ile 1 di vita, di pene– trazione, di candidezza, di liber1à. Il colore di queste marine è sporco, morto, senza una vibrazione, senza un lampo di quelli che vanno cliri11i all'anima al pari di una musica, nello stesso modo che la sua tecnica è su– perficiale, priva di forze, di sintesi e di quel coraggio inconscienle proprio a chi lavora guidato non dall' intelligenza o dalla volon1à, ma dalla stessa impellente necessità che ri– volge i mondi. Cosi le sue vantate compo– siz.iom sono prhe di quella grandeua e ter– ribilità che anche il Tiepolo, cui i poligrafi del bel paese vogliono scandalosamente pa– ragonarlo, s.1peva infondere alle sue. Cosi i suoi ritraili difeuano di caratlere, d'espressione, di colori sugosi e di vitalità. Nè basta. Ho detto che Ettore Tito non sa neanche disegnare e dipingere, e non c'è che da guar• dare questo suo /J.Jccanale, fatto dietro un ricordo di quello stupendo di Rubens a Mo– naco, per convincersene. Lascio la Aaccid ità delle carni, I' incerlezza dei rilievi, la disar– monia delle tinte, per non considerare che la frode usata dipingendo il ciuco del \'CC• cbio Sileno. Questo ciuco non ha nessuno dei caratteri propri a una tal bestia. Ha un muso villoso, scimunito, d'una imbecillità umana: sembra il ritratto di qualche vec• chio critico. Non basta : il pi11ore, non sa– pendo come cavarsela con la parte posteriore dell'animale che protratto logicamente fino alla proporzione naturale gli avrebbe guasto la composizione, s'è dispensalo dal farla, ar– ruffianando il tutto con panni e altri ripieghi, senza curarsi che cosl facendo Sileno pare sedu10 sull.t groppa di una bestia 1agli:ua a mez.z.o. Noto quesle pi:lghe non perchè creda che l'artista debba seguire supinamente, nel– l'a11uazione dell'opera sua, i prece11i di chi considera l'nrte come una riproduzione pede– stre della ver11h 1 ma per negare a questi strani idoli fin quello che si crederebbe poter loro concedere senza rimorso: l'abilità del mestierante. Che se questo non bastasse, si osservi bene il dito in iscorcio direno della Parca, cosi mal imitato che pare un cicciolo di carne fra il pollice e il medio; si guar– dino le mani e i piedi di tutte le figure, i panni che vestono il vuoto, i visi cincischiati e squilibrati dei ritratti, e specialmenle il grot– tesco, ridicolo cavallo di carta pesla di quel– l'amazzone dedotta religiosamente dai peg– giori quadri di Sarge,it e di La Gandara, e che si pavoneggia in prato di cenere e bi1ume. Ed è questo pittore, che insieme al suo fratello spirituale Cesare Laurenti 1 si vuol ga• bellare per geniale - anzi per un genio, nel paese di Segantini 1 Ah ! critici, critici, come si vede che questa parola non è falla per voi, dacchè la regalate al primo venuto I E sl che di questi primi venuti ce ne son parecchi qui, giovani e vecchi. Un altro, per esempio, e senza alcun dubbio, è il romano pittore Carnmillo Innocenti. L'impressionista - dice - Innocenti, al quale se non è stato ancora affibbiato il bell'agge1t1vo, sarà per un'altra volta. E dio sa se lo merita I... Queslo impressionista fa, per esser giusti, poca im– pressione ; ma pare che sia un gran che. Ritrae, dicono, soavemente I' intimità femrni•

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