La Voce - anno I - n. 45 - 21 ottobre 1909

188 LA VOCE dolcezza di quella segreta poesia sopita nel cuore di ognuno, che il destino sa scandere con varietà trepidante e meravigliosa sulla monotona asprezza dell1esistenza. È una dol - cezza scontrosa, intatta, acerba; delle cose in– confessate e pur visibili. religiose e pur sen· suali; sl, una dolcetza che mi ha follo pen– sare a Dante giovinetto, per inopportuno che il raffronto possa sembrare. Ed è essa che costituisce il perenne an– golo d'azzurro limpido, immacolato, luminoso d'una luminosità abbagliante, di queste tele fa. ticose e disordinate. Ed essa non manca mai. Rammento un gran quadro di un arlista che col Beltramelli ha più d' una affinità : Plinio Nornellini ; tigur:mte un'orda invadente, som• mersa in una polverosa luce rossa. Un quadro che turbava e s 1 imponeva, senza piacere, per• chè era il paradosso di una sensazione di co– lore, un rettilineo strido vermiglio, non un organismo armonioso. Ma v'erano, fra tutto quel sangue solare che dilagava, due spalancati occhi celesti di fonciullo, come due grandi fiori di ciano, miracolosamente freschi, in1atti 1 .azzurro-splendenti nell'incendio d'una mèsse in una notte esti\'a, e per quelle due corolle di gioia stt,pefatta fra tutto quel cruore, io darei ancora altre tele pili perfette di questo artista. Occhi giocondi e profondi come quelli si spalancano a guardarci forse in ogni pagina del Beltramelli. Commosso ancora il cervello dei suoi romam.i, delle sue novelle, delle sue massime, noi socchiudiamo gli occhi a rievo– care sensibilmente il suo mondo nella nostra coscienza, e da quella tu1bolenza vediamo sbocciare, quali umidi vilucchi che nascano sotto i nostri occhi in una luce torrida, genti– leZ7.e sublimi. Improvvisamente la scorribanda si ferma, la voce rauca si fa delicata, il di· segno diventa lucido e preciso. Allora le fi. gure di Serenella, o le sue sorelle maggiori delle novelle, fino a Gajetta dell'ultimo libro, i capi lisci o riccioluti dei bambini della T,-ibù, ri:.plendono ai nostri occhi. Vediamo un istante giovini eroici, che rammentano i figli di Nestore nella loro sveglia relice nei letti sotto i portici guardanti il mare e sonori delle rondini dell'alba, ma dipinti in un colore avvi• valo dal la sua stessa precarietà, Perchè subito la visione tremola _ai nostri occhi, crolla e si disfà. Queste creature son riprese dal loro vor– tice, nel quale vanno, chiusi gli occhi o cie– camente fissi in una lootananza nella quale nulla appare. Ma non stancatevi. Tra non molto il miracolo si ripeted. E saranno figure pii: tristi, tragiche talvolta, che vi balzeranno davanti. O talvolta, pure, questo agglomerarsi del caos verbale in una forma tersa, resterà allo stato embrionalt-. E allora vedrete un bri– vidlo, uno slittare, appena appena un balenare delle cime incerte delle visioni ; perchè que– ste non s'impongono allora al J>')eta, ma egli oscuramente le cerca, per gius1ificare, sfogare una pienezza torbida che gli canta in fondo al cuore,gli si scuote dentro con ondeggiamenti di selva comballuta. Un'inquietudine di marzo : feconda non per quel che \'Crbalmente signi– fica, chè le immagini non fanno presa, ma trapassano, s' intrecciano, tremolano, e spro– fondano; ~i appunto, per l'impeto instancato di questo intrecciarsi, fleuersi e disparire. Una minuta analisi stilistica si presterebbe meravigliosamente :1 formare in luce tutto que– sto i ed io m'ero infatti proposto di partire, nell'esposizione del mio tentati\·o critico, da una ~ifTatt.1ricerca, mostrando nella struttura più intima delle frasi, nelle abitudini della ag– gettivazione, nelle singolarità della sintassi, le pro\1e di quello che mi sembra il carat– tere fantastico di Antonio Behramelli. In tempo mi sono accorto che ciò che mi pro• ponevo era siato f.ltto, in modo impareggia– bile. Nella Rom,,g,ur del gennaio di que– st'anno. Renato Serra ha infaui condotto maestre\·olmente questa analisi 1 con quella su;, calma sensili\'ilà che se, forc.e, talvolta, gli vie1a di lrarre le conseguen1.e defi.nitive di quanto egli nota, gli è strumento d'osser– vazione che non lascia residuo non sagEtiato. L'amplificazione cosiante, la m:rnl3 esorna– ti\'a1 I' inesallezza preziosa del vocabobrio, l'abuso di as1ra11i a commento di particolari che non credono di esser ben vivi stando da soli, l"uso pomposo delle apostrofi col pa– tronimico epico, la modubzione biblica della frase, egli ha còlto e studiato come non a me conviene tentar di rifare. In questa loquela a scatti, che illumina disordinatamente ciò che vuol dire, e dove anticipa e dove sente bi– sogno di tornare indietro e indugiarsi fino alla sazietà, nel suo ritmo zoppo, nella sua furia melmosa e lapidosa, egli vede lo stru– mento imperfetto di i.:ui 1 come egli dice, un povero traduttore si serve a rendere in qual– che modo le visioni grandiose e stupende di un poeta a ttilli ignorato. Questo poeta canta nello spirito del Beltramelli in una lingua segreta che non è giunta mai ad orecchio umano. Ciò che leggiamo sarebbe appunto la riduzione in linguaggio volgare di questa poesia a lutti nascosta. Ora il pro– cesso spirituale del Beltramelli, poichè spes~o, anzi, ho detto, continuamente, benchè con continue interruzioni, giunge ad espressioni nelle quali, momtntaneamente 1 non sentiamo di do\ 1 er desiderar altro, mi fa piuttosto l'effetto di un processo aule poesia che posi poesia. i\•li pare, il Beltrnmelli, terribil– mente all'oscuro del suo stesso mondo e in– capace di rischiararsene la torbida coscienza . Ogni ,,olla apre bocca, non sa quel che dirà ; ma tenta la frase, modula, arpeggia, finchè poco a poco il vento piglia tutta la vela, l'intimo fantasma si districa, si di– scioglie, s'accende, ci sorride. E cresce e vive per un poco in quella breve ispirata consa– pevolezza, in quella calma creatrice che si stende luminosa della sua luce effimera tra le vuote e rotolanti nuvole delle approssima– tive violenze verbali. Ma quando la sua vita a un tratto illanguidisce, il poeta resta lui sorpreso per primo. Cerca allora di fis~arlo, insistendo sopra una parola, un tono, un' im– pressione che, ahimt-, sentiamo come penosa– mente non riescano a sciogliere e far nuo– vamente correr sotto i nostri occhi spontanea la vita. La struttura dei suoi periodi ha tutti i caratteri di questa complicatezza improvvi– sata. la movenza è intenzionalmente semplice, se pur sapiente, ma le anfrattuosilà che la spezzano e le dànno palpito e singuho 1 la frase le trova lungo il cammino, come av\1iene nel discorso parlato. 8 ciò che era sostegno adeguato per un bre\·e periodo rettilineo, ci– gola e traballa sotto un edificio screanzato di parole che sembrano a,•ere il diavolo in corpo, e si pestano, s'urtano, s'acca\ 1 allano 1 si squassano, col suono rauco e squillante d'una enorme sonagliera che un puledro innamorato faccia suonare nel suo galoppo furioso al bel vento d'aprile, per prati, per balze, per selve che sbocciano. A un certo punto un ostacolo si para improv\•iso davanti, ed ecco, la frase s,accoscia tutta repentinamente in un gran participio o gerundio; proprio come un ca– vallo in corsa ~I quale una mano di ferro spez.za la bocca a fermarlo davanti a una ruina, e quello affonda disperntamente le quattro grandi piote nella terra umida e striscia e scampa. E poi, come se nulla fosse st.ito, via, a piccoli salti, e r.tlca1e, e inarcamenti di coda, e civetlerie, e bravure. ~la di quelle bra\·ure in\'erosimdi che nascono soltanto nella frase che sgorga dalla viva bocca, come ai temi poetici del Beltramelli sembra nuocere la tra– dizione gralica e vorrebbero piut1osto esser cantati in una Ji quelle agore silvane ch'egli descrive, dove le fanciulle aggig/i(l/e (è una parol,1 sua che dà il brivido come un bacio sul collo) ascoltano i vecchi rapsodi, e gli eroi quasi ancora fanciulli si accingono alla lolla con i torelli che muggono. All'oriizonte il mare verde come una prateria ... In realtà egli è un i111pro\1visa1ore; con la qual parola non s' intende limitarlo, ma ap· prossimativamente caratterizzarlo, spiegarlo. Quando egli cerca approfondire la sua arte e la sua coscienza, coord111are in un monJo tutto chiuso, in un giro d'azione le sue ligure,. gli spiccia rnuurale e corrosÌ\'a l'ironia. Fuori di quel momento insostenibile di lu– cidità. nel quale eftll ci ra balenare d:1vanti figure ·1inCl,e 1 che si dissolvono appena ap1on bocca per parlare o si muovono ad agire, egli non tro\:I che il mostruoso e l'ironico. In questo ironico ( Uo111ti1i ro5s1; novelle poli– tiche e novelle schizzate su schemi alla Poe, nell'ultimo \·olume, etc.) l'hanno preferito come meno stra\•olgente, meno scomposto, più aggraziato e coerente. E sarà vero. lo lo sento Bibloteca Gino Bianco meno Beltramelli e cerco altrove. Ed altrove, e quando è veramente sè 1 egli è l'ispirato improvvis.1tore che ho detto. Le sue figure non vivono d'una vita drammatica, non hanno quella~ dura erfellualità nella quale la poesia si marita all'esperienza e fa il dramma. Interro· gate con pretese di questo genere, esse re– stano mule o dànno risposte che fanno ridere. « Vi sentile male? > riprese Ardi. «: No > « Siete pallida e tremante - soggiunse con voce grave il navigatore - guardatevi Uriana, chè il male è come l'ombra. ► - i': uno dei piì.1 precisi versicoli dialogici del Beltramelli ; pel resto, quadri risponde a picche, e cuori ritira mattoni, come se fosse la cosa pili na– turale del mondo, ma con graw; scandalo, parmi, delle venerabili regole della briscola. Eppure la briscola ha torto e il Beltramelli ha ragione i come hanno ragione le sue pagine contro chi, auscultandole, misurando la loro temperatura, facendole \!OCalizzare, diagno– stica in esse la presenza di una golpe nefosla che le sfarinerà quando che sia. Questa golpe c' è 1 e s'accusa, abbiamo detto, in maculazioni superficiali ed in irrimediabili tane. Ed essa sfarina quesle pagine ; le sfarinò anii sotto i nostri occhi, ogni \•olla chiu– demmo il nostro cuore al bel vento che le vivifica, le incalza, le risana tutte, c'impedisce di bilanciare, di considerare, di speculare i ci trascina, volenti o nolenti, nella sua furia. Come ogni poeta, Antonio Beltramelli vuole da chi lo legge un preliminare atto di fede.Con quest'atto di fede in corpo, ogni suo libro pal– pita e s'accende, e, si tratti dei troppo am– mirali Primogeniti come dei troppo bestem– miati Canti di F111m11s, ci permette di co· gliere la definitiva significa;done del suo spi– rito. li suo isolamento un po' provinciale l'ha tenuto indietro dal gran corpo d'armata dcl– i' ultima nostra grande poesia, passato con le a,·angu3rdie, il grosso, le scorte, le tarde sal– merie. Il tuono dei cariaggi all'orizzonte l'ha risvegliato mentre egli meriggiava sotto un albero. L'hanno uovato un po' d'annunziano, gli hanno rinfacciato un ora troppo usuale amore di Roma (seriissimo, frattanto. e pre– sente in tutta Romagna come non altrove) : egli non ha fatto che ripassare in modi tutti suoi per le vie degli altri. Se ha rifatto un po' d'Annunzio, I' ha rifatto ab ovo, e per– ciò non si tratta più di d'Annunzio. Se \' 1 ha un comico nelle sue movenze, è il comico di chi corre perchè ha fatto tardi. Ma egli ha fatto tardi originalmente, e forse il suo ritardo l'ha salvato. Laggiù all"orizzonte se le danao frattanto. Egli non se ne preoccupa troppo. Fa volteggiare il suo leardo, condu· cendo con grande sparo di fucilale a salve e 1dpudio d' inm la sua farandola guerriera, e, ogni tanto, scende d31la sella variopinra, e, beato l1Ji, bacia di gran belle figliuole che mielono intor:10, e, credetemelo, non se l'ha1i– no a male. E pomposo, infioccato, mustac– chiu101 romantico come un d'Artagoan. Ci secca a volle con la sua blague. Ma è immedi– cabilmente giovine. Tu11a la sua velleità di tra– gedia non lo fa riuscire che a fantasticare e spl'oloquiare su dolori degni tutt'al più del suo avolo. Ora dà degli sproni e sembrn \·O· ler scagliarsi soffiando disperatamente nel cor– no. Non v'impressionale, s:1111qui ira un quarto d'ora. Questo andirivieni è la sua opera come 1111toun andiri\•ieni è la sua pros.1. Non ha crisi e non può a\·er capola,•oro, 1\la se la sua opera è scheggiat,1 1 bisogna aver p:1zienza di rice!'carla tlllla e rigoderla tutta, o lasciarla s1are. Egli caccia e offre senza discer– nimento. Spesso "i imbalsama studi("lsamente miserabili passerotti, e vi serve un salml abbni– ciacchiato cli aquile reali. Se gli domandatt: per– chè è mangiato vi\10 da una furia che lo co– stringe a una produzione inadeguata alle sue forze non saprà che dir\'i e non capirà. È fatto cosi. E cosi bisogna pighado. Bisogna darsi senza riserva alla sua gioia 1 non sorridere delle sue lacrime e non essere urtati dei suoi urli. Egli sa belle fa\'ole. Egli c.a far credere - e talvolta ad ognuno giova crederlo - che è meriggio o poco pii11 mentre l'ora urge, e l'ombra sale in cuore. Emilio Cecchi. Lettere dal Trentino. (Nazionalismo positivo.) Nell' ultinrn l<:ttera dn Fiume ( Voa, N. 41) Gemma Ilarasim s'industriava n forci compren– dere che la 1>0liticadella sua città ~ basala so– pra « un calcolo tutto speciale », cioè tutto di– \"erso eia c1uello che caratterizza le lotte nazio– nali clelle altre provincie austrinche. La di:,gnosi per qunnto rigmm.la Fiume è giusta, ma il con– fronto con quanto a\"viene altrove è sbagliato. Carnbiernnno, a ,econda delle regioni. i nomi a' lati del /ria11Jrolo, 111ail gioco resta il mede– simo. Non e calcolo di criteri i politici: è una sporca questione cli sfruttamento delle lotte nazionali. In ciascuna provincia \li sono due nazionalità che si combattono, l'una per sopraff.-.re, l'altra per non lasciarsi sopraffare: rrn i due combat– tenti, un bel giorno, s'insinua un terzo, un pre– sunto nllcato, che si è offerto eia sè o è stato i1woca10. che dapprima si dice ospite, ra l'al– truista, è il paladino di chi « ha ragione », ma, una volta cre:-ci1110di numero e ben piantato nelle sue posizioni, butta la· maschera e si di– mostra padrone unico ed assoluto del campo. 1\ Fiume il terzo, l'alleato, si chiama "ng-lte– resr; :1 Trieste, nell' Istria, nel Friuli si chiama tedesco:- nel Trentino si chiama .... 11n::io11ali.sta pos;tit,o. * .\"a::iom,lùti positivi: si sono battezzati cosi, sponwneamente, i cleric:ili italinni. Per fare il terzo, l'alleato, non occorre, come vedete, unn terza nazionalità. Nelle pro\ 1 incie adriatiche ci s0110degl' italiani che ragionano a questo modo: - la lotta C0!>tae sfibra. Se vogliamo un:t \ 1 i1a possibile (e, vivere, bisogna pur vivere!), rispar– miamo le forze. Alla guerra e :1gli affari è dir– licile badar bene egualmente e contempora– ne:unente. Gli slavi sono de' barbari : ma i te– deschi sono pili civili di loro, e vengono più di lontano. Rendiamoceli amici, quest'ultimi : sono un popolo più numeroso del nostro, anzi l' u• nico che possa, nello Stato, controbilanciare l'in– fluenza degli sla\"i. « Legge del minimo mezzo•· Onde le \!Otazioni in comune di tedeschi e di italiani nel Parlamen10 di Vienna, e il fa\1ore accordato alle iniziative industriali de' tedeschi ne' paesi italiani, e gli alberghi, i caffè, i pub• blici esercizi invasi d:i' tedeschi, e la parte del Icone falla al tedesco nelle scuole e nell'educa– zione familiare, e la remissività nel lasciarsi por• tar via i migliori impieghi nelle amministrazioni dello Stato. A tranquillare la coscienza ognuno porta in cuore un briciolo di tradizione latina: non di quella orgogliosa, dignitosa ed energica, ma cli quella stracciona, sordida, lincea. Non e ancor vivo negl' italiani quell'acuto senso del pratico e del rtale che fece grandi i Romani progenitori ? non è delle buone consue– tudini nostrane predicar la crociata contro i bar– bari incaricando però cli condurla .... altri bar– bari ? I' I1alia non è <.lata disfatta e rifatta sem• prie:con l'aiuto cli terzi? Ora, ~ulle alpi trentine ci sono clegl' italiani che ragionano a questo modo : - nella difosa nazionnlc s'è voluto fare troppa politicn. I nostri nemici, i tedeschi, ci hanno sempre tenuti jn istato d'inferiorità, pcrchè è loro sempre riuscito di screditarci presso il Co,·erno come ribelli e irredentisti. 4j Sostenere e difendere i propri di– ritti liuj.:'uistici ed amministrativi, ma in pari tem1>0 dnr segno di fedeltà allo Stato, ecco la \'Ìa eia battersi ». « La fedeltà allo Stato non esclude l' itali:1nità: e <1uanto pil) una popola– zione è favorevole all'Austria, 1;11110 più ha di– riuo di pretendere dnll' Austria che la sua lin– gua e la sua coltura venga ri-.pc11ata, difesa, 1>romossa • (dr. la 5iqu;//a. XIV, :,6: I/ T,-e11- liuo, XLIV. 158). Quc~to é finalmente, il vero nazionalismo; non quello tribunizio dcgl' irredentisti, ma qut!llo posiliN,, che si cura sul serio clcgl' interessi reali della popolazione, massime delle vallate e delle cam1>agne. Conviene sradicare l' • ec1uivoco •: educhi:imo le ma'5sc a tener ben clis1inta la J>O· litica dalla difesa nazionale. Austriaci prima, italiani, poi; su per gifi come gli s\1izzcri di Lugano. A fare gli austriacanti e' è tornaconto, a fare ,cmplicemcntc )t'I' italiani, no (1). È il nazionali-.mo di fra Basilio; • vengan denari e al resto penso io .-.: il uazionallSmo "a un tanto la lmca di qut' giornalisti-letterati che l' hanno importato fra noi come articolo fran– cese, vi<;toche il n11)111e1110 era buono e lo smer- li) Ne I.A Ro,u (IS u•u.1 Albcrt O.uni 1e,i.. c ,ul Trcn· liM, ch'c1li ch"m,. 1n.ic, ne col r~to dcli' h1lil ,rieJcn11. L"Al11ut-l...or, i"t tlt tll,lit, co-c buono e 1tiu11c.1n• egli hl btn p- co •pp1ofond.10 11 psicol•1g11degli 11bii11nt1

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