La Voce - anno I - n. 43 - 7 ottobre 1909

178 di maggiore importanza: fosse sfortuna, fosse in:1bilità (« uomo di poco spirito intorno alle cose che riguardano I' utilit?l », si riconosceva egli stesso) ( l), dovè rinunziare a ogni a\'an– zamento uni,·ersitario. Era costretto, ciunque, ad aiutarsi un po' coi lavori letterarii del genere detto di sopra, e, più ancora, con le lezioni private ; e non solamente (oltre quella nella pubblica Università) teneva sc,uola a casa sua, ma saliva e scendeva le altrui scale come insegnante di grammatica a giovinetti o, ·a dirittura, a fanciulli. Non fu fortunato nella famiglill.: la moglie era analfabeta, senz.a le virtù delle donne analfabete, e incapacis• sima di badare alle più piccole faccende do• mestiche ; cosicchè il marito doveva farne le veci. Dei figliuoli, una femmina gli morl dopo lunga malattia, e dopo quei lunghi di· spendii che inacerbiscono le malattie dei po· veri ; un figliuolo maschio fece tante e tante male azioni, che egli fu costretto a invocare l'intervento della polizia per farlo chiudere in una casa di correzione. La sua irrazionale e pur commo\·ente tenerezza paterna fu tale, in questa occasione, che, al vedere dalla fim:stra gli uffiziali della polizia, da lui richiesti, i quali venivano a portar via il figliuolo scia– gunuo ed amato, corse da costui gridando• gli : e Figlio mio, s:\h•ati 1 » (2). Ebbe, invero, animo affettuosissimo : il che si può riconoscere anche nelle sue pagine fi– tosotiche, da certi segni stilistici ; come, p. es., in quella dignità (la XL) 1 dove 1 parlando delle streghe che, per solennizzare le loro stregonerie, e uccidono spietatamente e fanno in brani amabilissimi ùmo&euli bambini :z-, tutto s'impietosisce, nel modo più inopportuno ma più significativo, per quei piccini, che adorna, nella commossa fantasia, di super– lativa amabilità. I maggiori conforti dome• stici gli veno ero daIla figliuola Luisa, c6lta e poetessa, e dal figliuolo Gennaro, che lo surrogò, e poi gli successe, nella cattedra. Quando, nell'elogio della Contessa d'Althann, accenna sarcasticamente ai filosofi che passeg– giano pei giardini o sotto i portici eleganti, non nauseati nè affiitti dalle e mogli che in– Cantano > e dai e figliuoli che nei morbi languiscono ) (3), si sente che parla per di– reua esperienza, e che lo pungono ricordi e travagli delle propria vita familiare. Accade molto spesso, specie ai giorni no· stri 1 di vedere gli uomini di ingegno eman– ciparsi da ogni più umile dovere; e tanto più bisogna ammirare quest'uomo di genio, che, invece, li accettò lutti, e (per adoperare una parola del Flaubert), pensando •da semi– dio, visse sempre da borghese, anzi da po– polano. Egli aveva preso l'abitudine di leg– gere, scrivere, meditare e comporre i suoi lavori, « ragionando con amici e tra lo stre– pito dei suoi figliuoli • (4). La salute ebbe sempre debole; gli amici lo chiamavano Mastro 1i'sicu\\o (5): soffe. rente assai da giovane, straziato in vecchiaia da ulceri alla gola, da dolori alle cosce e alle gambe. lnso1111111, quel riposo, quell'ozio, quella tranquillità, che altri filosofi goderono per tutta loro \'ita 1 o per luoghi traiti di questa, al Vico mancò sempre. Egli do\·ette fare da Marta e da i\laddalena i tra,•agliandosi in ogni istante per le necessità pratiche sue e dei suoi ; travagliandosi 1 insiememl!nte, con sè stesso, per adempiere alla missione, assegnatagli fin dalla nascita, e dare forma concreta al mondo spirituale, che si agitava in lui. Non c 1 è bisogno, dunque, di foggiare o desiderare un Vico erot, cercandolo nella vita religiosa, sociali! e politica, quando il Vico eroe ci sta innanzi, ed è appunto que• sto : l'eroe della \•ita filosofica. È stato notato da altri che egli ebbe carissima. la parola « eroe » e tutti i deri\'ati di essa (• eroi~ smo ,., < eroico >, ecc,); e ne fece continuo uso e snriatissime applicazioni. L'eroismo era, per lui, la forza vergine e strapotente, che appare negl_i inizii e riappare nei ricorsi (1) A11tol>., in Opp., IV, p. 34). (2) \'11.LAtt.OSA, 11elle:1ggiunte Hll'Aufob.(in Opp., IV, 1> .. po). (J) Opp.. VI, p. 11,. t-1 Autob., in Opp., IV, p. 36". (li) Bi/JI. i:ic/,, p. ;. LA VOCE della storia. Questa forza egli doveva sentire in sè medesimo, nel J.worare per In verità, nell'aprire, abbattendo ostacoli d'ogni sorta, nuo\·e vie alla scienza. Per questa forza, su· perate le giovanili incertezze, gli 5,marrimenti 1 gli avvilimenti, che tal.iolla lo fecero cadere in un cupo pessimismo individuale e cosmico (come si vede dalla canzone A{fdli d' 1111 disperalo) ( 1), potè sollevarsi alla sicura pro· fessione di metodo scientifico, che enunciò nel Da uoslri lemporis sludiomm rt1/ioue, e al suo primo tentativo di applicazione filosofico– storica, rappresentato dal D, anliquissima /la– lonnn Hpimtia; e da questo, poi, disfacendo io parte il suo stesso pensiero, e ritessendo col resto una nuo\'a tela 1 giungere al De 11110 ,111iv1rsi iuris principio et fine 11110, e alla Scimta nuova: « dopo venticinque anni (egli diceva delle scoperte contenute in questa) di continova ed asprà meditazione >. L'opera, menata a termine da quel po~.ero maestro di grammatica e rettorica, da quel pe– dagogo che un satirico contemporaneo raffi– gura e stralunato e smunto, con la ferula in mano ., (2), da quel tormentato palerjami/ias, stupisce e, quasi, spaventa i tanla somma di energia mentale vi è condensata. È un'opera di reazione e di rivoluzione insieme : reazione al presente per riattaccarsi alla tradizione del– l'antichilà e del rinascimento; rivoluzione con· tro il presente e il passato per fondare quel– l'avvenire, che si chiamerà poi, cronologica• mente, secolo decimonono. Nel campo della scienza, 1 1 umile popolano diventava aristocratico i e quello sii/e da si– gnori (3), che egli fal~amente lodava nelle povere scriuure dei superbi cavalieri e dei pomposi mitrati del suo tempo, era, vera– mente, il suo. Egli aborriva la letteratura ga– lante e socievole, che comincia\•a a diffon– dersi dalla Francia in Italia, come negli altri paesi d' Europa, i « libri per le dame> (4).. Ma non meno rifuggiva da quella maniera di trat– tazioni, che si chiamano ora « manuali,> e in cui si espongono per filo e per segno le definì• zionÌ altrui e i fatti già accertati; libri che pos– sono giovare soltanlo ai giovani(5), ai quali, per altro, il Vico già abbastanza si sacrificava nella cerchia della scuola, pcrchè dovesse poi sacri· ficare loro anche qualcosa della propria invio– labile vita scientifica. In questa, mira,•a ad altro pubblico che a giovinetti, cavalieri e dame: aveva innanzi agli occhi, escluc;h•amenle, la Repubblica letteraria, l'ordine dei Dotti, le Accademie di Europa i un pubblico 1 cui non bisognava ripetere ciò che già era stato tro– valo e detto nel corso della storia delle scienze, e che esso ave,·a bene a mente ; ma porgergli soltanto pensieri, che fossero reale avanzamento del sapere: non libri \'O· luminosi, ma e piccioli libricciuoli, 1utti pieni di cose proprie » (6). Un pubblico ideale, in– somma, che ingenuamente egli confondeva, tal– volta, con quello dei dotti di professione e dei critici da giornali letterari i; donde, poi, le fre– quenti sue delusioni. I libri bre,•i, in materia metafisica, sembrava a lui che avessero (come, infatti, hanno) particolare enìcacia, acconcia• mente paragonal.l alle meditazioni sacre, « che brievemente propongono pochi punti > ; le quali fanno molto più proti110 nelle cose dello spirito cristiano che non « le prediche più eloquen1i e pili spiegate da facondissimi pre– dicatori » (7). Per quest'amore alla brevità, egli ebbe a manifestare, più volte (8), il desiderio che 1 di tulle le sue opere, sola gli sopra\'vivesse la Sdt1t{a ,mov.1; la quale recava in sè, concentrati e perfezionati, tutti i suoi tentativi precedenti. All'arislocrazia dell'ideale si accompagnava– no, neil:1 sua i:oncezione della vita scientifica, il più nobile decoro e la pili profonda lealtà. Dalle sue polemiche si pot:·ebbe ricavare un intero catechismo circa il modo in cui si (1) Cfr. I' illus1razionc che ne ho data: Utta ,:iova11ilt canzone dispe, ola di C. O. Vico (in C,ilita, VII. pp. 316-Jn). (2) Dii,{. vich .. Il. 2. 13) Opj>., VI, p. 93. (.i) Opp, VI, p. 5. (5) Opp, 11, p. 123. (61 Opp., 11, p. 123. (;) Opf>., Il. p. 148· (S) Tra le altre, nella leltern ~1G~Ji~ni del 1 8 no,•embre li'15, pubblicata in Dii,/, z,icl,,, pp. g;-8, e il cui autografo è presso di me. debbono condurre le dispute letterarie. Bi– sogna (egli dice), non mirare a vincere nella ·disputa, ma a vincere nella veri là i onde vo– leva che quelle si svolgessero « con seda– tissima maniera di ragionare •, perchè e chi ha potenza, non minaccia, e chi ha r;igione, non ingiuria »; variate, tutt'al pili da piace– voli motti, , i quali diano a divedere gli animi dc' ragionatori esser placidi e wrnquilli 1 11011 perlurbati e commossi». Agli avversarii, che movevano obiezioni vaghe, faceva nolare : e li giudizio è in termini troppo generali: e gli uomini gravi non hanno mai di risposta de• gnato, se non le particolari e determinate op· posizioni, che loro sono falle ». Ai mede– simi, quando si appella\'ano al « raffinato buon gusto del secolo, il quale hit sbandito. ecc. ecc. » 1 rispondeva sdegnoso: « Questa è invero una grande opposizione, perchè oppo• sizione non è; perchè, ritiranJosi gli avver· sarii al tribunalé del propdo giudizio, con quel dire di codesto cht fu dici non ho idta, da avversari i divengono giudici •. Alle auto· rilà non in1ende\ 1 a appoggiarsi, ma neppure le disprezza\•a; dovendo l'autorità e farci con· siderali a investigare le cagioni che mai po– tessero gli autori, e massimafllente gravissimi, indurre a questo o a quello opinare ». E, accusato di avere commesso il medesimo pec• calo di Aristotele, attribuendo errori ai filo– sofi per poterli con agevolezza confu1:1re, prote· stava dignitosamente:« lo mi contento del mio poco sapere ingenuo, che essere comparalo di mal costume ad un gran filo:-ofo >. Della sua equanimi1:ì può dare esempio lo splendido elogio che egli fa di Cartesio, contro il quale pure era rivolto tutto lo sforzo maggiore del suo pensiero. La sua lealtà è attestata dal pronto riconoscere i proprii errori : e Con• fesso \dice, in un punto, ai critici del Gior– nale dei /e/leraltj che la mia di\•isione è vi– ziosa,.(,) Vita scientifica proba, come di serio ricer– catore del vero: \•ita sentimentale commossa e rapita, come di chi giunga a faccia a faccia col vero, a lungo branlato e cercato, e lo an– nunzii ::igli uomini. Di qui, la sua alta poesia, che è non già nei versi, ma nelle prose, e 1 se– gnatamen1e1 nella Scitn{a 1111ot•a. e Il Vico è poeta (scrive il Tommaseo}: dal fumo dà luce, dalle metafisiche astrazioni trae imagini \•ive: raccontando, ragiona e, ragionando, dipinge; e per le cime de' pensieri non passeggia, ma vola; onde, in un suo periodo, sovente, è più estro lirico che in odi assai~ (2). Proprio cosi: il Vico, che ha avuto tante censure pel suo stile, non era scrittore banale o trasandato; anzi, studiosissimo della buona forma e della toscanità (3) 1 non meno che eslimator~ severo, al dire del Capasso, di vocaboli latini (4). Egli componeva male i suoi libri, perchè la sua mente non padroneggiava tutta la materia filosofica e storica, che ave\'a accumulato i donde, le sproporzioni nelle varie parti del– l'opera, nelle singole pagine, nei singoli pe· riodi. Rende spe~o immagine di .quella tale bottiglia, piena d'ai:qua e capovolla di botto, nella quale l'umore, che vorrebbe uscire, tanto s'affretta e s' intrica per la via angusta, « che a goccia a goccia fuori esce a fatica >. A fatica o a fiotti, disordinatamente. Un'idea, che egli sta enunciando, gliene richiama un'al– tra, e questa un fatto, e il fallo un altro fatto; cd egli vuol dire tutto in una volln 1 e per– ciò le parentesi si aprono nelle parentesi, in modo ~pesso vertiginoso. Ma quei suoi pe– riodi disordina1i 1 come erano materiati di pen– sieri originali, cosl sono lutti contesti di frasi possenti, di parole scultorie, di espressioni commosse, d'immagini pittoresche. Egli scrive male, se cosl piace dire; ma di quello « scri– vere male», del quale i grandi scrittori hanno soli il segreto. V L'eroismo filosofico del Vico non si af– fermò soltanto nella lotta interiore con sè stesso per l'elaborazione della scienza i ma fu sottomesso ad altre e più dure prove. La po– sizione mentale, ch'egli raggiunse, avversa al (ti Si vedano pass. le Risposte, in Opp., Il. f'l) Studio Joj>raG. B. Vico, (nel voi. Osse,.va– :ioni e g-,'udi::ii, ecc., Napoli, 1863. p, 279). (3) Opp, IV, pp. 333·4; VI, pp.41, 140, (4) Oibl. vich., p. 87. BiblotecaGino Bianco presente e, sotto specie di 1eaiione 1 vòlta al– l'avvenire, lo conclannav~, neressariamente, all'incomprensione. È codesta, !-enz,1 dubbio, la sorte di tutti gli uomini di genio; incom– presi intimamente, anche quando la fortuna sociale sembra second:irli, ed essi sollevano entusiasmi, e trovano in folla scolari e ri– petitori. li molto che, secondo la leggenda, l'Hegel avrebbe pronunzialo sul letto di morte (e uno solo de' miei scolari mi ·11a inteso, e questi mi ha frainteso »), esprime a maravi– glia tale Tlecessilà storica: chi è perfettamente inteso nel suo tempo, muore col suo tempo. Pure, di rado o non mai, la sproporzione tra il proprio pensiero e la incompnmsione dei contemporanei fu cosi grande come nel caso del Vico. Se altre cagioni d'infelicità non t'avessero :rngosciato, sarebbe basr:ila que· st' una. Il « desio di laude h 1 che è poi, negli animi non volgari, desio di Yedere comparle· cipato, asscntito e uni\'ersalizzato negli altri spiriti ciò che a essi sembra vero e buono, rimase i::empre 1 per lui, un « van desio ». T,into più l'incomprensione e I' indiffe– renz;:a lo angoscia\'ano, in quanto, com'è facile supporre, aveva piena coscic.-nza del- 1' importanza delle proprie scoperte. Egli sa– peva che la Prov\1idenza gli :aveva affidato una missione altissima; sapev:1 di essere e nato per lu gloria della sua patrrn, e in conseguenza dell' ltalia, perchè quivi nato, e non in ~I arrocco, esso riusci letterato » ( 1). Allorchè mandò fuori la Sc:ieu\a nuova, gli pare\•a come di avere dato fuoco a una mina j e ne aspe1tava 1 da un istante ali' altro, lo scoppio e il fragore. Non ne segui nul• la : la gente non gliene parlava i onde egli scriveva a un amico, dopo qualche giorno: e In questa citi~ sl io fo conto di a\'erla mandata al deserto; e sfuggo tutti i luoghi celebri per non abbattermi in co– loro a' quali l'ho mandata; e, se per ne– cessità egli addivenga, di sfuggita li saluto i nel quale atto non dandomi essi nè pure un riscontro di averla ricevuta, mi confermano l'opinione che io l'abbi:\ mandata al de· serto :t (2). Egli aveva creduto, a dirittura, a un effetto rapido e immediato; e sperato di trov:1.re gli animi pronti, e gt' Intelletti aperti a ricevere e a fecondare i suoi pen· sieri, nientemeno che tra i suoi contempo• ranei e conoscenti di Napoli : tra i frati oc– cupati a comporre e mandare a memoria pre diche verbose, tra i verseggiatori che rima• vano sonettuzzi, tra ~li avvocati che scrive– vano alleg.ii' ioni ! Trovò, invece, moltissimi scettici e inclif· ferenti, e non pochi irrisori. Già il libro sul Diritto, quando comparve, venne gene– ralmente « ripreso per oscuretto >, come c'informa. il Metastasio (3); e fu poco letto e avventatamente censurato per le stra– vaganze, che la lettura disattenta e a salti faceva vedervi a ogni \MS!-O (4). Il p:1dre Paoli, cui l'autore ne aveva Jom1to copht, '1i scrisse sopra un distico, circa l'incomprensibilità del contenuto ( 5). Peggio fu per la Scim{a nuova : si sa che l\icola Capasso (che pure era dotto uomo e bene i:iffetto verso il Vico), prov:1tosi a legge, la, c1edè di avere smarrito ogni scintilla d'intendimento; e, scherzosa- 111c.-nte1 co1se a farsi tastare il polso dal me• dico Cirillo (6). Un nnbile napoletano, in– terrogato a Vene1ia d:d Finelli circa quel che si pensasse a Napoli del Vico, disse che, per un certo tempo, CO'-lui era passato per uomo davvero dotto ; ma che, di poi 1 per le strane sue opinioni, aveva acquistato fama di squilibrato. e E quando diè fuori la Scitn{a nuova'! », insistè il Finetti. « Oh, allora (rispose l'altro , era gi~ di– ventato amitto pazzo I ~ (7). I maldicenti lo colpivano perfino nella modesta professione, d:1 cui traeva il sostentamento, dicendolo « buono ad insegnare a 1 gio\·ani dopo aver fatto tutto il corso de 1 loro studii, cioè quan- (1) Aulob., in Opp., IV, p. 385, (1) J..euera a\ Giacchi, '25 nov. 1;25, in opp., VI, Il, '28. l3) Oibf, vir!t., p 40. 14) OPf>., VI. p. 20. (5) /libi. vich., P· 26. (6) JJil,I vich., p. 87. 17) .i1bl. vith., p 86; cfr. A11lob., in Upp., IV, 1>. p6. .,

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