La Voce - anno I - n. 31 - 15 luglio 1909

:,.., 126 nel quale l'angoscia tragica fiorisce. Voi che siete, a parer vostro e d 1 altrui, Ì' ultima grande forza che la nostra tradizione ha e– spresso, voi non rammentate più, poeta Be– nelli1 il volto luminosamente e pacatamente triste della Musa di quel padre \'O$tro Sofo– cle, che nelle vostre vigilie, studiaste e tra– duceste. Or bene, sopra un mondo tragico, greve di dolori troppo più vasti e infrangi– bili di quelli del vostro solitario Lorenzo e dell'altro • reo sughero bestemmiante Jddio •, a quel modo ella ride. L:. smaniosa irrequie· todine, la voce rauca, il pallore verde, il re• spiro convulso, lo sguardo irretorto delJa Melpomene vostra, dicon com'ella sia di fie– vole cuore. Non la vedeste mai in Vaticano, non la Furia laida, dai capelli sguizzanti di cernste, ma, presso l'erma del figliuol di So– tillo1 fra le belle sorelle, com'ella guarda, [h'~ìi:?'J?:.•, '(::À-:i~~7a]. la solare Melpomene, la Melpomene nostra, umana; nella gioia mesta e serena nel pianto, e nel cui petto di ver– gine palpitan tutti i cuori? Ma voi siete moderno, si dice. Esser mo– derno, io domando, significa dunque esser dimidiato? Chè il vostro mondo non è un mon,Jo, n~, forse, la met!t di un mondo; un fram• mento, un funebre frammento, un avanzo di solitudine cupa, con degli alberi dalle braccia torte 1 e dove i biacchi fischian nel buio. Non a voi fo torto, ripeto ; chè, qualun– que sia la vostra poesia, voi avete una poesia. Ma tanto ci hanno parlato d'una enorme , nuova civiltà poetica della quale siete l'araldo, d'un universo del quale avete trovata la chiave, ma ch'essi, frattanto, non si sono af• fatlo presi cura di dichiarare ai nostri miopi intelletti, che noi ci guardiamo intorno a con· siderarlo questo nuovo mondo. Ci guardiamo intorno, e vediamo tutto beo congegnato, ben accomodato, ben levi– gato e verniciato; le commessure son ben .dissimulate ; fiutiamo un certo odor di nuovo nell'aria; ci pare di trovarci in un ambiente nuovo davvero. C'è pure, sotto la com•ul· sione esteriore, una secca precisione che non , quella compassatezza un po' impacciata delle cose primitive o giovanili, che arcaiz– zano quando il fren dell'arte è tenuto da una mano vigoros, 1 ed è pur l' ingenua sorella del disordine e dell'esuberanza. Quella specie di coraggio del brullo che è la cosa più bella del Fi'glio dei /empi, qui non rompe mai la misura. Tutti devono applaudire, e chi per scrupolo non applaude lo fa con in J'ondo all'anima un po' di rammarico. come se mancasse a un dovere verso il poeta cosi inappuntabile. I personaggi, per quanto dicano di non potere, sanno in fondo ben conte– nersi, e lo ~ano, perchè non potrebbero darsi; non si contengono per intima concre– tezza, ma per .non scoprirsi vuoti, se doves– sero cercarsi dentro da\!Vero. le loro vio– J.enze,risoluzione più sovente laterale del loro ardore e furore che perciò ne rimane insa– ziato, son ambigue come le loro penombre. Non per nulla cammina accanto :1d essi, quello spettro inafferrabile, or ciarlier:1mente li1ido 1 or orrendamente bai buziente, e del quale si potrebbe pur cominciare a far di meno: la pazzia. Un grande teatro potrebbe forse sfarsi in tipi di questo c!lhbro; dubito possa preferire di alTermnrvi l:t sua vergine forza, se è un grande teatro dav\'ero. D'altra parte, sia pure che la nuova ci– vihà poetica che, affermano, da noi $i pre• para, do"rà essere essenzialmente tragica ; ma ha molto senso discorrere di queste cose; non dico poi banchettarci sopra come fanno? Le promesse d'arte son come la sincerità (e l'analogia è lutt' altro che estrinseca), rattrap• piscono quando se ne discorre. Fr:ttlanto le civiltà che alimentarono un mondo tragico sul serio, foron ricche di tal forz.i morale, sia pur avviluppata e contrad– dicentesi nel suo conato per ampliarsi e su– perarsi, ma intatta nel suo intimo fulcro, ma asciutca in ogni suo nervo, da bilanciar ben ahro che l'inquietudine e il livore di queste anime solitarie, le quali, invece, sembrano non poter in nessun modo trovare nel mondo che le circonda un contrappeso che le fissi, e_ce le faccia in qualche modo cono~cere, c1 permetta di poterle \'aiutare. Il dramma LA VOCE di Amleto non si .iccende nel suo intiero si• gnificato, senza gli squilli di giovinezza gio– conda dei trombetti di Fortinbras. Nè il pri– mo coro delPAgamennone ha pieno senso senza il zat~:.T-e dd finale Jelle Eumenidi. Non per l'o\rvia ragione - a questi esempii anche inadattabile, e di cui sorriderebbe lo scahro lettore - della necessità che il giu– sto trionfi e il rnah 1 agio soccomba. Sibbene, per quella più semplice e insiem più ricc.1 che la vita è tutto fuorchè monocroma, e senza unh·ers.1lità di colore non si ottiene immagine di vita che non sia languida o paradoss.1le. « :\spett:lte »: si potr:'I rispon• dermi. L'arte, frallanto, è modo, forma, a\– teggiamento, non estensione. E il modo e l'atteggiamenro già lo \•ediamo. Qui non che esserci « tutto il bene e tutto il mafe, tutto il riso e tutto il pianto •, tutto manca fuorchè ·una uguale livida penombra. licl· segreto dell'anima, questi personaggi si spec• chiano l'un J'altro : la singolare vigoria del• Partista è consistita nell'inquadrarli iQ un giuoco ben preciso di av\'enimenti, in modo, che il fatto caratterizzasse il personaggio, non da questo emanasse quel lo. Se della ricchezza di forza morale, madre d'una civiltà nuova, c'è nell'aria il sentore, forse anche, la promessa, perchè corrompere queste cose, mesticandoci intorno, mantru~ giandole, sgualcendole, prima che siano fio• rite; spendendole prima che sien riscosse? Dov'è il chiuso divino primaveril tepore dei cuori di poeti casti - nel senso r.on evirato della parola - che maturino in silenzio i lor mondi, luminosi ancorchè tristi, vera• mente nudi nella loro forza ; non luminbli sol d'una luce di ribalta ; non precisi della sola precisione dei ghirigori di stucco; non vivi sol di parola disinvolta? Ad affrettare l'alba di quella primavera, permetteteci di credere che poco gioveranno e lo champagne del ca,,. Faraglia, e i discorsi benchè inconsueti di Rastignac, e le commo– zioni consuete di Domenico Oliva, e le vo– stre adesioni pindariche, che Dio vi perdoni, Benelli, in grazia della vostra poesia. Emilio Cece!!!,_ [lb CHE Cl PUb INSE&nAHE BEETHOVEN Riccardo Wagner fu il primo che incomin• ciò a fraintender Beethoven. Chiuso il poeta musicale di Siegfried od suo immenso amore per I' epopee di sua patria, non si accorgeva che la melopea polifonica - che egli usava folta come le gpndi foreste germaniche ove Siegfried udi cantare il suo fato eroico dai trilli freschissimi degli uccelli - in origine aveva significato tutt'altra e ben altra cosa che un commento musicale ad un narrazione cpico– dramma1ic:t. Perchè, come ognun sa, il si• sterna polifonico, \.Vagner lo prese di peso dagli ultimi quartetri in particolare, in gene– rale dalle uhime opere di Beethoven. Anzi, nelle opere critiche di Wagner si legge (ed è l'e1erno lato comico del genio che, ebbro di sè, non guarda alle ingiustizie che com– meue) com~ \Vagner credesse fermamente che a Beethoven mancava ciò che a lui \Vagner era stato concesso largamente da natura: il genio della narrazione: il genio della \'isione poetira. E \.Vagner finh·a per credere che llét– thoven avesse commesso un miserando errore: avesse, cioè, tentato di piegar la musica a ciò che non potr:\ mai fore: a imitar la parola. Onde arguiva che la propria potenza verbale, unita alla potenza espressiva del sistema po– lifonico scoperto da Beethoven, a\'rebbe rime– diato all'errore beethoveniano. In che modo? - Con l'opera-dramma - che ~, secondo \Vagner, l'opera d'arte per/ella, perchè resul– tante d:tl concorso della musica e della poesia e, oltre di queste due arti, della danza, del– l'architettura e delle arti plastiche. In che consisla I' ~rrore dell' unione delle arti, è gi!t stato suflìcientemente dimoslra10. A me basta nGtar qui una cosa che, forse, non è stata mai nolala - che, in realtà, i) linguaggio \\'agneriano, solo i11/el/ellualislica• men/e è scindibile in poesia e musica; rivis- suto però ÙJ/uilivame11/e 1 esso ci apparirà come un linguaggio sui generis, di cui l'imagine centrale mal sapremmo distinguere se ci \leoga comunicata dalla poesia o dalla music.1. Leg– gete infatti senza la musica un libretto di Wagner: esso è composto d'una ben scialba poesia verbale. I luoghi comuni si seguono con trisle abbondanza e, a lettura finita, in· vano ci sforzeremmo di avere un'immagine chiara del dramma. - Cosi, leggeh:: 1 sola, la partitura musicale: proveremo, quasi ad ogni momento, delle sorprese per certi oscuri pas• saggi, che sembrano star Il immotivati, come il movimento isolato d'un braccio divelto da un tronco di statua. - No; musica e poesia nell'opera \Vagneriana sono un linguaggio unico, indivisibile, come in un poema il metro è connaturato con I' espressione verbale. E questa mia osservazione penso sia di capitale importanza per· l,#1 comprensione dcli' opera epico-drammatica Wagnenana. Poichè fino ad oggi l'avere scisso ciò che è stato concepito, se non nel tempo storico, certo nel tempo ideale della creazione, come 11110, ha portato fino ad ora a una strana incomprensione di W.tgner, per la quale i poeti non hanno ca– pito perchè verbalmmle, fosse cosl amorfo uno scrittore che pur regalò alla Germania ~sogni più giganteschi che poeta tedesco abbia mai sognato; e per Ja quale i musicisti, trasci– nando con loro un critico, nientemeno, come Francesco De Sanctis (egli, non vedendo nella sua lolalità il problema, diceva \.Vagner un corrullore dtlla musi"ca) non hanoo neppur essi capito pe,chè fosse cosi amorfo un musicista che pure aveva saputo comporre delle ouver• /ures di linea purissima, con;e quella del Tannbaiiser. Certo, dunque, il sistema polifonico, com'è sia/o ripreso da l Vagner, appar manchevole se gli si strappano le concreate parole. Ma, se qui è l'errore di Wagner, possiamo dire lo stesso degli ultimi quartetti di Beethoven ? Quelle pagine fittamente contrappuntale con leit-motiv brevi, nitidi, nell'intreccio sempre mutevole vestiti di significati sempre diversi e pur fondamentalmentesimili, vanno proerio messe accanto alle pagine d'una partitura Wa• gneriana? Se noi poniamo la questione cosl, ci ac– corgeremo presto che altro è il modo d'e• spressioae polifonica d'un quartetlo di Beetho– ven, e altro quello d 1 uno spartito di Wagner. Se a Wagner preme dì oggettivarsi in un mondo di leggenda (e la leggenda è la storia risognata da un poeta); se egli del verso e della melodia si serve per rappresentare un avvenimento materiato d'azione, se insomma Wagner è un vero e proprio fratello di Omero, di Valmiki, di Firdusi, di Turoldu,; e dei più o meno anonimi creatori delle epopee germaniche; Bt:ethoven, al contrario, fa sgor– gare la sua musica dal suo più segreto cuore: colora i suoi temi dei suoi dolori, rrnette nelle suoi armonie l'angoscia delle sue passibni. f!, insomma, un lirico. Non narra, esclama; non esprime un concetto, come fa spesso \Vagner (Durc/1 ,'4illeid wi"ssend, tler reù,e T!tor, harre seù,, dm ic/1erkor). - 1\la 1 conquistatolo, vi si dibatte o vi si accascia, o vi si rappacifica. le opere di Wagner sono poemi epici rap– presentati. Le sinfonie, le sonate, i quartetti di Beethoven sono forse la lirica più lirica che sia mai stata creata da 3rtista umano. Che cosa, dunqoe, ci può e ci deve ins~– gnare Beethoven? -- A non essere più \Va– gneri.rni~ :1 nou essere più soltanto tlescrillivi, narratori, ad essere pili musicisti, cioè più lirici. Che cosa è, in foudo Debussy, se non un \Vagneriano, un epico nella sostanza, se non nell'apparenza? E l'impressionismo mu• sicale non è forse il figlio pH1 genuino del– l'epica \V agneriana ? È vero che la musica dei poemi impressionistici non domanda nulla alla parola; ma, in reah:'1 1 cerca di imitare i p~o~dimenti della parola. - Ohimè, però, eh qual _p:1rola ?· Della parola-visione, della parola-pittura, della parola-narrazione. È strano not~re come la poesia dei decadenti sia giunla a ritrovare la musica nella poesia ; mentre la musica ten1:1 tutto per allonlanarsi dalla _ musica, ~ mentre im,etliva contro Wagner, che effettivamente non fu musicista, ella stessa non fa che seguire le sue orme. la parola come riconoscimento storico della realtà (il Bibloteca Gino Bianco rumore d'una porla che si chiude - vedi Pel/tas e/ Mélisande - il grido caralteristico degli uccelli - v. I' Hisloire 11a/11relle del Ravel); la parola che li dirige all' intelligenza, è oggi sempre sottintesa nella musica. Si guardino i titoli della musica per pianoforte solo di Debussy: « la pl11ie sur le jnrdù, •· « La soirle tlallS Greunde > 1 « Rtflels dallS l'eau ... Tutti tendono a un suggerimento poe· tico-descrittivo; si legga poi la musica: si vedrà che senza questo suggerimento poetico• descrittivo {una specie di librelto racohath·o che il lellore e l'uditore deve nei ;,unti più scabrosi creare con la propria fantasia) tale musica non si reggerebbe. Poichè quell' ar– monie possono anche ricordarci l'acre odore della \'egetazione bagnata, e il mormorio biz• zarro e continuo, il monotono fruscio del• l'acqua sui lauri, sui bossi, sulle morlelle ta· gliate in forme regolari dai giardinieri_; ma a patto di costruire da noi 1 come Wagne-r diceva per gli ultimi quartetti di Beethoven e per la nona, un libretto poetico (s'intende, non un libretto alla Piave I I) - Togliele alla Piog– gia sul giardù,o il titolo, ed essa senza J'ele• mtnto poetico, si ottenebrerà, ritornerà in quel confuso stato crepuscolare dal qual~ in• vano l'au1ore l'ha voluta strappare, imponen– dole un significato preciso ma arbitrario. Orbene, perchè i musicisti non ritornano musicisti, come· fu Beethoven? lo non con– siglio certo un• imitazione pedissequa delle forme beethoveniane, le quali imposte alla nostra diversissima anima, sarebbero ridico– lissime. li nostro linguaggio musicale (e questo è uno dei grandi meriti di Dt!bussy) ha tale una intonazione e sottigliezza di mez.zi, che un imitatore di Beethoven sembrefebbe vol– gare. Ma al lirisrro beethoveniano bisogne– rebbe tornare, a cantar noi, il nostro io pro– fondo; e cessare una buona volla di perderci dietro a questi piccoli fantasmi di poemetti semi-melodrammatici, poemetti in cui tutto si chiede al!'intelligenz.a, (al giudizio storico), niente allo· spontaneo flusso lirico dei senti– menti. Ripeto la poesia è tornata a ~. - E noi musicisti persisteremo nei dialoghi tra il vento e il _ mare, e in descrizioni inutili di rumori che per diventar muslca dovrebbero - esser soltanto poesia ? Giannotto Baatlanelll. Lettere Triestine. Lotte nazionali. In una serie di articoh vivaci e nutriti di buona informazione, lo Slataper ha tentato di lumeggiare le cause per le quali è cosi basso, com'cgli crede, il livello della cultura triestina. In fondo, queste cause si ridurrebbero a tre o quattro, che sono intimamente collegate: il di– fotto di tradi1.ioni di cultura; la 1>rcvalenza dc• gl' interessi economici su quegli inlellettuali e il dissidio che ne deriva; le preoccupazioni po• litiche: l'inerzia, eh' è frutto di presunzione e seme di pusillanimit:\. È avvenulo allo Slataper come ){Clh.:ralmente avviene ai critici : che essi ,·eclano le cose 1>iù fosche e pili brutte che non sicno in rcalt3. Egli è stalo senza dubbio troppo 1,essimista nel giu– dicar~ l'arte dei suoi concittadini, che pur si fanno onore iu c1uasi tutte le mostre internazio– nali: ccl ha dimenticato addirittura l'òJ>Cradegli' scienziati, dei medici,dei naturalisti ,degli studiosi delle discipline storiche. Se n'è accorto del resto egli stesso, e ha ~onfessato in una delle ultime lcuere, dopo le prime inlem1>cr.rnzc, che la cultura lriestina non gli pareva « tropi>0 di– sprezzabile" ., da quando aveva imparato a co– noscere più da vicino c1uella del regno. Po1eva aggiungere che, per nostra sciagura, come non si conosce il nostro paese, cosi s 1 ignora trOJ>l>O spesso quanto si foccia da noi. Ed è fenomeno comune ; perchè la conoscenza dei fatti di cul– tura non diJ>cnde solo dalla loro bont:\, ma dal- 1'ambiente in cui si s,·olgono. E TrieMe t; ne– cessariamente isolata dal pili l.lrgo movimento intellettuale italiano. Dopo queste riserve, io mi trovo d'accordo collo Slata1,er quan10 alla constatazione della maggior parte elci fotti; quanto alle loro cause, penso ch'egli abbia dato troppo 1>esoalla 111311• canza cli una lradizione, e 1ropi>0 i>oco alle 1>rcoccupazioni nazionali. Intanto, gio,,a notare che Trieste non è città grande se non da poco tempo, ch'ebbe un c1uattrocento nobilissimo, che

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