La Voce di Molfetta - anno II - n. 3 - 21 gennaio 1951

) 21 Gennaio 1951 ff oif ra ·!orella Morte (umorale .) Il capitolo è il penultimo di un'opera_: MoLFETT A A1=,LO SPECCHIO, c·be studia gli atteggiamenti d~ll' umile popolo_ di · fronte a vari problemi della vita. V arie consideraz{oni relative alla m~rle sono sparse nei capitoli precedenti e viste in rapporl-0 ad altri problemi. Il capifolo a ~è pu6 parere mutilalo. Gratissima sarò a chi. vorrà Jornirm_i contributo di parole e di delli. Sorella no. Sicura, ma non sorella. Essa ' toglie la vita, così immedesimata nell'at– tività che garentisce di esistere e che nel– . ·l'esistere combattendo, rivela e èonferma il senso e_ la con~istenza della persona. La morte si presenta nel duplice aspetto di cancellazione dell'esistenza, dell'attività che dispiegandosi costituisce e rivela se stessa e di lenta separazio~e da ciò per cm s1seppe di essere : come vera e propria morte e come vecchiezza. -Come può la vita· amare la· morte, la vita che si riconosce rnentre si attua, che si manifesta soffrendo e lottan'do ? La vita non è cho pura contemr lazione, che anzi si risolve per intero in attività, rigetta la propria negazion~ nella morte,_ non può intendere ·1a sua contraddizione, la respinge come dichiarata nemica e pre– •ferisce tutta la pena che le costa il re– sistere e il durare, a qualunque morte: meglio un cattivo vivere che un buon– morire ; si sopportino tutti· i mali ~he la vita comporta, finché si vive ogni male è niente, perchè il_ be·n~ dei beni è la_ vita. I detti innalzano confermando questo concetto. S'arrestano però· di fropte all'i– ne~·itabile, al dissolvimento portato dagli anni, che separa r uomo da se -ste.,so, come si intese uomo : nel lavor~, nella lotta, nel · dolore. La. v;cchiaia fa del ddore, il do– lore, della lotta la lotta, della sofferenza la sofferenza, non piu strumenti e mezzi dell'umano co~tituirsi, ma della sua · di– struzione._ . _.E ~llora meglio I~ morte; esista e venga pure la morte, ma non la vecchiezza. Meglio Morire. - LA VOCE ·01 MOLFETTA STATUE ·DISANGUE- Solo il dolore libera il mondo R. Hamerling • Ombre .sugli occhi, brìna ne cuore e guerra di fame al banchetto nostro : a ~tecchiti resti '- . di buon mondo. Ma meglio ghiaccio che ombre sul cuore? Statue di sangue \/01 senza luce di domani. GRAZIACASCARANO ·Tristezza di una vita tutta curva su se stessa che, per rintracciarsi si immola, si consuma e poi- si cancella. Triste tal vita a chi la goarda da un'altra sponda, non a •chi la intese cosl ~ome era, éol suo male e col suo bene e da quel male e da .quel bene trasse il senso e la ra;ione- della sua fatica, senza pessimismi malinconici o tragici, senza o·tti– m-ismi illusori e cosi a<:F_ettandola e ogni giorno svolgendola e costruendola, ripu– gnando irremissibilmente dal morire. .M 'OR 1' E « Allor che alle nòstre ~ase - la diva severa discende >> Mègghie nu brulle chémbà éa n'u huene meraie ·_ meglio un cat6vo vivere -che un buon morire ; - uè a lumene e vite a longhe .-. guai· a– tomoli, in quantità, e vita l ~rn.ga ; finghe a la vite ngè le ué so niende -:-· finché c'è la vita i guai . sono" _ niente ; , soltènde allè morte 1 nèn z' accbie drèlle - solo ali~ morte non si rimedia ; èneme e lerraise so difficele ad assaie·-– anime e danari son difficili ad uscire ; lè mòrte de_spiasce a tutte ·-- là morte dispiace a tutti; . • alle è parlà di morte, a{te é morì'_ altro é parlar di .morte, altro è morire ; addò stè la sporte nèn ze chiéme morte - -····-dove c.: è la sp~rta non- si chiama morte; la morte -- s'intende per chi resta --- n~m è tale, perchè la soppressione di un f at– tore economico non incide sulle necessità delJa vita. In éonclusi6ne, il guaio ha va– lore ,solo per·· chi muore ; . Ecco l'uomo disteso immobile e inutile sul letto di morte ; domani se Il t andrà ; piangono i parenti, la madre, la sposa, i figli i fratelli : tre giorpi si pi_angono i morti e il pianto, l'incenso, !:acquasanta ai morti .sono perduti-; i morti non tor– nano. Anzi un altro essere prende il posto di chi è partito e se uno non va, l'altro non vien~. Non vi seno posti soverchi; chi va fa largo e lascia il posto a una incalz~nte attività: a carico del m~rto deve campare il vivente ; se uuo n :n muore l'~ltro non campa. ci aune né mo ere u alfe nèn gbémbe ·· --· ·se uno non. muore l'altro non vive. E qui fermiamoci. -- 'froppi sin d'~llora, sl che s'attendeva il rilascio di un p<;>sto vuoto per poter– visi collocare?, Forse; il territor_io che circonda I la città è quanto ·mai limitato e costretto, sl che, quando i tempi furono maturi, la cittadinanza si sparse per il mond ·, intraplendente·,. iritellig~nte, adusata at duro. lavoro che fida suL solo lavoro 5 r' senz' accampare diritti estrosi. Ad ogni modo l'inno alla vita trionfa : chi muore va, giace; chi vive raccoglie la , vanga, l'ascia, il martello e prosegue nel cammino · rimasto libero ; dal primo ali' ultimo detto _ .... l'anelito. ~ella vita soverçhia la tristezza della morte. _Proseguiamo : · co"meperèsce la carne, perèsce · u deloere -· c~me · -pe- . risce la car'ne, · perisce il dolore dei caFÌ' perduti ; · frè daie se chiènge u 'muerle - .tre · giorni· si - piange il morto ; ·_biso_gna· proseg~ire. Se non che dopo tanto lottare. tanti guai, viene la morte· - doppe tènde a uè lè morte vèiene -- eh_~ é il punto d'arresto ' . La vita canta .il suo peana sulla tomba, ma il trionfo finale é della morte. (continua) ROSARIA .SCA~DIGNO . '. euriosità dialettali· · spèngiàine: sostantivo plur. fernm. Parola .di uso raro e per Io più scherzoso. In senso preciso corrisponde _alle costole, ai tianchi, e nella formazione della parola non è estra– nea la voce pènze - pan~ia, combinata con spènge - spingere, suggerita appunto dal fluttuare delle costole.· / ' _ cialàune : usato nel!' espressione sci eia- · \ làunet _~he _ significa andare in ~iro a -~_usa di guai, dibattersi nelle disavventure: Mi • • I I • pare l'esatta traduzione' dell'espressione av- verbialè italiana, foneticamente quasi i:rri- , conoscibile nella forma .dialettale, di ~andar . - .... · gironi» t cioè andare seriza sape~ dove, di ) . qua e·· di là. ·- , . cerefecà: vessare, tormentàre. Bellissima parola~! Per intenderla.bene bisogna partire dalla forma originaria nOn metatizzata c~– fereçà, che ha perduto per aferesi la sillaba iniziale LU; sicchè la parola intera· suo– nerebbe l.ici/ericare, vale a dire fare il dia– volo, comportarsi_ come Lucifero e quindj tormentare. Infatti abbiamo in dialetto la parola ceferre, che si dice di donna (Ver- _J suta, versiera e - vale letteralmente Lu) cif~rat _cioè dia volessa; e anche l' espression~ cape cifre, :ioè il capo d~i dia voli, Lu) ci– fero.' Perciò il co~nome ·Cifar~lli, così -diffuso, piaccia o non piaccia, non è à)tro cf:ieJl diminuitivo di Lucifero. E con questo non vorrei aver messo in crisi qualche anima r pia e timorata, ch--eper ironia del caso si portava a spasso quel nome senza sapere di che si trattasse. fàr{arello I .

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