UOMO - Anno II - n. 3 - giugno 1944

che gli abbisogna per conservare ed accrescere la vita. La conoscenza ha storicamente un'ori– gine teleologica o finalista. E se si chiedesse qual è lo scopo della vita, si potrebbe rispondere: !a vita stessa, la sua conservazione ed il suo•accre– scimento. È l'oggetto centrale della nostra fede, la so– stanza di ciò che speriamo, il nostro radicale anelito, si fissa nell'immortalità dell'anima. Si h:i paura ed a volte vergogna ad affrontare questo problema; ci pare una credenza puerile la crl'– denza nell'immortalità dell'anima individuale, e tuttavia questo problema è il centro• non nomi– nato di tutte le investigazioni e speculazioni di ordine religioso. Nel saggio intitolato « La religione», che Giu– seppe Rensi pubblicò nel numero 1 della rivista « Coenobium » di Lugano, era molto bene detto che la credenza nell'immortalità è la cosa più ovvia, anzi la più inevitabile, perchè deriva dalla impossibilità logica in cui si trova la nostra mente di pensarsi non pensante; impossibilità scatutiente da ciò, che per conoscere la nostra mente estinta noi dobbiamo accompagnarla e starle accanto nella morte col nostro pensiero, cioè con la nostra mente viva. Per quanto l'im– mortalità sia un'illusione, noi siamo, in forza della nostra stessa costruzione mentale, inevita– bilmente vincolati ad essa, come alle categorie di tempo, di spazio e di causa. Così il Rensi; e più innanzi propone come soluzione di tale ine– stinguibile aspirazione, la rinuncia religiosa al-

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