L'Unità - anno IX - n.7 - 12 febbraio 1920

problemi della vita italiana Direttore: GAETANO SAL VEMINI .,i Direzione e Amministrazione: Firenze, Via S. Zanobi, n. 64 .,. Abbonan1ento ordinario annuo L. 10, semestrale L. 5.25 per il Regno: Annuo per l'estero L. 15 .,i Sostenitore annuo L. 30, semestrale L. 15 .,i Un numero separato ceat. 20 .,. Si pubblica 1/ Sabato a ROMA e a FIRENZE .,. C. C. con la posta. Anno [X .M N. 7 .M 12 Febbraio 1920 • SOMMARIO: .:Voi, rimmciatari.l, G. S..\l.\'E.ltJNI. - Il "G•Ornal~ {dei dt".fide11til d'Jtnlia., U11adimissiom:, - Elettori t: deputali, A. CR."f.SPl - Pur.ao di cadanrt:. - Il Cowuegno della lt:l{tl ·Noi, rinunciatari! (dfscorso pronunziato al1a Camera nella seduta del 7 febbraio) Le prossime dichiarazioni del Presidente del Consiglio riguarderanno - se non m' in– ganno - più specialmente, se non esclush 1 a– mente, il problema adriatico: e il nostro voto sarà ,dato su questo argomento. Ed a questo soggetto io intendo tenermi strettamente, anche per non abusare della cortesia della Camera. La liquidazione del falli– mento nazionalista. È stato affermato, duréf.nte questa discus– sione, che nelle recenti trattative di Parigi è faHitu il programma e il metodo di quel gruppo di uomini. a cui mi onoro di appar– tenere con Leonida Bis3olati, e ai quali si suol dare il titolo di « rinu11ciat:1ri ». Quest'affermazione non risponde in alcun modo al \'ero : perchè non si possono dichia– rare falliti un programma e un metodo, che non sono stati sperimentati nel tempo in cui furono proposti ~ome immediatamente nec-es– s.ari. La necessità che il Trattato di Londra fosse non abbandonato - badiamo bene - ma sostituito con un. nuovo tr~ttato, meglio rispondente al reali interessi dell' ltalla e alle nuove condizioni internazionali, la necessità di siffatta revisione e sostituzione, non abban– dono, noi, l'abbiamo affermata non nel gen– naio del 1920 1 cioè <iuando il procedimento, di revisione non poteva più dare che me– schini resultati per gli errori commessi nei dnque anni procedenti. Questa necessità l'abbiamo affermata non appena si ebbero le prime notizit: del conte– nuto del Patto di Londra. E intensificammo la nostra campagna, specialmente dopo la ri– voluzione russa e l'intervento dc8"li Stati Uniti nella guerra. Sparlta la Russia, intervenuta l'America, non occorreva eRSCregrandi profeti per capire che i trattati Iniziali della guerra non pote– vano p ù durare nella forma primitiva, e che bt90g0ava aggiornare l nostd titoli diplomatici, abbandonando di essi ciò che· uon era più possil:.ile conservare nella nuova situazione internazionale. Ma furono sempre parole vane. Nel gennaio del 1918 - lo ha ri\'elato l'un. Tittonl alla Camera nel luglio pasSjlt0 - il PresJdente \Vilson dichiarava ufficial– mente di non riconoscere il Patto di Londra. Lit. notizia fu tenuta segreta; e si andò avanti come se gli Stati Uniti non esistessero. O me– glio - anzi, peggio - si cominciò a chieder loro quattrini in pre::,tito, e si mor.tò l'equivoco del Congresso di Roma fra le nazionalità nd– l'aprile del 1918: equivoco, non in molti, che in buona fede lo promossero e vi parlecipa– ron"; ma equivoco nell'azione del G verno, che cJI Presidente del Consiglio favorì il Congresso e aderì ai suoi voti, e col Ministro degli esteri lo iguorò. Ripetemmo allora - noi rinunciatari - con maggiore insistenza il no• stro grido: rivediamo in tempo il trattato di Londra. Fu voce nel deserto. Nell'estate del r918 - mi sì consenta questa, che sar.\ la sola citazione di docu• menti .... non segreti e r.on trafugati da nes– sun annadio governativo, - noi scrivevamo: « Se il problema dell'Adriatico non viene rie– • saminato e deciso definitivamente con la t partedpazione degli Stati Uniti prti11a della « fiw della g,urra t al più presto, l'Italia ar– • rivert\ al momento delle sistemazioni finali « nella condizione di un litigante, che aspetta -. la sentenza degli Stati Uniti di fronte agli « altri litig.tnti, che ~rcbl>cro gli slavi:, arti– <' veremo aHc trattative di pace, non nella « veste di chi deve dire la su~ parola a fianco « degli alleati e di fronte alla Germania a « parità di condizioni coi suoi grandi alleati, -11: ma insolentendoci cogli slavi per le scogliere « dcli' Adriatiw. È possibile che in Italia non « ci siano nazionalisti, capaci di comprendere « tutto ciò che p~rderebbe l'Italia in dignità e • in prestigio nel mondo, se cadesse in tale « errore? Dopo aver tanto lottato, dopo aver « tanto sofferto, dopo aver tanto contribuito .: alla vittoria comune, è questa la posizione "' che si prepara ali' Italia per il momento « delle trattative di pace? Forse un accQrdo « fra l'Italia e la Serbia è divenuto impossi– « bile in conseguenza degli errori commessi « da entrambe le parti in quattro anni di « scempiaggini. Ma c:iò non toglie che l' Jta– « lia non debba riparare, non appena il buon • senso riesca a penetrare in qualche modo « alla Consulta, all'errore commesso nel 1915 « ignorando la Serbi'a nelle trattat:ve, che con– o(( dussero all'accordo di Londra. L'Italia deve « cominciare dall'offrire un accordo a base di <, tfJ"'~à alla Serbia, rappresentante morale di « tutti gli Slavi del Sud, accordo che la Ser– « bia non possa a base di eqr111d rifiutare. Se « l'accordo avviene, tanto meglio: non resterà (( che invitare tutti gli ahri alleati a prenderne e atto. Se la Serbia rifiuterà, allora l'Italia « avrà acquistato il diritto di trattare sempre « a base di equità, 11011 p/ù con gli slavi: ma « sul conio dee/i slavi con Wilson, appoggiata • dalla doverosa solidarietà dell' lnghilterra e « della Francia. A 1ussu.·1pollo, diciamo a ,us– e nm palla, l'Italia deve arrivare alla pace » rivohandosi nella polvere della strada coi « nazi, nali!ni slavi, quasi che nel mondo non « esi<1tano ~ he i fornicai della Dalmazia». Era quello il momento migliore per trat– tare: dop:> la vittoria nostra del Piave; quando il trionfo militare pareva ancora 1.,ntano assai, e non ancora dis~atta la Germania, non ancora sfasciata PAustria, era l'Italia l'ago della bi– lancia militare; e gli slavi non erano inor– gogltti ancora della vittoria sul fronte mace– done; e del nostro aiuto avevano bisogno i partiti nazionali antiaustriaci per continuare nella lotta. Furono v,.,ci nel deserto! E ci fu un altro. un ultimo, l'ultimo e de• finitiv<:1momento, in cui si poteva salvare in– teressi e dignità: sulla fine del 1918 e sui primissimi del 1919: - prima che il Presi– dente Wilson tagliasse i ponti pubblicando il (amoso messaggio; - quando il nostro po– polo aveva ancora intatto e fervido il senso della vittoria, non ancora depresso. sabotato, sperperato dalla esasperante attesa e dagli errori mostruo,i;ii delle trattative di Parigi; - quando la Jugoslavia traversava la prima, più difficile, fase della sua formazione e non si era ancora, bene o male, assestata come ora• mai è assestata oggi, senr.a di noi, contro di noi; - quanoo non avevamo emesso ancora i miliardi di carta monet:i con cui in quest'anno abbiamo precipitata la crisi economica, che al– lora cominciava a divenire grave ; - quando l'Italia non era ancora disorganizzata dalle lotte interne, che in buona parte sono il resultato della politica monetaria e della crisi economica di quest'ultimo anno: - quardo il Presidente \Vibon avrebbe accettato, certo con viva sod· di,faz1one, la nostra solidarieià nei suoi ten– tativi, che erano sinceri, per resistere alle tendenze della politica estera francese e in– glese; - quando non avevamo ancora, nelle trattative di Parigi, commesso l'errore incre• dibilc, sopratutto dal punto di vista nazio• nalistrt, di consentire a tutte le~ peggiori iniziative degli altri, senza chiedere volta per ..~:l~ impegni corrispettivi: - quando non erano avvenute ancora le sedizioni di Ga• briele d'Annunzio e dal vice ammiraglio Milio, che ci hanno discreditato nel mondo, come organiu.ar.ionc statale e come serietà nar.ionale, pili che una battagli3. perduta. Quello fo l'ultimo momento buono per sosti– tuire al trattato di Londra un tratl:ito più equo per tutti e in realtà più utile per noi. Ma proprio in quel momento Leonida Bis– solati fu buttato via come un limone spre– muto. Fu quello il momento in cui trionfò la tattica dell'intrall!igenza. Avemmo .illora Il viaggio di andata e ritorno, che tutti ri– cordiamo. Avemmo allora la dichiarazione di fallimento del!a •politica della Consulta. E oggi che l'onorevole Nitti, nominato li– quidatore del fallimento, ci porta un compro– messo, che non è davvero molto brillante, c'è della gente che ha I' eroismo di venire ad affermare che è fallita la nostra politica rinunciataria! No, signori. a Parigi è stato liquidato il fallimento della politica vostra : mentre la po– litica nostra non è stata mai provata nelle ore in cui la raccomandavamo: essa è rima– sta sempre fuori, come programma e come metodo di azione, dalla mentalità è dall' a– zione di tutti i nostri uomini dj Governo, e ,dalle stesse ultime trattative di Parigi. Oggi ci troviamo di fronte alh, proposta del liquidatore del fallimento. Dobbiamo ac– cettare questa proposta ? Dobbiamo respin– gerla? Dobbiamo biasimare, dobbiamo lodare l'opera del liquidatore? Il compromesso di Parigi. Signori, se non ci trova...simo oggi a dover scontare cinque anni di errori irn1uditi, se a– vessimo libertà d'azione e di opzione, io rifiu– terei senz'altro il comPromesso di Pi:trlgi, per molti motivi, dei quali accennerò rapid;1mente i fondamentali. Manca anzitutto in esso il disanno e la neu- • tralizzazione totale dell'Adriatico. Questo doveva essere il premio più utile e più nobile e più puro della nostra vittoria, intesa la guerra come la intendevamo noi. Invece si parla soltanto del disarmo delle isole. Che vuol dir ciò? La Svizzera è neu– tralizzata ma non è disarmata : cioè i vicini non possono iovaderla, ed essa non può di• chiarare guerra ai vicini, ma ha diritto di cs~re armata per difendere la propria neu– tralità. La riva sinistra del Reno, invece, è disarmata, e non è neutralizzata : cioè i te– de:.thi hanno il dovere di tenerla disarmata, ma la Francia può invaderla non appena di– chiarata la guerra. Or bene, le isole dell'Adriatico vengono costituite nello stesso !'itato giuridico: sono disannate, non sono neutralizzate. Resta ecm– pre negli slavi il diritto di armare le coste continentali. Nel messaggio del pre!:iidente \Vilson del• l'aprile del 1919 era detto: « Si propone che tutte lei/ortiflcazioni costruite dagli austriaci sulla sponda orientale dell'Adriatico senza ec• cezione siano rase al suolo e distrutte per– manentemente•· Oggi siamo andati indietro. Ringrazia~one il vice ammiraglio A.lillo,e l'o– norevole Nitti, che non lo destituì, non ap– pena fece la sua sedizione, com'era dovere del governo civile. Uno degli a1gomenti, per cui si critica il compromesso di Parigi, ma per il quale credo che la critica non sia fondata, è il fatto che la base na\'ale di Sebeni<.o sia lasciata agli ~la"i. Questo, secondo me, è uno dei difetti mi– nori del compromesso: perchè le basi na\'ali, come quella <li Sebenico, erano formidabili ai tempi, ormai preistorici, delle drcad11oughls, die avevano b~sogno di grandi bdsi na\dli per raccogliervisi e aspettare l'ora della bat• taglia. :\'la oggi le dread11oughts servono solo ad esser silurate ed a render necessario un numero notevùle di ufficiali d'alto grado. La guerra moderna per mare è fatta con sommer- • gib;li e nadglio leggero, che non hanno bi– .. sogno di grandi basi na\'ali, e possono rac– cogliersi in qualunque sinuosità della costa. Sotto questo punto di vista, ,U mutamento della tecnica navale ha assai migliorato la po– sizione dell'Italia, perchè la costa occidentale adriatica, priva di grandi basi navali, non ha scarsezza di piccole basi per sommergibili e per il naviglio leggero. E quando la relativa inferiorità della cost.& occidentale sia anche corretta, come il•compromesso la corregge. coll'annessione del saliente dell'Istria, di Lus~ sino, del gruppo di Lissa e del porto di Val– lona, possiamo ritenere di avere sufficiente– mente garantita la nostra sicurezza nell' A· driatico. Il guaio, dunque, non è a Sebenico: è che tutta la costa orientale potrà armarii dì som– mergibili e di naviglio leggero, e noi dovr~mo fare altrettanto. Ricomincere;mo cioè la gara degli armamenti, in questo mare dove due soli popoli si affacciano, bisognosi entrambi di lavoro e di pace : ricomincéremo la pazzia delle spese na~ali. Ma noi, rinunciatari, siamo stati i scili, in cinque anni, a cercare di richiamare l' atten– zione del Paese nostro e dei Paesi alleati sulla neceisità del disarmo e della neutra– lizza,done dell'Addatico. Se ne efa in verità parlato, in segreto, per la sola costa slava, nel Trattato di Londra; ma la propaganda uffi• ciale no11 ba mai concentrato il minimo sfor. zo su questo argomento: perchè i signori, che la dirigevano, appartenevano agli Stati mag– giori, e questi dovevano pensare al pane per la \'~chiaia. E temo che neanche l'onorevole Nitti nelle trattative di Parigi se ne sia, corbe si suol dire nel nostri paesi, incaricato. Secondo difetto. Agl'italiani, che rimar• ranno entro il confine jugoslavo, si dà djritto di optare per la cittadinanza. italiana. Ben altro avremmo desiderato noi, remissivi rinun– ciatari. Noi sognavamo che gli italiani della costa orientale adriatica, conservando intatto l'animo italiano e le tradhdoni del pensiero italiano, garantiti ..:on patto internazion.de nella loro libertà di cultura nazionale. come noi dovremmo garantire i nostri slavi, rima– nessero cittadini dello stato in cui vivranno, nella pienezr.a dei diritti polilici. sentinelle avanzate della nos1ra civiltà, mediatori paci– fici fra noi e l'Oriente balcanico. ldee da rinun.:iatarl ! An...:he sulla sovranità gara11ti~a dalla So• cietà delle Nazioni a Fiume ed a Zara ab– biamo qualche dubbio. Se queste città sovra– ne, non appena si troveranno soYrane, di~ chiareranno di voler essere annesse ali' Italia, che faremo? Manderemo i carabinieri per im– pedir loro di servirsi della sovranità? Ecco un problema che non so se sia stato pre– veduto. Quanto al confine stabilito per la Vene– zia Giulia, dal Tricorno alla Punta Fianona, esso è dal punto di vista nar.ionale il mi– gliore: è quello che dà all'Italia veramente il minor numero possibile di slavi e abban– dona il massimo pos:tibile di territorio, che noi si possa consentire rimanga fuori del con• fine italiano.

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