L'Unità - anno VIII - n.45-46 - 6-13 ottobre 1919

Terzo peccato. - H > predicato osti– natamente che r Italia doveva proporsi come fine di guerra lo sfasciamento del– l'Austria, mentre l'on. Sonnino - r idolo fino a ieri della Trento e Trieste e della Associazione irredenti adriatici - ancora il 27 ottobre 1917 dichiarava alla Camera che • non era nel programma dell'Italia lo smembramento dell'Austria-Ungheria>: mentre ancora il 3 ottobre 1918, l'on. Or– lando a chi insisteva con lui perchè pub– blicasse un documento per proclamare lo sfasciamento delrAustria, rispondeva che erano fantasie: e ciò dopo la battaglia del Piave e alla vigilia di Vittorio Veneto! Il motto Delc11da Austria, in Italia, l'ho lanciato io fin dal mar,o 191; ! La propaganda per lo sfasciamento dell'Au– stria, per molti mesi, sono stato io solo, con Leonida Bissolati, a farla con confe– renze, opuscoli. articoli di giornale. A questo proposito l'on. S,landra ha osservato, nella sua recent.! lettera agli elettori di Lucera, che nella primavera del 191;, cioè quando fu fucinato il trattato di Londra,< la completa dissoluzione della Monarchia austro-ungarica non era consi– derata fra i possibili fini della guerra, nè era necessaria ai nostri potenti alleati di occidente, disposti, secondo loro concetti di politica tradizionale, fin nel 1917, fin nel 1918, a salvarla e restaurarla perchè ,i redimesse dalla soggezione germanica •. E questo è vero. Ma vero è anche che il nostro Governo, nella primavera del 191 :> fu perfettamente d'accordo con i potenti ,ll~ati , considerare come impossibile e non desiderabile lo sfasciamento dell'Au– Mria, mentre doveva essere funzione del– r Italia far penetrare questa idea nelle can– cellerie dcli' Intesa antigermonica, mentre la esrerienza ha dimostrato che solo at– traverso lo sfasciamento deH'Austria si poteva ridurre a discrezione la Germania. La verità è che il nostro Governo ha con– tinuato a sognare fino all'ultimo momento un compromesso italo-austriaco, il quale lasciasse in piedi un'Austria diminuita, con la quale la Germania e l'Italia a\·csscro potuto ben presto costituire una nuO\'a Triplice Alleonz.1. E il delitto di avere popolarizzato in Italia e oll'estero l'idea dello sfasciamento del l'Austria non mi sarà mai perdonato dai nazionalisti; per cui la guerra del 191; non doveva essere che la prima guerr::i, il semplice inizio di una serie di imprese dirette ad assicurarci il dominio militare sul Mediterraneo. Quarto peccato. - Ho predicato, primo in Italia, e solitario per iungo tempo, l'accordo fra l'Italia e le nazio– nalità oppresse dall'Austria per provocare la crisi interna dell'Austria e accelerare la fine della guerra, mentre i signori dcl– i' Associazione irredenti adriotici e della Trento e Trieste con la loro propaganda forsennata di odio contro gli slavi prepa– ravano gli articoli di giornale, che il Go– verno austriaco faceva tradurre e circolare fra i suoi soldati per ai1.1.arlicontro di noi. La resistenza degli slavi contro l'Italia nell'esercito austriaco ha• cominciato :.i ce– dere in larghe proporzioni solamente dopo la primavera del 1918, cioè dopo che il nostro Governo fece le finte di accettare il programma dello sfasciamento dell"Au– stria, e dopo che il Congresso di Roma fece credere che esistesse finalmente quel– l'accordo italo-slavo, di cui io ave\'o sempre predicato la necessità. Fino alla primavera del 1918 i soldati slavi si batterono sempre compatti contro di noi, perchè consideravano la guerra con l'Italia come loro guerra di difesa nazio– nale. La b.1ttaglia di Vittorio Veneto non sarebbe stata che una delle tante b.attaglie della interminabile guerro, se la politica delle nazionalit3 non a\'csc,e disorganizzato profondaml.!ntc l'esercito austriaco trasfor– mando in tot.aie disastro morale un ini– ziale in ucccsso militare non certo più grave di quello che a,·eva sorpresi noi un anno prima a Caporeuo. Questa politica era stata ostinatamente, L'UNITA dall'agosto I~l'~, predicata da mc in Italia e fuori d'Italia, mentre il nostro Gorerno mostrò di accettarla solamente dopo C,– poretto come l'•Jltima medicina che si dà a un malato, per cui oramai non c'è più nulla da tentare. E cosi quella politica fosse stata accolta fin da principio t Avremmo abbreviata la guerra di qualche anno ,I– meno! Quanti nostri soldati non sono stati uccisi dall'esercito austriaco, ma sono stati assassinati dalla politica cieca e testarda dell'on. Sonnino e dei suoi propagandisti 1 Questo peccato non mi sarà mai per- . donato da quei signori, che hanno fatto la guerra all'Austria sempre nella speranza di arrivare a un compromesso, che pre– parasse la ricostruzione della Triplice Al– lean,.a. Quinto peccato. - Sono rimasto in– crollabilmente fedele al concetto dello guerra accettata solo in quanto dev'essere strumento di pace giusta e duratura: Certamente - scrivevo nell'Unità del 18 agosto 1914, non appena la Germania ebbe provocata la guerra - nessuna delle questio– ni, che turbavano finora i rapporti fra i~po– poli, meritava le ferocie di questa guerra. ,Ma poichè si è scatenato sul mondo questa crisi di bestialità, e i danni di essa sono orama ineluttabili, - non resta più agli uomini di buon senso, se non desiderare che da tanto male la umanità raccols:a il maggior bene possibile. Affinchè questa guerra - dal momento che avviene - produca i maggiori vantaggi possibili, occorre che essa liquidi il maggior nu,-ero possibile delle vecchie questioni inter– nazionali, dando luogo ad un equilibrio più stabile del11antico, in cui le forze della pace possano riprendere in migliori condizioni di effica'cia quel lavoro di consociazione dei po– poli, che oggi sembra dissipato per sempre' ma di cui ben presto si ripresenterà a lutti gli spiriti la fatale necessità. Bisogna che que– sta guerra uccida la guerra. Ora il trattato di Londra - ne ab– biamo avuto la prova in quest'ultimo anno, dopo la firma dell'armistizio - non faceva che seminare motivi di nuove difficolta e nuovi rancori, mentre si chiedevano ai po– poli sacrifici inauditi, promettendo di estir– pare le cause degli odi antichi. Le ambizfoni dalmate - scrivevo nell' U– ni/li del 21 maggio 1915, alla vigilia dell'en• trata della Italia in guerra - hanno su tutte le altre follie analoghe, di cui si ha notizia nella storia, queslO di speciale : che tendono a tr~sformare in nemici inconcil:abili, non tanto colore,contro cui si va in guerra, quanto coloro con cui Lisogna cercare di essere ami• ci, non solo per far la guerra, ma anche per assicurare i frutti della pace. 1\lcntre la guerra, a cui I' Italia è oggi chiamata, suséiterà contro di noi in Germania una tempesta d'odio, che solo una salda e lunga sicurezza della nostra nuova posizione diplomatica e militare, e un signorile sereno atteggiamento di amicizia da parte nostra dopo la guerra potranno col tempo sanare; - una conquista italiana de1la terraferma e di tutto l'arcipelago dalmata scaverebbe nello stesso tempo l'abisso Ira noi e i dodici mi– lioni di serbo-croati, che si stendono fra Lu– biana, Antivari e Belgrado, nel momento stesso io cui li aiuteremmo a rafforzarsi nazional– mente e pretenderemmo di essere loro al– leati. Noi vogliamo aocora una volta prott:stare contro il pericolo che la prossima guerra sia pervertita da impresa di libertà in avventura di inique conqlliste. Vogliamo affermare an– cora una volta il dovere, che avranno, dopo la pace, i partiti democratici di non acquie– tarsi a soluzioni, che violando il diritto altrui trascinino l'Italia in nuove lotte seoza idealità e senza onore. Vogliamo affermare ancora utia volta, contro la perversione imperialista. la tradizione mazziniana. italiana, che vuole nel– )' Adriatico un mare pacifico italo-slavo, e quindi un civile ed economico spontaoeo pre• dominio italiano, e noo un campo di ambi• zioni perverse, di reazioni astios·e, di mutuo iodebolimento italiano e slavo a vantaggio esclusivo dell'imperialismo germanico. o Questo delitto non me lo perdoneranno m.1i i militarJ di professione, c!"!channo bi,ogno della guerra o del pericolo con– tinuo della guerra per rendersi necessari e accelerare le c:1rriere, e i pcscicani delle industrie mi,i1.1ri,a cui la gutrra o il pe– ricolo continuo della guerra garentiscono i guadagni a miliardi. Sesto peccato. - Ho fat\o continua– mente campagna, - io solo! - in Italia e ali"estero perchè una delle condizioni della nuova pace fosse il disarmo totale della costa sbva nell"Adtiatico . Nell'opuscolo Guerra o Neutmlità ?, uscito nel gennaio 1915, scrivevo: All'Austria noi non possiamo impedire di avere una flotta, perchè essa già la possiede. Alla Serbia di domani dobbiamo impedirlo nell' interesse nostro. E possiamo approfittare di questo momento, che non tornerà più nella storia. per escludere dall'Adriatico l'Austria, che ha una flotta, e sostituirle un nuovo Sta– to, che non ha nessuna flotta, e a cui noi possiamo impedire di crearsela. E nell'Unità del 23 Novembre 1918: Nell'Adriatico l'Italia non può tollerare l'esistenza di una marina militare, poco im– porta se questa appartenga alla Jugoslavia, o a una nuova confederazione danubiana, o a qualunque altro Stato. Questo è, con la con· quista di un più sicuro confine terrestre, il vero premio della nostra guerra e della nostra vittoria. Su quest0 punto nessuno di noi può transigere. Qualunque nave da guerra stia nel– l'Adriatico, e non appartenga a noi, sarebbe una minaccia contro di noi. E minacce di questo renere non ne vogliamo. Chi ac.cetta questo nostro modo di pensare, è nostro ami– co; chi non l'accetta, è nemico. Il massimo peccato. Ma di 9ucsti peccati nessuno osa ac- cusarmi. Mi si accusa, invece, di aver fatto di– spiacere ,i propagandisti della Consulta, parecchi dei quali istriani e dalmati, op~ ponendomi alla campagna. con cui in Italia e ali' estero hanno cercato di giu– stificare il programma del Trattato di Londra. Ebbene, sì, ho protestato ostinatamente. per cinque anni, contro le inaudite misti– ficazioni statistiche, geografiche, storiche, con cui i propagandisti pagati dalla Con– sulta hanno ingannato, con l'aiuto della censum~ il popolo italiano, facendogli cre– dere che non solamente le ci11àdi Fiume e di Zara, ma anche tutto il territorio fra il Monte Maggiore e il Monte Bottoray, e tutta la Dalmazia, traboccassero di po– polazioni smaniose di diventare italiane. Specialmente nella questione di Fiume ho protestato contro !"inganno, che si com– metteva, di non far sapere al popolo ita– liano che se la citt[t di Fiume è senza dubbio it~liana, il sobborgo di Sussak è quasi completamente slavo; ho spiegato che volere trascinare dietro a Fiume anche Sussak e tutto il territorio frà il Monte Maggiore e il ~lome Bonoray, significa annullare il diritto di Fiume nel diritto d'un territorio assai più vasto abitato da 100 mila slavi. Di questo, che sarebbe il massimo dei miei peccati, io mi glorierò sempre finchè rimarrà nel mio cuore u:1 resto di pas· sione per la dignità e per l'onore de!rltalia. Perchè quella propagJnda, fotta a base di spudorate bugie facili a demolire per chiunque conoscesse anche mediocremente il problema adriatico- quella propaganda, mentre coll'aiuto della censura sonniniana a\·velenava per cinque anni il nostro po– polo, disonorava nello stesso temP.O l'Ita– lia nel mondo, discreditava anche quella pane del nostro programma nazionale, che avrebbe dovuto rimanere sempre e– sclusa da ogni contestazione; p:-eparava le difficoltà inestricabili, da cui i nostri ne– goziatori sono stari travolti nel congresso della pace. E questo non è il senno di poi! Oggi tutti sappiamo che gli Stati Uniti hanno fino a poco tempo fa negato ali' lta- 223 lia, non solo l,1Dalmazia, non solo Fiume e la Liburnia, ma anche una parte dcl– i' Istria: quella fra il fiume Arsa e la Punta Fianona. Ebbene, fino dal 2 luglio 1917 io ho , creato ncll' Unità di richiamare l'atten– zione dei nostri uomini di governo su). l'errore che si commeuev:1 dal vecchio testardo della Consulta a cui erano affi– dati i destini dell'Italia. Da due anni - .~crivevo sull'Unità - i nostri propagandisti all'estero non fanno che accapigliarsi coi nazionalisti slavi nella que• stione della Dalm,11,ia, trascurando quasi del tutto la questkme di Gorizia, di Trieste, del• l'Istria. Cosi la questione dcli' Istria è rima– sta abbandonata alla propaganda dei naz:iona• listi slavi. Ma uno sproposito cosi rrossolano non era sufficiente. Anche rivendicando al– i' Italia tutta la costa adriatica orientale, i nostri nazionalisti avrebbero potuto avere il buon senso di non dichiararsi contrari alla unità nazionale serbo-croata.slovena, anzi a– vrebbero potuto presentare le occupazioni ter– ritoriali italiane sull'altra sponda come un compenso, a cui l'Italia avrebbe diritto per il suo concorso alla costituzione dell'unità na– zionale sudslava, compenso analogo a quello che ebbe nel 1859 la Francia con Nizza e Savoia; avrebbero dovuto promettere sempre la eguaglianza giuridica e la libertà culturale alle popolazioni slave introdotte nel nuovo confine italiano. Essi. invece, si sono dati a proclamare che la conquista della Dalmazia sarebbe una conquista coloniale, che nella nuova colonia !' Italia dovrà tenere alla ca– tena od espellere la classe intellettuale slava e potrà italianizzare in pochi anni il contadi– name slavo, e• dovrà aiz7are i contadini cat– tolici contro i contadini ortodossi per raggiun– ger meglio lo scopo, e dovdl fare in modo che la Serbia non oltrepassi il Narenta, e la Bosnia le sia cosi negata, e dovrà opporsi alla unione fra Montenegro e Serbia 1 fra Croazia e Serbia, tenendosi amica dei Bulgari e dei Magiari. - Date queste follie, è naturale che fuori d'Italia la gente opponga or;imai un senso di diffidenza e di ostilità, non s<1lamente al programma nazionalista:, ma anche al pro– gramma democratico Nel World di New York del 25 maggio 1917, parlando dei mutamenti territoriali che dovrebbero essere pn.parati dalla nostra guerra, si assegnano ali' Italia solamente il « Trentino e Trieste »: si noti la differenza fra il termine regionale il « Tren– tino • e il nome della semplice città • Trie• ste ~, che esclude la regione di cui Trieste fa · parte. E il JVorld è considerato come il giornale ufficioso di \Vilson. Non illudiamoci! E ncll' U11itd del , (i febbraio r:ir!!: Discutendo la convenzione di Londra, la 1Vatùm, rivista assai diffusa e autorevole di New York, deplora nel numero del 6 dicem– bre, che l'Italia domandi non solo il TrenOno e la Dalmazia, ma anche l'Istria. Per la grande rivista americana, l'Istria sarebbe anche me– no italiana della Dalmazia. Uno sproposito di questo genere merita di essere attentamente notato, perchè è indizio di uno stato d'animo assai diffuso nei paesi del!' Jntesa e pericolo– ~i -,simo per noi ; il problema cieli'Istria è pel tutto ignoto ai più. Queste faccenduole la– sciano indifferente !'on. Sonnino. Ha in tasca il suo pezzo di carta e donne tranquillo. Ma noi poveri mortali, non dormiamo tranquilli. E ripetiamo ancora una volta il grido « Sal– ,·iamo l' !stria I • E nell'Unità del 27 aprile 1918: Il problema dell'Istria è peggio che ignoto, è un problema compromesso 'assai gravemente. L'errore 'funesto della convenzione di Londra, fu appunto questo: di contenere un programma,. di cui una parte, quella riguardante la Dal– mazia, era moralmente insostenibile, e che gettava un'ombra di discredito sull'intero pro• gramma, e faceva il giuoco dei nazionalisti · slavi anche nel problema dell'Istria. È ncces• sario che il mondo alleato e neutrale sia con• dotto a riconoscere giust,,, nel problema del• l'Istria, il programma italiano. Per raggiungere questo risultato, dobbiamo cominciare coll'ar– renderci all'esperienza, e riconoscere funesta la tattica di contrapporre gli eccessi del na• zionalismo italiano a quelli del nazionalismo

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