L'Unità - anno VIII - n.45-46 - 6-13 ottobre 1919

222 viste di voler consentire a una revisione del suo capolavoro' - scrivevò (pagine 6+-67): Neli'Aus/1i'a-lfngluri'a Fiume godeva di una costitu=i'one aulonoma che la separava dal regno di Croazia, e gùai,/icamenle la associava, come ente diverso dalla Croazia, al Regno di Unghe– ria. E fi11cllè i Afagiari ,ispet1,11w10 l'au/011omia, .Fùmu visse tranquilla. In seguito i Magiari ha11110 preteso di· magiarizzare Fiume, e la loro bestiale politi(a di sopralfazi'ofli delle origine a ruùteuze /enau~ a lolle tnO/mte, in cm· il partito italiano o autonomo difese disperntameute e 011orata111enle le fra11clu'glie cittadine contro ,m g(IVerno senso onore e umo di'gnitd. E co•t le lolle fra la il111- 11icipalitàitaliana e il G(ruerno di Budapest si sono complicale le lotte f,a gl' Italiani e Croati i. quali ultimi aj/tnnavano ÙJ concorrenzacoi ma– giari ii loro divzlto a schiacciare in Fiume gli Italiani. Rive/a,,dos,· cosi 11i1Jìciie la d1ftsa della vecchiaauto11omù,cittadùm, uonsolo co11lro i Ma– giari~ ma anche contro i Croati, co111ùJCi1ro110 ,ugli ultùnùsùni mmi gli ,acct11llidi un irrede11- tl$mo italiano, ptr optra specùzlmt11tedi giovani che venivano a fare i loro stmli in Italia. Se si ristabilisse la vecchia costzluzùme autonoma, adat– talldola 1ntglio ai fluovi t,,mp1~ e difendendola contro eventuali attentati del nazionalismo croato col fare l'Italia garante della costitu– zione fiumana, questa so/11::ioue concilierebbe evi– dentemente tulle le esi'genze etn,du t 11azio11alt: Come garante dell1autonomia fiumana l'Italia avrebbe diritto di intervento a tutela dei no– stri connazionali, qualera l'autonomia non fosse rispett-ata dai Croati. s,:flalla necesstìà è evidente per una cillà come Fiume, fornita di una classe dirigente capacissimadi amministrarsi da sè, sulla quale il nazionalismo croato sarebbe sempre tentato di prepotere, st 1.11 patto internazionale uo,i lo tenesse a freno. In questi scritti, che ho citati or ora, e negli alrri, che potrei citare, per Fiume io chiedevo la libertà ga,·antita dal 'Italia e non l'annessione. Fra le due formule la differenza era minima. Fiume, città libera e garallhÌa dal/' Italia - scrivevo sull' llmià _del 12 dicembre 1918 - è praticamente la stessa cosa che Fiume città italiana. Fino al 1914 Fiume formava un vero e proprio Stato estero di fronte :i.Ila Croazia. Chi era condannato a Sussak, per es., per reato di stampa, non doveva fare altro che pa.~are il ponte per liberarsi dalla condanna, finchè e autorità di Fiume non lo avessero conse– gnato alle autorità croate. Fiume insomma ap– parteneva agli italiani di Fiume, senza appar– tenere al Regno d'Italia. Ma gl' italiani di Fiume erano continuamente turbati e minacciati nel loro legittimo possesso da magiari e croalt: perchè nessuna forza superiore li proteggeva contro le prevaricazioni dei vicini. La diffe– renza fra Fiume autonoma garantita datl'ltalia e Fiume annessa alt' Italia, dunque, si riduce nella pratica a una differenza di bandiere. E chi avendo sempre sostenuto fana– ticamente la politica dell'on. Sonnino, as– sale oggi me, perchè ho domandato per Fiume la libertà !(ara11titaeta/I'Italia, anzi che l'annessione, mentre l'on. Son– nino rimaneva legato come ostrica all'im– pegno di assegnare Fiume alla Croazia, - chi gioca su questo trampolino elctto– torale, deve avere una grande fiducia nella stoltezza dei cittadini pugliesi per illudersi di poterli cosi grosSol..namente ingannare. Del resto, non appena Leonida Bisso– lati, dimessosi da ministro per la questione di Fiume, adottò il programma dcli' an– ne&:iionevera e propria, io non esitai a passare la linea appena percettibile, che divideva l'annessione dalla libertà garen– tita dall'Italia, e visto anche che la poli– tica, non si sa se più stolta o più crimi– nosa, dei negoziatori italiani a Parigi ren– deva impossibile qualunque pacifico com– promesso italo-slavo, io riconobbi che • oramai per Fiume il metodo delle mezze misure non era più tollerabile e mi detti a sostenere senz'altro la soluzione dell'an– nessione. Sull'Unita del n aprile r9rg, discu– tendo la questione di Danzica, che proprio in quei giorni !'on. Sonnino e !'on. Orlando regalavano ~i polacchi, io scrivevo: L'UNITA La ragione, per cui Danzica doHcbbe es– sere aggregata alla Polonia, sarebbe questa: che essa è « l'unico sbocco al mare i. della Polonia.· L'argomento non giustifica un'occupazione politica. Trieste è lo sbocco al mare della Slovenia, dell'Austria tedesca, della Boemia; Fiume è lo sbocco al mare della Croazia e dell'Ungheria; Genova è lo sbocco al mare della Svizzera. ).'la per queste città abitate da italiani, la ragione commerciale non e-rea nelle popo!azioni del retroterra nessun diritto di conquista politka: crea solo il diritto del li– bero transito. Perchè dovrebbe essere cliversa- 1pente, per Danzica? .E nell' Umtd del :i maggio 1!)19 scri– vevo: L'Italia non ha diritto ad avere la Dal– mazia perchè è j)aese slavo: ma perchè gli Slavi non devono rinunziare alla città di Fiume, che è per due terzi italiana? Gli Slavi hanno bisogno del porto di Fiume pel loro com\-uer– cio; rua il patto della Società delle Nar.ioni, all'art. 2I, non fa assumere agli Stati associati l'obbligo di « garantire e mantenere la libertà « di transito ed un equo trattamento del com– << mercio di tutti gli Stati membri della So– << cietà delle Nazioni »? Non dovrebbe bastare quest'articolo ad assicurare gli Slavi che il loro commercio non incontrerà ostacoli a Fiume? Oppure gli Siavi debbono potere non ficlarsi della Società delle Nazioni, se si assume di garantire la libertà di transito attraverso Fiume italiana, ma l'Italia ha il dovere di fidarsene per il rispetto della popolazione italiana della città? E nel!' U11ità del 17 maggio r9r9. V Italia ha il dorere di esigere garanzie speciali per i nuclei italiani che ancora reste– ranno inclusi nella Jugoslavia, comunque debba e35ere tracciato il confine italiano. Questo dovere è stato sempre ostinatamente ignorato do.ll 'on. Sonnino: il trattato di Londra, con mi /'on. Sonnino si obbligò esplii:t"tamenle a dar Fiume alla Croazia, e la costa dalmata al di là di Punla Planca alla Serbia - il trattato di Londra non contiene una sola parola, la quale dimostri che l'on. Sonnino si sia ru~_i preoccupato di sapere che cosa sarebbe av– venuto degl'itatiani abbandonati come ritagli di pizzicheria al di là della magica linea, in cui l'on. Sonnino ha incatenata e paralizzata e soffocata tutta la politica estera italiaria. In compenso i turiferari detl'on. Sonnino inventa– rono che fra Zara e Ragusa gl' italiani sono non trentamila, ma sessanta, ottanta, cento– cinquanta, duecentomila: cioè mentre il Mini– stero buttava a mare gl' italiani esclusi dal nuovo confine, i suoi propagandisti r.e molti– plicavano il numero, affinchè il popolo ita– liano avesse meglio l'impressione di uscire de– luso dalla guerra, e gli italiani abbandonati a sè si trovassero in condizioni più difficili nei loro rapporti con gli slavi, e il resto del mondo imparasse ad apprezzare la serietà e la probÙà dei pubblicisti e propagandisti dcl– i' Italia. .È necessario correggere questo mostruoso e indecoroso errore. Per la città di Fiume e di Zara l'annessiimc sarebbe la forma p ù adatta Ji prote3ione. E b,~ sognerebbe venirvi seuz'altro, senza stare a ,.. in– vii:zrela dtci"sùmea dieci mmi per Fùune e smza ii me::zo tenni,,e di Zara « cillà aulonoma ila– /illna ». E nella prefazione alla seconda edi– zione della questione del 'Adriatico: Fra questa libertà garentita dall'Italia, con diritto d'intervento in caso di necessità, e l'annessione vera e propria, la differenza si riduce a be_npoco; ma questo sacrifizio me– ritava di essere fatto dall'Italia per non ferire troppo direttamente la suscettibilità degli slavi, e rendere meno difficile una soluzione amiche– vole del problema adriatico. E se potessimo ancora sperare in un compromesso italo-slavo, accettato da entrambe le parti con spirito amich-!vole e con leale volontà cli ridurre al minimo le contestazioni, noi continueremmo a difendere tenacemeHte la nostra formola di trans~.1ioni, a preferenza della formala più ra– dicale dell'annessione pura e semplice ali' I– talia. Ma, per otto mesi, i diplomat:ci che hanno ,anco rappresentato i popoli dell'Intesa alla confe– renza di Parigi, sembrano non essersi propo– sto, nel probrema adriatico, altro programma, se non quello di ingigantire le minime diffi– coltà, rendere impraticabile qualunque via, che non fosse quella di una nuova guerra, a fondo, senza quartiere, nell' interesse della Germania. Siffatta politica degna, non sap– piamo se di manicomio o di galera, ha creata oramai a Fiume e a Zara una situazione psi– cologica, la cui soluzione di compromesso della libertà garentita dall'Italia produrrebbe con– seguenze assai più gravi e dannose per la pace europea e per la preparazione, 1iJ 1111 av– vmù-e più o meno lontano, di amù:luvoli rapporti i·1alo-slav1~ che la soluzione radicale dell'an– nessione pura e semplice ali' Italia. Oramai la condizione degli animi al di qua e al ài là dell'Adriatico è questa: che in Fiume e in Zara, città libera, le maggio– ranze italiane si servirebbero della loro libertà per ripetere ogni giorno il voto dell'annes– sione; le minoranze slave tenterebbero ogni volta di rivoltarsi contro le maggioranze, co– stringendo l'Italia a interventi continui per il man·enimento dell'ordine pubblico; le mag– gioranze, esasperate dalla lotta, avrebbero ma– no libera nelle due città, da esse governate con poteri sovrani, per opprimere le mino– ranze, senza che un'autorità superiore estra– nea potesse intervenire a tutela di queste, dovendo l'Italia limitarsi a garentire le libertà cittadine, e nor_ipotendo la Jugoslavia assu– mere nessuna difesa dei connazionali, Questa è stata l'opera mia nella que– stione di fiume, mentre gli attuali fanatici della annessione di Fiume levavano a ciclo l'on. Sonnino e il trattato di Londra, e vituperavano come traditori della patria n11ti coloro che, seguendo Leonida Bisso· lati, domandavano che il trattato di Lon– dra fosse in tempo riveduto per la tutela degli italiani di Fiume. 1 miei sette peccati. Con questo non pretendo di essermi meritato le simpatie dei nazionalisti della Trento e Trieste e della A·ssociazione ir– redenti adriatici. No davvero! peccati che ho com- messi agli occhi di questi signori, sono tanti e tali, e li ho commessi con così ostinata volontà, che sarebbe ridicolo mi aspettassi da loro altro che oçlio ine– spiabile. Primo peccato. - Ho predicato osti– natamente cbe il Governo italiano doveva fare esplicite dichiarazioni per garentire il libero commercio agli Slavi, Tedeschi, Boemi, Magiari nei porti italiani delPAdria– tico orientale Se questa idea fosse stata accettata fin da principio, noi incontre– remmo molto minori difficoltà nella que– stione di Fiume. Ma i capitalisti di Trie– ste - coi quali capitalisti non si devono confondere le vere popolazioni di Trieste e di Fiume, che sono sinceramente ita– liane, "mentre il capitalismo è senza patria, o la patria l'ha tutt'al più nella cassa– forte, - hanno sperato di ricavare dalla guerra il diritto d'impadronirsi essi soll del commercio dei porti di Trieste e di Fiume; e i loro propagandisti hanno stol– tamente minacciato, durante la guerra, la creazione d'un monopolio italiano nei nuovi porti che l'Italia avrebbe acquistati per la guerra. Per esempio, il prof. Mario Alberti, agente della Camera di Commercio di Trieste e propagandista ufficioso della Consulta, ha scritto nel 1915 nell'opu– scolo Adriatico e Mediterraneo, che l'Ita– lia, padrona di. tutte le coste dell'Adria– tico, « dominerebbe le correnti di traffico fra l'Europa di mezzo e il bacino medi– terraneo, e basterebbe nelle negoziazioni commerciali con gli stati della Europa centrale minacciare il divieto di transito per i loro prodotti per ottenere quelle facilitazioni di dazio, che altrimenti non potremmo ottenere ». Ed è immenso il danno che dichia– razioni di questo genere ci hanno fatto, tradotte e diffuse in tutti i paesi dai pro- pagandisti slavi. La resistenza tenace del– l'America nella questione di Fiume si deve spiegare in gran parte col s_ospetto suscitato contro la politica commerciale italiana dalla propaganda criminosa di questi agenti sonnin.iani. Oggi, finalmente, leggiamo nei giornali francesi del 27 ottobre che • D 1 Annunzio • ha fatto pervenire al Consiglio intera\- • lcato di Parigi, un resoconto della riu- . « nione solenne dei negozianti e commer– « cianti italiani e slavi tenutasi a Fiume, « nella quale gl' intervenuti hanno doman– « dato eh~ Fiume sia italiana c0l porto « completamente franco e aperto a tutte « le navigazioni. Le ferro\'ie sarebbero • ugualmente libere. In tal modo il com- • mercio dell'entroterra sarebbe c.ssicurato « per tutti i vicini ». Meglio tardi che mai. Ma i pericoli della propaganda sonniniana io non ho aspettato l'ottobre r919 per vederli e de– nunciarli con cuore tormentato dal male, eh' essa faceva ali' Italia. Secondo peccato. - Ho cercato di far comprendere a.i miei conterranei quale fosse il reale interesse della nostra regione nel problema adriatico. Il problema del futuro assetto commerciale dell'Adriatico - dissi nel Consiglio provinciale di Bari il 12 agosto 19ti - deve essere tenuto presente con grande cura specialmente da noi pugliesi. Perchè sarebbe \'eramente iniquo, che questa guerra, in cui le nostre popolazioni stanno s~pportando sacrifizi di sanque, molto maggiori di quelli di altre regioni d'Italia, senza avere quasi nessuno di quegli enormi vantaggi finanziari che la guerra produce pro– prio in quelle regioni su cui meno grave viene. a pesare il tributo di guerra - sarebbe iniquo, ripeto, se questa guerra dovesse condurci ad un assetto commerciale dell'Adriatico, in cui gl' interessi nostri venissero sacrificati ingiusta– mente agi' interessi dei porti dell'Alta Italia. Noi meridiònali abbiamo bisf')gnoche si sta– bilisca il maggior numero possibile di correnti di traffico trasversali fra la costa balcanica e la costa centrale e meridionale dell'Italia. I porti di Venezia e di Trieste e Fiume invece hanno interesse ad ottenere che il commercio adria– tico continui ad essere monopolizzato dalle correnti longitudinali, da nord a sud e da sud a nord, che hanno anemizzato finora le coste centrali e meridionali dell'Adriatico a vantag– gio esclusfro, dei porti più Settentrionali. Ora la campagna che si fa per impedire l'accordo fra l'Italia e gli Slavi, e specialmente per togliere agli Slavi uno sbocco a Spalato, ha precisamente lo scopo di impedire il costituirsi di quelle correnti commerciali trasversali di cui noi pugliesi abbiamo bisogno. Quando l'Italia - si pensi - sia padrona di Spalato e sia in lotta con gli slavi, la linea ferroviaria Spalato-Danubiò non sarebbe pili costruita, perchè nè gli slavi vorrebbero avere questa minaccia militare verso la Bosnia, nè l'Italia vorrebbe essere miuacciata da una linea di qllel gene.re nei suoi possessi costieri di terra ferma. E allora non nascen::bbero le correnti trasversali del traffico, e il commercio adriatico continuereLbe ad essere monopolizzato da i' porti di Venezià, di Trieste e di Fiume. E come sempre avviene, molti meridionali si pre– stano in buona fede a questo sacrific.io eco– nomico delle loro regioni, perchè si lasciano a.bbagliare, dalle parole grosse e non vedono gl' interessi regionali altrui, che si nascondono sotto certe ambizioni territoriali apparentemen– te patriottiche. Noi pugliesi non dobbiamo, per ignoranza e per retorica, contribuire ad una soluzione del problema commerciale dell'Adriatico, che può 'essere considerata dall' on. Foscari nell' inte– resse di Venezia; può essere desiderata dal comm. Volpi, che ha assunto per conto della Banca Commerciale l'appalto dei lavori del porto industriale di Venezia; pu{>essere pa– trocinata dall'ex segretario della Camera di Commercio di Trieste prof. Mario Alberti, ve– nuto in Italia dopo lo scoppio della guerra a fare la campagna contro gli Slavi; non può, non deve essere invocato da noi pugliesi perchè lederebbe ingiustamente i nostri interessi più sacrosanti. I capitalisti di Trieste e di Venezia. questo delitto non me lo perdoneranno mai!

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