Lo Stato Moderno - anno VI - n.4-5 - 20 febbraio 1949

LO STATO MODERNO mente farneticare. (E infatti si è finito, contenti tutti, con lo spedire Tremelloni all'O.E.C.E. !). 2) Tremelloni, nel suo teorico discorso, non ci ha presentato un solo documento concreto e specifico dell'efficacia dell'azione socialista nell'attuale politica economica del governo, la quale - come ripetiamo -- è indirizzata chiaramente verso un'im– postazione liberistica e insieme corporativistica. E non parliamo neppure dell'assoluta carenza gover– nativa del socialismo nell'azione, veramente capillare, di irretimento confessionale dello Stato e della società ita– liana, nelle sue amministrazioni, nella sua scuola, nelle sue, Opere Pie, nell'assistenza, nella beneficenza. E' stato completamente trascurato, nel Congresso del P.S.L.I., l'esame del carattere saliente della politica demo• cristiana e la funzione che essa compie o tenta di com– piere nella società italiana: carattere e funzione che so– no obbiettivamente fascisti. Sono, cioè, quelli già propri del fascismo, ove si consideri questo, com'è ormai tempo di fare, prescindendo dal rumoroso pagliaccismo che lo infettò e lo avvolse, nel suo valido significato storico: tentativo di soluzione, in un ordinamento corporativo, delle istanze della lotta di classe e delle ragioni della giu– stizia sociale, appoggiato ad un mito o ad una metafisica. Nel caso del fascismo il mito non fu che un nazionalismo esasperato nella retorica della romanità; per il nazismo fu quello -pagano-germanico della razza e del sangue; nel caso della democrazia cristiana è la metafisica - ben più vasta, profonda e universale - del cattolicesimo. La esperjenza ci insegna che codesto tipo di soluzione cor– porativa, mentre pretende di superare la lotta di classe in una collaborazione garantita dall'ordinamento giuridi- , co, anzi chiamandola ad essere parte integrante di questo, non è affatto capace di abolirne le ragioni e le istanze. Difatti permane in codesto ordinamento corporativo, com'è inevitabile, perchè esso spesso giuridicamente le riconosce, la disparità e la priorità di potenza tra una classe e l'altra. Di conseguenza, l'ordinamento corporati– vo, in quanto disciplina giuridicamente e unitariamente 1 le organizzazioni economiche sindacali e politiche, ma in– sieme non può abolire la disparità di potenza tra esse, finisce fatalmente per irretire e imbrigliare le capacità e possibilità di lotta da parte delle classi sottoposte, me– nomandone gravemente la libertà politico-sociale; e si traduce inevitabilmente in un ordinamento autoritario, nel quale, malgrado qualsiasi buona fede iniziale o teo– rica, la forza di gravità e di direzione si sposta, si orienta e si restringe alle classi padronali. Di fatto il fascismo diventa, pur nelle sue eventuali pretese genericamente so– cialiste, •'nient'altro che l'adattamento a nuove esigenze polifiche sociali ed ec<momiche del dominio della clas– se capitalistica. Tutto ciò e.i può anche portare - anzi ha portato - a miglioramenti notevoli nelle condizioni di vita dei lavoratori; e questo ci fa considerare molto seriamente e senza alcun pregiudizio la possibilità della soluzione corporativa, l'unica che si presenta in alterna– tiva a quella socialista integrale. Tuttavia, questa soluzione corporativa porta in sè annidato il germe del proprio veleno, che è questo (poichè la lotta di classe continua, malgrado tutto, dovunque, sol– fo qualsiasi formale travestimento, e come abbiam detto, tutti gli ordinamenti sono dinamici): o si involge in sem– pre maggiore dittatura della classe capitalistica, che ha nelle sue mani uno strumento di regno assai più potente di quelli che le erano consueti nei vecchi ordinamenti liberali, lo staio autoritario; oppure tenta di evolversi in sempre maggiori emancipazioni e conquiste della classe lavoratrice, fino a raggiungere l'ordinamento socialista in– tegrale. In entrambi i casi, è la sua firre: Credere in un possibile, diverso e duraturo equilibrio tra classi contrap– poste. è illusorio. Prescindendo dalle ragioni estrinsecl)e della deca– denza e disfatta del fascismo (la guerra inesorabilmente perduta), noi vediamo che l'arco di evoluzione del regi- me fascista fu proprio questo. Anzi, per il fascismo, gli archi· furono due, resi più concretamente sensibili dalla clamorosa cesura del 25 luglio-8 settembre 1943. Prima lo svolgimento di un ordinamento corporativo con una solida posizione di privilegio e di comando della classe capitalistica, anzi meglio neo-capitalistica, giacchè il ve– ro capitalismo italiano è proprio quello sorto nella serra corporativo-fascista, e di qui i suoi caratteri deteriori nei confronti di molti capitalismi stranieri; e poi - men– tre codesto grasso capitalismo italiano faceva il salto fuo– ri bordo dalla nave fascista ormai in procinto di affon– dare - il precipitoso riconoscimento di una linea logica di evoluzione corporativa in senso socialista, con la frel• tolosa e tragica avventura sociale della repubblica di Salò. Orbene, nella tradizionale dottrina sociale della Chie– sa, la Democrazia Cristiana trova ·proprio quel tipo di ordinamento corporativo che nella crisi presente della nostra società democratica può essere impiegato dalla classe capitalistica 'rper salvare le proprie posizioni es– senziali - sacrificandone, come suole, molle delle minori - attraverso l'imbrigliamento e la stabilizzazione dei suoi rapporti politici con le classi lavoratrici e tecniche. Nel Congresso del P.S.L.I., i rappresentanti della si– nistra hanno commesso l'incauto errore (vanamente bi– lancialo dalla felice frase di Vassalli sulla volontà del Partito di porsi al centro della classe lavoratrice e del Paese) di mostrar di separare, nell'impostazione politica, l'interesse della classe lavoratrice da quello generale della Nazione, separazione che di fallo op.erano pro.prio, arti– ficiosamente, le classi reazionarie nelle loro tipiche azio– ni di repressione. Accedere a codesta separazione d'inte– ressi significa solo dare in mano all'avversario l'arma più micidiale; e trascurare completamente l'elementare conquista della moderna coscienza socialista (che anche i comunisti, per quanto con mezzi manifestamente inade– guati e demagogicamente contorti, mostrano di sentire), la quale porta ad identificare l'interesse della classe la– voratrice con quello della nazione medesima: ciò che, del resto, è nella logica delle cose. Finora, grosso modo, al bando della Nazione sono stati i socialisti; oggi, debbono esservi i capitalisti. In qualsiasi altro modo si mostrereb– be di concepire la classe lavoratrice come qualche cosa di diverso dalla maggioranza della Nazione, ciò che è - fra l'altro - materialmente falso. Codesto errore di tattica propagandistica fu dura• mente scontato in sede congressuale per l'abile contrat– tacco di Saragat, il quale ebbe il buon gioco di poter gri– dare, con aria di meraviglia, che si rifiutava di prendere in esame una simile rposizione. Questo urto polemico ebbe risalto a proposito del dibattito sulla politica estera, e precisamente sull'adesione al Patio Atlantico. La sinistra impostò la lolla contro l'adesione al Patto Atlantico pre– valentemente sul terreno della fedeltà ideologica (rispol– verantlo perfino, fuor dal barile turatiano, la formula « non aderire e non sabotare>, con un effetto psicologi– co deplorevole, quale non pot,eva non sortire codesta fra• se, simbolo veramente solenne di una ormai classica men– talità socialdemocratica infeconda, imbelle, passiva, vo– lata all'eterna s onfilla). La destra invece - duramente incisiva in Andreoni, nebulosa ma con sottintesi assai chiari in Saragat -, ebbe l'accortezza di trattare il pro– blema sul terreno che più immediatamente gli è proprio, quello dell'interesse concreto della difesa nazionale. Una impostazione ideologica, e una strategica; una di parte, e una di governo. Non c'era dubbio sull'esito; la destra avrebbe vinto, trascinando gl'incerti del Congresso, pro– fondamente impregnati di spirito difensivo e conserva– tore, privi di slancio. Era assolutamente necessario che la sinistra appoggiasse incisivamente l'accento sugli stes– si argomenti di valutazione concreta e immediata, e di– mostrasse puramente e semplicemente che il Patto Atlan– tico non serve affatto alla nostra difesa nazionale e ai no– stri concreti interessi.

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