Lo Stato Moderno - anno VI - n.3 - 5 febbraio 1949

58 LO STATO MODERNO . ' Ventennale della Conciliazione ' . La visita del Presidente del Consiglio al Pontefice, in ricorrenza del ventennale della Conciliazione, suggerisce riflèssioni inconsuete, quali si esigono per ,un avvenimen– to cosi nuovo. Non si tratta di una semplice ricorrenza, nè di una visita di tutti i giorni. L'avvenimento ha 0 avuto un prolo– go: non è molto tempo che i giornali - ricordiamo fra gli altri l'Umanità - notarono come il Pontefice non a– vesse restituito la visita al Presidente della Repubblica Italiana. Non saremo noi, però, a sollevare questioni di protocollo. Oggi, per la prima volta nella storia d'Italia, un cat– tolico professante varca la soglia del Vaticano come Pre– sidente <lel Consiglio: a vent'anni -dalla Conciliazione, i rapporti organici fra Papato e Italia sono rafforzati sen– za alcuna seria crisi. Oggi è chiaro che la discussione in– torno ai Patti del Laterano, svoltasi alla Costituente, se– gnò non già la crisi del regime aperto da Pio XI e da Mussolini, ma ·la fine di un'epoca, quella dell'agonia del liberalismo, cominciata nel '13 col Patto Gentiloni Se nel– l'ormai lontano '47 il dibattito fu elevato, non fu perciò meno astratto, avulso cioè dalla realtà sociale: oggi è finalmente chiaro, dopo che il 18 aprile ha servito alme– no a mostrare il fondo di quella mostruosa congerie di forze che hanno condotto al clericalfascismo. In realtà la soluzione giuridica era stata da tempo ,preparata dall'ac– cordo sociale fra cattolici e liberali, cioè fra 9ntico regi– me e borghesia. E l'accordo dura tuttora; l'Italia, alla soluzione popo– lare di Garibaldi (di estrema sinistra, come si disse al tempo del Patto di Roma), alla soluzione di riforma illu– miuata, su cui concordavano, nonostante la differenza di spiritb, Cavour e Mazzini (di centro-sinistra), ha preferito la strada del cenlro•destra e della destra. Tutte le forze sociali conservatriti cercano dinanzf alla rivoluzione, borghese o proletaria, l'alleanza e l'appoggio del clero; in Italia quest'alleanza, ancora troppo precoce al tempo di Crispi, diviene realtà con Mussolini e dopo Mussolini. Giolitti non si sporca le mani nel patto Gentiloni; ma il « ritorno al liberalismo > dei primissimi anni del nove– cento, dopo la reazione di fine secolo, fu certamente qualcosa di effimero, di inconsistente, se già in seguito allo sciopero generale del 1904 la borghesia liberale si riaccosta alle classi reazionarie che avevano governato con Umberto I•. Perciò la storia delle relazioni fra Stato e Chiesa, politicamente ed ideologicamente cosi viva ed interessan– te, una volta portala sul piano sociale, e su questo piano scoperta e indagata, si impoverisce e si stabilizza su un unico motivo: l'impossibilità organica della borghesia pri– ma, del popolo poi, a svincolarsi dall'egemonia del clero. E' un segno del tempo, che l'ultimo cattolico liberale - Io Jemolo - ripercorra accoratamente la storia dello Sta– to e della Chiesa in Italia nell'ultimo secolo e che il pri– mo marxista italiano - il Gramsci - senta l'esigenza di una storia del clero come casta, come formazione sociale. Tutto ciò che non è stata e doveva essere l'intellettualitù italiana, sul piano della forza politica e della organizza– zione della cultura, è stato ed è il clero. Il quale è riu– scito a riguadagnare la borghesia prima, ad isolare, ac– cerchiare, il socialismo poi. Non si conosce l'Italia se non si valuta il peso del cle– ro come classe, legata a Roma, e legata al fondo deIJe provincie, nel tessuto organico della nazione. E questa analisi sociale bisognerà ancora approfondire: i suoi ri– sultali saranno le sole premesse di orientamento pratico tisolulivo. Soltanto attraverso le leggi eversive sui patri– moni l'Italia ha avuto un momento ,ghibellino: il proble– ma infatti è sempre e soprattutto di forze e di interessi concretamente economici. Nè va dimenticata la tecnica adottata dal clero nella lotta italiana: una tecnica eminentemente diploma– tica, poichè per la Chiesa la massima di Clausewitz, « la guerra i• la continuazione della po-litica con mezzi via- . lenti>, ha un'unica traduzione possibile: quella della tra– sformazione del prestigio spirituale in terrorismo religio– so (che Cavour, D'Azeglio, Mazzini, Garibaldi conobbero e denunc-iarono). Ciò ha impedito la formazio;1e di una C'lass!' dirigente dotata di coraggio morale e fisico: l'uni– ca élite nazionale moderna è stata, in Italia, espre~sione di una cronica, non ancora decisa rivolta contro l'anli- co regime. ' Il clero è il perno della struttura sociale italhtna: PH• cii) t·osi ~p!'sso è stato il fattore decisivo della lotta po– litica. L"alto clero e il basso clero, la diplomazia ronrnnu e i preti di campagna, il Vaticano e la rete delle <parroc– chie, disponendo di forze secolari non potevano, natural– men.te, arrendersi alla rivolla di una minoranza di intel– lettuali staccali dal popolo. In fondo, con la Controrifor– ma si sono consolidati i primi Stati italiani: piemontesi, napoletani, romani, toscani sono figli della Controrifor– ma. L'Italia unita diventa poi in certo senso una cintura di difesa, una cittadella della Chiesa in Europa e nel mondo. La Controriforma diventa controrivoluzione. L'u– surpazi-f)ne clericale nel nuovo stato unitario poggia sul– l'antico prestigio delle par-rocchie, -delle diocesi, dei car– dinali e del papa fra il popolo e nelle antiche burocrazie cortigiane. L'usurpazione clericale, l'influenza della Controrifor– ma su tutta una classe dirigente, schiantò, soprattutto so– cialmente, l'élite culturale, letteraria, filosofica, cosmopo– lita dell'umanesimo. La tradizione politica italiana do– veva essere o curiale (giolittiana, degasperiana) o tecn'ica (Cattaneo, decennio di preparazione piemontese, Sella); quindi il riformismo in Italia diventa fatalmente innesto della tecnica sul ,gesuitismo, tradimento dell'intelleltuali– tà làica, compromesso col Papato. Questi sono gli elemen– ti costanti della tradizione clericale; il fondo organico del clel'icalfl!scismo. Del fascismo si è fatto ora ur. fenomeno ideologico– polilico, ora un fatto esclusivamente sociale: in ·realtà è slalo reazione, sia come controriforma, cioè anlirisorgi– mento, sia come controrivoluzione, cioè antisocialismo. Se si guarda alla rpartecipazione delle mnsse all~ vita del– lo Stato, questa, col fascismo aumenta, si intensifica, si amplia: con Mussolini rprocede il moto democratico di cui Turati, Giolitti e Sturzo sono stati momenti e bandiere; ma se guardiamo al ritmo di questo processo, allora ve– diamo che avanza· sempre, ugualmente, sul piano del cor– porativismo, -dell'antilibertà, deIJ'anti-autognverno. Se novità vi fu nel corporativismo, fu quella di aver tradito una realtà sociale anche troppo vecchia, e così noia alla vita quotidiana italiana da essere dimenticata. L'Italia -- Io scoprì Gramsci in carcere - fu sempre corporativa per le insufficienze storiche delh sua bor– ghesia. Le insufficienze attribuite al risorgimento dalla storiografia repubblicano-critica e gobettiana divengono in Gramsci insufficienze della classe borghese come classe nazionale. Certo la ,prassi sociale italiana è condi– zionata tutta dalla carenza economica e morale della Iior– gbesia, dal sostanziale sistema corporativo, che diviene

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