Lo Stato Moderno - anno IV - n.6 - 20 marzo 1947

128 LO STATO MODERNO pretendeva sultanto di pianificare l'economia, ma d'introdurre un nuovo metodo, una nuova tecnica negli affari pubblici. Non servire lo Stato, ma sostituirsi ad esso. L'idea e l'azione sindacale, accese da questo spirito ri– voluzionario, minacciavano di disintegrare lo Stato, di di– struggere quell'unità statale che rappresenta la grande con– quisb del pensiero giuspubblicistico moderno. Osservava l'Or– lando nel 1924 (ne:la Riivista di Diritto Pubbliro) come la pre– tesa del sindacato a porsi quale elemento organico ne::a com– posizione dello Stato rimettesse in discussione il grave pro– blema dei rapporti fra lo Stato e le organ.izzazioni minori, che sembrava essere stato risolto dopo la rivoluzione francese nella concezione unitaria de:Jo Stato moderno. Aveva già scritto Oreste Rane:letti: « Col sindacalismo, l'unità politica dello Stato sarebbe spezzata ...; qualora tutte le funzioni dello Stato, anche le essenziali, venissero assunte dai sindacati, lo Stato· sparirebbe per far posto ad un federalismo economico– po:itico ». Nonostante il profondo travaglio in cui si vien rinno– val\_<io la nostra società politica, la concezione de:Jo Stato moderno ha vigorosamente resistito a'.le pretese disgregatrici d~l ~indacalismo rivoluzionario. L'ambizioso programma di qi{esto ultimo, a contatto con la rea:tà si è rive!ato anacro– nistico: ancora nell'a:tro dopo guerra venne svuotandosi rapi– damente perdendo ogni vigore, ogni mordente politico. L'azio– ne sindaca!e, non più sorretta da una propria mistica, da una peculiare ideoÌogia politica è scaduta in soggezione ad altre forze politiche organizzate. In Italia durante il ventenn.io fascista, Alfredo Rocco potè realizza;e il programma nazionalista, che aveva enun– ciato su Politica fin dal 1921: « Lo Stato deve assorbire i sindacati e farne suoi organi». Con due anni di anticipo sulla riforma del 1926, Antonio Pagano scriveva: « Il fascismo vuo!e che i sindacati servano all'incremento deI:a ricchezza nazio– nale o almeno nell'interesse di questa trovino il loro limite• (PolU:ioa, 1924). In Russia, la repressione decretata dal governo sovietico de:la cosiddetta corrente « trade-unionista », cu!minante con l'allontanamento di Tomski dalla presidenza del Consiglio centrale dei sindacati, portò alla completa subordinazione dei sindacati allo Stato sovietico: « NeI:a fase attuale della edifi– cazione socia:ista - scnveva la Pravda del 25 ottobre 1929 - i sindacati debbono anzitutto interven.ire per accelerare il ritmo de'.la produzione». Tomski fim tragicamente: dopo la sua morte sarà dichiarato « nemico del popo!o » per aver cercato, « allorchè venivano conclusi dei contratti collettivi di lavoro, non già di stimolare il più alto rendimento del lavoro, non già di subordinare i sa:ari alla esecuzione di un piano de:la produzione per l'impresa, ma di tendere ad un livella– mento ... diminuendo lo scarto fra i salari dei lavoratori qua– lificati ed i manovali ...; eg:i cercava di aumentare i salari no.minali indipendentemente da:l'aumento del rendimento del lavoro» (Voprossy Profdvigénia - Questioni sinàacali - organo uffiçiale del Consiglio centrale dei sindacati, 1937 fase. 2", pagina 16). Questi-i delitti di cui è stata accusata la « banda contro– riyoluzionaria di Tomski ». Eppure codesta ·politica « trade– uniO!)ÌSta » di Tomski non è molto diversa da que<:la « comu– n.ista » di Di Vittorio... Di Vittorio, Alberganti & C., potreb– bero, _sl, -obiettare che qui si tratta di combattere lo Stato borghese, mentre ià si trattava di . difendere lo Stato sovie- tico; ma che cosa direbbero i loro organizzati se sapessero che nel « paradiso sovietico » è stato ,giudicato e punito come un delitto il generoso tentativo di Tomski che voleva mi– gliorare le condizioni sa'.aria:i degli operai anzichè concorrere a costringerli ad un sempre maggiore rendimento di lavoro? Ne[a stessa Francia, culla del sindacalismo rivoluzionario, la C.G.T. nel trentennio fra le due guerre aveva finito per farsi riprendere a rimorchio dal partito socialista nell'orbita di una politica di opportunismo riformista. Il 9 giugno 1932 Le Peur).1e - organo confederale - pubblicava il program– ma economico del!a C.G.T. nel quale s'invocava d:ilo Stato una politica di lavori pubb:ici e de!le provvidenze per il cre– dito al fine di riattivare la circo:azione dei capitali. Nel feb– braio 1934 furono riprese le trattative per il ritorno in seno al::a vecchia Confederazione generale dei secessionisti comu– nisti, i quali, ad unificazione avvenuta, riuscirono a prendere il pieno sopravvento sulla po!itica sindaca'.e (vedi il mio ar– ticolo sul n. 14 del 1946 di questa rivista). Pe_r tornare al prob:ema dell'auton9mia sindacale, come si pone oggi in Italia ata vigilia del 2° Congresso confedera:e, poichè non esiste a!cun vitale residuo del vecchio sindacali– smo rivoluzionario, l'unanimità dei consensi sull'indipendenza sindacale, su:la « neutralità sindaca!e », riveste un semplice va– lore morale, di richiamo alla più genuina tradizione sindacale. Ammettiamo pure con !'on. Di Vittorio che un sinda– cato unitario non può ispirare la sua azione ad una peculiare ideologia, ma, appunto per ciò, ne viene di conseguenza che esso non potrà mai avere una « sua » politica. Questa carenza di una propria ideologia po:itica espone il sindacato a restare succube ai dispotici voleri del partito politico che riesca ad assic~rarsi la preva!enza del!a sua corrente sia alla base che neg:i organi direttivi. Questo pericolo è fatale: non si può ovviare ad esso con del!e semplici dichiarazioni di principio. Occorre rendere ef– ficace, assicurandogli la massima pubb:icità, il controllo delle correnti minoritarie. Se le critiche a posteriori, e perciò per– fettamente inutLi de!l'on. Ivan Matteo Lombardo al.:a poli– tica salariale vo:uta dai comunisti contro l'opposto parere delle a:tre correnti, fossero state tempestivamente proposte davanti ad un Consiglio confederale ne: vivo di un pubblico dibattimento, forse i comunisti non avrebbero potuto attuare impuneme~te quella loro disastrosa politica inflazionistica. Nè avrebbe mancato d'interesse la po:emica Rape:Ji-Di Vittorio sui governi « antidemocratici », se, invece di svo:gersi nel segreto del:a Segreteria confederale, fosse stata dibattuta in un parlamento sindacale. Quando l'autonomia sindacale si sterilizzi in una. plato· nica affermazione di principio, scade a mera finzione. Dietro a codesta facciata, riesce facile stabilire una vera e propria dittatura di partito. Bisogna smascherare qùella finzione. Riconoscere fran– camente che il « sindacato unitario •, come lo chiama il Di Vittorio, non può non cadere attratto ne:l'orbita po:itica della corrente prevalente. Per sventare tale pericolo, che compro– mette l' avven.ire de!l'idea sindac:r:e, venga sancita nell'ordi– namento delle categ9rie professionali la responsabi!ità del– !' esecutivo di fronte ad organi co:Jegiali che abbiano l'effet– tivo potere di discuterne ed approvarne l'operato coram popr.do . ERNESTO BA'SSANELU

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