Lo Stato Moderno - anno III - n.20 - 20 ottobre 1946

LO STATO MODERNO 469 phlet che vide la luce quasi contemporaneamente alla morte del Keynes. _ The Carthaginian Peace, or the &onomic Consequences of Mr. Keynes, intitolò il giovane francese, anch'esso defunto, la sua arringa di accusa, così parafrasando due lito:i famosi di opere di Keynes. li contenuto è brillante e paradossale: Keynes avrebbe colpa di· tutto (del fallimento delle ripara– zioni, del crollo del marco, de:I'insuccesso degli uomini di Stato tedeschi, fautori del!' Erfiillungpolitik, dell'avvento di Hitler, ecc.). l:farold Nicholson ha scritto su Spectator, con il solito humor, che JO'hn Maynard Keynes avrebbe letto con « diletto, generosità, comprensione » questa brj;lante accusa. Ropke invece la prende sul serio. Fa suoi i risultati, se così si possoho chiamare, del Mantoux e accusa Keynes di non aver saputo valutare e prevedere le conseguenze della sua opera e di aver sbagliato in tutte le sue valutazioni. Ora a noi pare che chi considera, con 'mente sgombra di preconcetti, la triste storia del periodo fra le due guerre, non può che dare ragione alla visione critica del Keynes. n quale non fu Jjreconcettamente avverso al principio delle ri– parazioni, ma ne mise in rilievo tutta l'odiosità politica e cercò di gettare acqua sug:i entusiasrpi dei Clemenceau pri– ma, dei Poincaré poi, che si erano illusi di riuscire a pro– strare indefinitamente la Germania con quel mezzo e di far vivere per un paio di generazioni il loro Paese con le rendite delle prestazioni tedesche. Questo dal punto di vista storico e politico, mentre dal punto di vista economico il Keynes sostenne la tesi che il trasferimento delle previste annua– lità non avrebbe potuto realizzarsi entro g;i schermi or– dinari dell'economia di mercato. Keynes nel 1919, di fronte agli esperti di Versail;es che calcolavano annualità di ripara– zioni tra i 5 e gli 8 miliardi di ~ro, osservava che la Ger– mania avrebbe al massimo potuto sopportare annualità di 2 miliardi. Egli scriveva in quell'anno: « La politica che consiste nel ridurre la Germania al;a schiavitù per una generazione. ne; degradare l'esistenza di milioni di esseri umani e nel rendere l'intera nazione infelice, sarebbe dete– stabile anche se fosse possibile, anche se essa dovesse ar– ricchirci, anche se essa non segnasse la decadenza civile di tutta l'Europa ». Proprio sulla base di tali tesi egli raccomandava una re– visione del trattato, con l'attenuazione del:e riparazioni, sia in denaro che in natura, e immaginava di avviare la ricostru– zione dell'Europa mediante la imposizione ai Paesi vinti di una politica commerciale liberistica. Sappiamo tutti che la storia non si fa con i se. Cre– diamo sia puerile fare una colpa a Keynes della sua chiaro– veggenza politica, {è il caso di ricordare che da noi uomini come Ferrero, itti, Cabiati si batterono su posizioni ana– loghe?). Ma non possiamo non pensare che se già nel 1919 i vincitori avessero avuto una visione realistica delle possi– bilità della Germania e avessero intesa tutta l'odiosità del sistema delle riparazioni, assai diverso sarebbe stato il corso della storia ted~, in particolare, e di quella europea in ge– nemle. Il fine ohe si proponevano Keynes, Ferrero, Nitti era la pace, non In continuazione del:a guerra. Era la ricostru– zione di un'unità europea, condizione essenziale per ,la pro– sperità di tutto il continente. Era l'avviamento della Germa– nia entro In comunità delle Nazioni europee e non ia sua condanna all'isolamento per una quarantina d'anni. E' sciocco adesso tirar fuori Hitler e conipagnj, e magari Dachau. e magari le camere a gas. L'Europa del 1919 avrebbe dovuto ricordarsi ~ell'esempio del Congresso di Vienna del 1815, avrebbe dovuto ispirarsi a quell'insegnamento e non irrigi– dirsi sulle riparazioni e la Kriegschuldfrage. Con la scienza del poi, con la desolata scienza di questi giorni amari, possiamo poi anche dire che materialmente le clausole economiche di Versailles avrebbero potuto essere anche più esose. Purchè, però, si fosse trattato di un'operazione rapida; gli Alleati, cioè, avrebbero potuto prendersi le riserve auree tedesche (che non furono toc~te), gli impianti industriali, i tesori artistici, ecc., e far tabula rosa, per così dire, del benessere germanico, ma farlo in fretta, rapidamente, come è accaduto l'anno scorso in una delle zone di occupazione. Questo è il punto. Discutere ora se il trattato di Versai:!es sia stato o no cartaginese non ha senso; è stato un trattato sbagliato perchè, rovesciando la tesi di Bainville, si potrebbe dire che· invece di essere stata une •paix trop douce pou-r ce qu"ellc a eu de dur, fu una pa1:e troppo dura per il suo contenuto dolce. Soprattutto è sciocco dire che la mancata app:icazione di Versailles tolse alla Francia il frutto della s1.1avittoria, poichè in primo luogo la vittoria non fu della Francia, ma degli Al:eati tutti, in secondo foogo perchè proprio la Francia mancava dei mezzi per ottenere quell'adempimento. Immaginare poi che diverso sarebbe stato l'atteggia– mento tedesco se Keynes non avesse scritto la sua opera ci i;:are os~e,v::zicne cJ-e fa offrrn a cb.i la prende sul serio. li fronte unico alleato (che era la condizione dell'àdempi– mento) fu minato da ben altri motivi e speculare adesso su quale sarebbe stato il risultato di una grande politica alleata di « muso duro» è gioco ozioso. D'a:tra parte, se si addebi– tano a Keynes le giustificazioni della resistenza tedesca al– l'adempimento della parte economica del trattato, perchè il pessimismo di Keynes sulle capacità economiche della Ger– mania non trovò ascoltatori fra gli uomini d'affari anglosas– soni, che tra il 1920 e il 1931 investirono in Germania capi– ta:i per 35 miliardi di marchi? Gli sforzi di Mantoux e di Ropke non scalfiscono la me– moria di Keynes, ma le loro argomentazioni vanno registrate. Adesso é il nostro Paese che si trova di fronte all'incubo delle riparazioni. Pare che vi sia una certa consapevolezza da parte di alcuni Paesi vincitori circa la pericolosità del si– stema. Fu del resto proprio Ropke a osservare, quando era ancora cittadino deila Repubb:ica di Weimar, che le ripa– raziani, sia nelle relazioni economiche, sia in quelle politiche, sono più perico:ose della dinamite. Il trattato ci impegnerà a pagare una disheta somma. E' fin d'ora interesse di tutti che il relativo servizio venga assicurato in modo da evitare al massimo gli attriti. Se la mancanza di misura da parte dei vincitori ci costringesse a minacciare o attuare una politica di non adempimento, si diffonderebbe un'inquietudine che non riuscirebbe soltanto a danno nostro. Ma è chiaro che la nostra eventuale resistenza dipenderà dalle condizioni obbiettive, dalla sproporzione delle pretese, dalla deficienza dei nostri mezzi, ecc., e non dal fatto che un certo giorno un uomo di cuor generoso e di inte:ligenza chiara dimostrasse al mondo il significato con– creto di quelle condizioni. Resta d'altra parte acquisito che di tutte le disposizioni del trattato quelle più difficili sono appunto' quelle econo– miche, soprattutto quando comportano obblighi scaglionati nel tempo. Fu Machiavelli ad osservare che « li uomini sdi– mcnticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio». Cosa direbbe di un sistema che mirasse a ripe– tere indlefinitamenllc quella operazione? Siamo convinti che il versamento de:I'annualità per ri– parazioni, anche per i problemi che naturalmente determina per la finanza dello Stato nei confronti dei contribuenti vuol dire tener sempre aperta una ferita. Con ciò si vuol venire a concludere che di tutti i sistemi immaginati dagli uomini nella loro storia, quello delle indennità per riparazioni, ripar– tite in annualità, è i; meno adatto ad avviare la ricostruzione di una vita normale e pacifica, ed è il più suscettibile alla diffusione di rancori e di incomprensioni. I

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