Lo Stato Moderno - anno III - n.20 - 20 ottobre 1946

LO STATO MODERNO Per un pensiero politico meno razionalistico Anche gli intellettuali hanno la loro malattia professio– nale sempre in agguato, che è la tendenza a pensare in– tellettualisticamente, attribuendo realtà concreta agli schemi astratti e sopravvalutando nella storia i motivi della cultura. Questa constatazione mi viene ora vivl\_mente suggerita da mo scritto di Augusto Del Noce, Antifascismo e Anticomu-. nismo, pubblicato in questa rivista il 20 agosto. E' la recen– sione critica di un libro dello stesso titolo dovuto al comunista L. Lombard.o-R(#dice (Ed. Einaudi). In questo caso l'intel– lettualismo di cui faccio carico al libro, e anche in parte, come vedremo, al recensore, consiste nel prendere come reali cate– gorie storiche le etichette culturali .nelle quali poterono inscri– versi i gesti propagandistici del fascismo. Si disputa se il fascismo fosse essenzialmente antiliberalismo o anticomunismo, e si conclude, o alm,eno cosi conclude il Lombardo-Radice, che era essenzialmènte anticomunismo, e diventò poi anche anti– liberalismo, solo perchè sarebbe impossibi!e negare il comu– nismo senza negare insieme tutti i valori umani, e quindi anche la libertà politica. Di conseguenza ogni posizione critica nei confronti del comunismo pare al Lombardo-Radice nient'altro che fascismo larvato o incipiente. Ma, se è vero che il defunto Ministero della Stampa e Propaganda si compiaceva moltissimo di mettere in' giro il classico dilemma O Roma o Mosca, e di presentare la reazione imperante in Italia come una rivoluzione ideai~ antimarxista, è a:trettanto vero che quel dilemma fu disinvoltamente riposto in soffitta dopo l'accordo russo-tedesco dell'agosto 1939, men– tre invece l'opposizione alle democrazie occidentali non conob– be eclissi mai, e costantemente fornì la materia per le apoca– lissi oratorie, nel,Je quali Mussolini andava contrapponendo il giovane vigoroso mondo totalitario alla decrepitudine dello Occidente. Ed è anche vero che il liberalismo e non il comu– nismo veniva indicato come il primo nemico dai molti fascisti che, seguendo Rossoni e Bottai, si erano dapprima figurati uno sviluppo sociale del loro regime e avevano creduto di poter fare del sindacalismo o almeno del corporativismo paritetico. In realtà è nozione comune che tutta la propaganda fascista era sempre anti-qua:cosa: nel 1934 e 35 fu perfino antinazista, in qualche altro momento addiritturà anti-razza gial:a. Il suo carattere essenziale non era nè l'antiliberalismo nè l' anti– comunismo, ma precisamente questo suo essere sempre anti, l'avere sempre la sua testa di turco. Ma la realtà di un regime è sempre molto più ampia delle astrattezze delle contrapposizioni ideologiche. Soprav– valutare il peso di codeste polemiche culturali o pseudocul– turali è appunto l'errore al quale è naturalmente inclinata la gente di Ctjltura, ed è un errore difficile da rettificare perchè anche questo compito non può toccare ad a:tri che alla stessa gente di cultura. La realtà del fascismo era in primo luogo la vita concreta dei suoi interessi, che erano in prevalenza interessi di conservazione, ma anche interessate speranze di miracolosi rinnovamenti; e, come punto di incontro fra queste e quelH, la solita febbre d'evasione nel vitale e neU'istintivo. Le sue opinioni non si alzarono mai al disopra di un atteggia– mento di rinuncia agli ideali e di derisione dei valori.umani. La conservazione di quei valori era d'un tratto divenuta molto più costosa che per il passato, e allora li si era semplicemente disertati e si trovava comodo deriderli. Di qui la ostentazione di una Realpolitìk di Stato (in realtà Realpolitìk di fazione), il disprezzo del « pietismo •, i' antipacifismo, l' antieuropa, e natu– ralmente la propaganda della testa di turco. Solo partendo da questo atteggiamento di antìvalore in genere è possibile dare sulla realtà del fascismo un giudizio meno astratto e ideolo- n gico di quelli suaccennati che lo catalogano come antilibera– lismo o anticomunismo. Antiliberalismo e anticomunismo come giudizi totali· importerebbero l'assurda pretesa di contrapporre tutta la realtà storica del ventennio, compresa l'ordinaria ammi– nistrazione, ai regimi storicamente dati d'Occidente e d'Orien– te, Ma molta parte di quella realtà non si contrapponeva a niente e non ci intere~sa politicamente: il giudizio che ci oc– corre in sede politica sul fascismo è solamente un atto pratico, una polemica che muove ideali morali. Sotto questo rispetto, intesa come antitesi non fra fascismo e Occidente, ma fra « odio del genere umano • e ideale di umanità, è assoluta– mente vera l'equazione fascismo-antiliberalismo avanzata da Croce, Mann, Huizinga, Benda, Huxley. E' l'unica vera, giac– chè essa sola fissa con tutta chiarezza i caratteri del fascismo che importa praticamente non dimenticare mai, che hanno costituito la ragione dell'odio di tutti gli antifascisti, compresi i comunisti. Anche J' anticomunismo fascista infatti si riduceva a questo, ossia ali' antiliberalismo ideale. Gli aspetti autoritari del cooìu– nismo erano tanto poco avversati dal fascismo, che anzi esso se ne valeva per confortare la sua tesi che la storia avesse definitivamente superato la democrazia. li comunismo è sempre ardentemente liberale quando è bandito e represso, e anche negli altri casi contiene parecchi motivi liberali, ma non è dal sacrario delle sue dottrine che esce la risposta più qualificata al fascismo. E infatti quando i comunisti hanno cercato - ciò che del resto hanno fatto anche gli altri partiti dopo la fine delle ostilità - di presentare la loro posizione come l'unico superamento integrale del fascismo, essi hanno dovuto lasciare nello sfondo le dottrine e mettere in primo piano proprio questi aspetti liberali. In realtà ciò che riusciva insopportabile al fascismo erano gli sforzi di autoliberazione e di autogoverno, di cui pure il comunismo è una incarnazione. Questi sforzi of– fendevano i conservatori e impaurivano i maniaci de:!' ordine e dell'efficienza nazionale; solo in via secondaria agi la stolta presunzione di salvare i valori della civiltà europea, perchè a nessuno poteva sfuggire che il fascismo era il peggio qualificato per difendere quei valori. L'anticomunismo esiste in Europa in larghe correnti d'opinione, ma non dà luogo al fascismo se non quando diventa - e ciò non è necessario - an9progres– sismo. Ma a:Iora esso trova la sua risposta, confusa se si vuole, nell'accentuazione fideistica della democrazia. Come potè allora il comunismo sembrare a tanti giovani intellettuali, fra il 1935 e il 1945, l'unico antifascismo possi– bile? Soltanto per ragioni pratiche, che non implicavano affatto una rivalutazione del comunismo come dottrina, e che perciò non contraddicono a:le riserve qui sopra avanzate sul valore del comunismo come antitesi ideale del fascismo. Si decideva di accedere alle cellule comuniste, in primo luogo perchè la diagnosi del fascismo come antiliberalismo si prestava ad essere erroneamente intesa come una riabilitazione anche dei regimi e dei partiti liberali esistenti o esistiti, con tutto quello che essi avevano di effettua!mente retrivo e autoritario. Poi perchè la inattività politica, evidente nell'antifascismo liberale, sembrava il segno di una irrevocabile condanna storica. Ma, anche qui, la condanna era solamente del grosso residuo di autoritarismo e di machiayellismo che quelle correnti liberali conservavano, perchè 'la ragione della inattività era solo la paura di un'altra dittatura sulle macerie di quella fascista; una paura che era un tradimento dello spirito liberale genuino, il quale è sempre per l'azione, perchè sa che le condizioni della libertà sono poste dal!' azione Hberatrice prima che dalle combinazioni ma. chiavelliche. Infinti l'!lçle~ione al çomunismo clandestino rap-

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