Lo Stato Moderno - anno III - n.17 - 5 settembre 1946

386 LO STATO MODERNO che saluteranno la restaurazione monarchica, è ne– cessario che ci rendiamo conto, esatto e scrupoloso, di quello che ha significato il periodo 25 aprile '45-2 giugno '46, delle sconfitte che ci ha portato, della -fragilità della vittoria repubblicana - che non tol- lera ulteriori oscuramenti di prestigio -, delle eclissi avvenute, delle fame perdute, dei valori inabissati, e trarre così l'energia per puntare decisamente i piedi e salvare insieme - chè sono termini indissociabili - la democrazia e l'Italia. Il primo consiglio che darei a chi si volesse accin– gere a mettere ordine intellettuale nel tumulto delle cose accadute in quest'anno è quello di badare alle generaziqni che si sono scontrate nella fatale prima– vera del '45. « Non si può cercare di sapere ciò che in realtà successe alla tale .o alla talaltra data, se non si stabilisce prima a che generazione si riferisce, cioè ' dentro quale figura dell'esistenza umana accadde», è un prezioso insegnamento di saggistica storica dato da Ortega y Gasset. E H mònito è tanto più valido nel nostro caso perchè qui c'è anche questo di singolare, che in quella data si scontrarono più delle due gene– razioni che normalmente dànno vita al dramma della storia; esse furono almeno quattro, e cioè gli scam– pati dal naufragio del '22, reduci dall'Arca di Noè galleggiante sulle acque o dell'esilio o della tolleranza, i Bonomi, i Nitti, i Croce, gli Sforza e gli Orlando; e poi gli uomini colpiti e stroncati all'inizio della loro attività politica, e questi in parte reduci da una espe– rienza analoga - l'esilio - ma condotta con una punta di maggiore combattività, e sono i Nenni, i Tarchiani, i Togliatti, i Cianca, in parte formatisi in modo diverso ed'opposto, nelle carceri e nel confino, come Parri, Terracini, Romita, De Gasperi (quest'ul– timo, in verità più vicino agli esuli per il suo ritiro in Vaticano che non,ai « duri a morire» in Patria); quindi coloro che erano ancora giovinetti ,negli anni in cui calò il sipario, e che opposero al fascismo l'in– transigente rifiuto ricevuto da Salvemini, da Gobetti e dal più alto insegnamento crociano e sono: i La Malfa, i Morandi, i Bauer, la generazione che ebbe il suo uomo di punta in Rosselli, che in vita e in morte ne prefigurò la parabola. E infine la generazione dei cresciuti e formati sotto il fascismo, che ha dato fi– nora qualche inquieto al partito socialista, e molti accomodanti ai comunisti e alla democrazia cri– stiana. L'urto di così contradittorie esperienze, di im– pegni cosi diversi, di ambizioni cosi limitate dallo straordinario affollarsi non poteva facilmente appia– narsi, non poteva improvvisamente consentire la creazione di un vocabolario comune. Di qui quelle discordi interpretazioni - che i semplici credono soltanto ad arte inventate - sui concetti di libertà, di democrazia, di stalo, di classe la cui chiarezza è come la salute: inavvertita quando c'è, inutilmente rimpianta quando non c'è. E poi baderei agli uomini, ai loro difetti e alle loro virtù, e alle varie esperienze da cui erano sin– golarmente reduci. E vorrei veder dentro alla trage– dia di Nenni, costretto a fare lo statista in tempi ec– cezionali, quando madre natura l'aveva creato per essere (ma non è questa la tragedia di tutto il partito sodalista?) un agitatore in tempi normali, e mi acco– sterei trepidante all'anima di Parri, tardo nel buttare a mare una intransigenza - sacra contro il fascismo - che gli diventò un fardello alla Presidenza del Con– siglio. E prima di analizzare il gioco di Togliatti - che con l'amnistia ha coronato coscientemente, spe– riamo, il suo incosciente apporto al consolidarsi di una pericolosa situazione conservatrice - vorrei vedere se il suo sorriso è di quelli che nascondono qualcosa, o di quelli che•si esauriscono in se stessi. E infine il vincitore, De Gasperi. Oratore mediocre, manovratore lontano da Giolitti, amministratore nulla più che normale, statista senza f~ntasia, eppure con una so– lidità di carattere, una serietà e una continuità di intenti che gli son bastati per imporsi su tutti. Ma bisognerà fare attenzione che dietro a lui spunta Gonella, e dietro a Gonella c'è l'esperienza dell'« Os– servatore Romano». E anche Cattani andrà ricordato, quel Cattani che ha fracassato in Parri il fragilissimo equilibrio che recava in sè le premesse per gli svi– luppi democratici del Paese. E non sapeva, il pove– retto, che così fracassava anche le residue speranze di una seria impostazione politica del partito liberale. E poi i partiti. L'amletismo del partito socialista, sempre incerto tra la tuta del metallurgico e... il cap- . pello di paglia del diplomatico; la malignità del par– tito comunista, battuto in strategia per eccessiva raf– finatezza tattica, che nel '43 scambiò per moralismo la battaglia repubblicana delle opposizioni, e nel '46 scambiò per politica un'amnistia moralistica; i demo– cristiani, soli tra i grandi partiti di massa ad essere veramente radicati nella esperienza italiana, preoc– cupati di ritardare il moto della democrazia per po– terlo seguire. Ma soprattutto baderei al partito d'a– zione, alla sua vittoria, effimera ma fondamentale per dare un avvio democratico alla vita del paese dopo la liberazione (è probabile che la vittoria di Parri su Bonomi nella primavera del '45 abbia significato sal– vezza di quelle riserve di manovra politica che per– misero di salvare la repubblica un anno dopo), e alla sua scomparsa che è alla radice - si voglia o non si voglia - dell'attuale marasma dello schieramento politico italiano. E poi i liberali, manovratori storditi, quanto troppo tardi a capire la loro vocazione con– servatrice. E i repubblicani, riluttanti ad ammoder– narsi e che pure, sol che volessero, hanno forse in tasca la chiave per risolvere molti problemi. E. vorrei che molta attenzione fosse data ai qua– lunquisti, pallidi segni di un problema grosso, che è poi il problema della democrazia italiana. Come si fa ad attrarre e trattenere nel gioco de– mocratico le folle, vaste in Italia e specie dopo una guerra perduta, dei delusi, degli instabili, degli av– venturieri, dei disoccupati, degli scontenti, di quelli che si credono traditi, e di quelli che sono traditi, dei fascisti fumosi e dei partigiani irritati? E, a proposito dei partigiani, grande rilievo darei al rapido tramonto del «mito» partigiano. Cattivo effetto di un proposito lodevole. Il timore di un nuo– vo squadrismo passò il segno e ferì la purezza di un sacrificio. E qualche volta anche la poesia e la non poesia fanno politica, com'è vero che politica è totalità di esperienza umana. A cornice del quadro - limite che pare quasi decorativo ed è invece ferreo determinatore di « quanto » vi può essere dentro - metterei l'armisti– zio e l'occupazione alleata. E nell'uno e nell'altra vor– rei vedere quanto ci fu d'aderente alla politica dei vari vincitori, quanto di incerto e quanto di ·franca– mente sbagliato. E in questo capitolo parlerei della psicologia del popolo italiano di fronte agli alleati, dai fiori di Napoli di Roma e di Milano alle sassate

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