Lo Stato Moderno - anno III - n.12 - 20 giugno 1946

272 LO STATO MODERNO ganda delle accennate minoranze, tanto !Pericolose per la vita di un'ordinata <lemocrazia. Se davvero gli Al:eati si propongono (e sarebbe ·logico, nelfinteresse della pace mon– diale), come suona il quinto dei dodici punti di Truman, di aiutare gli Stati nemici sconfilti ad ~tttVUle {!PGemi demo– cratici pacifici, è proprio la via opposta che essi debbono seguire. « Gli svantaggi di una pace ingiusta - scriveV"a Farri il 22 agosto 1945 al Presidente Truman - superereb– bero di gran Ounga i ,vantaggi -disicutibili che ,deriverebbero a ta·iuni jpaesi dalfacquisto di quelle strisce di territorio italiano o colonfale che potrebbero esserci tolte. ,Anzi una pace ingiusta eserciterebbe un'infl,uenza oltremodo sfavore– vole suJ.:o sviluppo democratico, sano e ordinato di quaran– tacinque milioni di Italiani, che abbiamo ìni7Jiato laboriosa– mente e che siamo femrnrnente decisi a raggiungere, nono– stante tutte le difficoltà; intralcerebbe il compito del nostro e anzi dii qual'unque governo, getterebbe nuovi germi di sfiducia e di depressione ne:l'animo ,del nostro popolo, farebbe sorgere un senso di diffidenza verso ie Potenze alleate, nei cui ideali di equità e di giustizia noi dta:iani del movimento della resistenza abbiamo sempre creduto e a nome dei quali abbiamo combattuto e sofferto con fede incrollabile •· Noi ci domandiamo d'altra parte: per qual ragione si vrebbero rogliere le colonie all'Italia? Non per ragioni pu– nitive, sia perchè l'Italia sareb_be già ,punita abbastanza nel suo « impero » coloniale con Je ,perdite sopm accennate, sfa perchè si è detto e ripetuto che non si vuole una pace di punizione, sia perchè ,una pace di punizione sarebbe assurda e fogenerosa verso colui che si è accettato come cobellige– rante. Non per ragioni strategiche, una volta che le sole zone che presentano un certo interesse strategico, le i.sole Egee, Tobruk, la Marrnarica, Saseno sono già fuori discussione. Non perchè il lasciare all'Italia queste colonie rappresenti comun– que un pericolo iper la pace mondiale; chè un'Jt,alia decaduta dal suo rango d'anteguerra, priva delle materie prime che oggi sono indispensabili alla condotta d'una guerra anche modesta, finanziariamente poverissima, non può far paura per il fatto di possedere fuori dei ~uoi confini metropolitani 2.385.585 kmq. di terrirorio in gran parte inabitabile, con 2.600.000 a– bitanti. Non si tratta evidentemente di una espansione am– periale, che fra J'altro non J1a mai .incontrato in Italia il gusto dei partiti dii sinistra. Nè si può pens.are a dar loro un'àndi– pendenz.a per la quale non ~ono -ancora mature: che se tali si dovessero considerare Je nostre colonie, ben pochi ·terri– tori ,al mondo potrebbero ,restare ancora in regime coloniale. Se si tratta invece di avviarle gradualmente, attraverso una costante e.ivazione del ,livello di vita dei loro abitanti e l~ svi– luppo in essi del senso d:i autogoverno, tale compiro può be– nissimo essere assolto da'll'It!a'lia.Si è parlato anche nel Times di ,attribuire ,all'Etiopia l'Eritrea a titolo di ciparazione per i • danni cagionabi dalla .guerra 1935-36. Ma non è sufficiente riparazione l'opero Jntensa, e cosrosa, data nei successivi cinque anni alla valorizzazione del Paese e al suo progresso civile? E non v'ha dubbio che l'Eritrea progredirebbe assai più rapidamente sotto Ja direzione dell'Italia che non della Etiopi-a. Riteniamo anzi che le Potenze da un canro, !'Etio– pi.a dall'altro dovrebbero ,augurarsi cont<inuasse da parte ita– l'iana quella messa in valore della •stessa Ettiopia che si era iniziata nel peniodò tra le due campagne africane col duplice effetto di offrire uno sfogo al lavoro e alla tecnica italiani, ora che non sono più in giuoco ambizioni imperiali, e di gio– vare al .progresso dell'impero etiopico e delle sue genti. Se infine si vuol propl'io che ae oolonie ,italiane (ma per– chè solo quelle italiane?) si-ano, quale prima applicazione dl un principio che dovrà poi divenire gener.aJe, trasferite alla arnministra.z,ione fiduciaria delle Nazioni Unite (siamo d'altra parte pronti ad =ettere che, specialmente negli ultimi tempi, le due Potenze anglosassoni hanno mostrato di saper spontaneamente seguire lo sviluppo de~ popoli coloniali verso forme di autogoverno concedendo statuti di autonomia sem– pre più sviluppata, fino ,all'indipendenza completa), a una sola condizione lo si potrebbe ammettere: che autorità ammi– nistratrice di tutte le già colonie italiane fosse designata l"Ita– lia, che ne dovrebbe bensì rispondere di fronte al Consiglio per !"Amministrazione Fiduciaria, ma ,potrebbe così conti– nuare l'opera intrapresa nell'foteresse a un tempo dei suoi coloni, degl'indigeni e dell'assetto pacifico del mondo, av– viando essa stessa all'autogoverno gli abitanti di quei paesi ai quali da sessanta, o, rispettivamente, da trentacinque anni, dedica le sue cure e i suoi capitali. Ogni altra soluzione del problema coloniale sarebbe estremamente ingiusta, contraria a quei principi per ,i quali le Nazioni Unite hanno tante volte affermato di combattere: ed esse non ,potrebbero sottrarsi al– l'accusa di aver trattato l'Italia, in un momento in cui si do– vevano gettare le fondamenta di una pace con giustizia, non già in base ai ,pPincipi scritti sulle loro bandiere, ma come una semplice pedina di un gioco politico da vecchie diplomazie, senza alcuna larghezza di vedute. « Mi sono limitato a tracciare in questa lettera - scri– vev-a De Gasperi nel messaggio citato - lo schema di una soluzione che non può essere considerata una soluzione ilo.– liana, ma piuttosto un contributo alla ricostruzione e alla cooperazione internazionale sulla base di una pace giusta, prevista non come una punizione del passato, ma come la base di un futuro migliore per l'Europa. lo non ho seguito il metodo tradizionale cli chiedere jJ massimo per poi scen– dere ad accettare quanto era possibile; ho preferito ammet– tere subito e francamente i sacrifici che noi ci sentiamo in clovere di fare e ruggerire le condizioni che ci sembrano necessarie 1PCrchèil popolo italiano IPOSsa collaborare in modo efficace .allo stabilimento di un mondo nuovo basato sulla giustizia ». Non vogliono forse Je Nazioni Unite dare da parte loro un·eguale collaborazione a questo nuovo mondo, di cui l'O. N. U. vuol essere appunto J'antesign.ana? E' vero certamente il contrario. Ma occorre in ,primo luogo ch'esse non .s'ingan– nino circa i mezzi più idonei per giungervi. E il far 5orgere per il nuovo dopoguerra un problema delle colonie Jtaliane da servir di .bandiera a qualche ,residuo gruppo di estrema de– stra, come vi fu in quell'altro un problefJla delle colonie te– desche, sarebbe pericoloso e assai meno giustificato, più pe– ricoloso certo che non il lasciare alla Repubblica Democratica Italiana il gov_ernodi due milioni e mezzo di indigeni dell'A– frica. Sappiamo che la vita non è facile in questo rol'lllentato dopoguerra, n~ure ,per la coalizione dei Tre Grandi, o quattro con la Francia, div,isa su tanti problemi, e che il anal– vdlere o la inoom,prensione di uno solo potrebbe bastare a frustrare le eventuali buone intenzioni degli altri. Ma nè le repubbhche democratiche d'America e di Francia, nè il go– verno laborista d'Inghilterra, nè quello comunista di Russia, dovrebbero aver interesse, per ragioni <l'ordine ideologico ol– tre che di poloitica internazionale, a mortificare la nascente Repubblica Italiana. L'Italia ha fatto, il 2 ,giugno e i giorni &uc– cessiV'i,uno sforzo ,degno cli .comprensione, ha dato prow di una matlll'ità di cui noi stessi potevamo dubitare. La nuova Conferenza di Parigi, che si raduna mentre si stanno per an– nunciare i risultati definitivi dello storico referendum faccia il .suo. Ohè i;e neppure in queste circostanze j « quattro », al di sopra delle loro dispute e dei loro contrastanti interessi, riusciranno a mettersi d'acO<M"do su .condizioni eque di pace per l'Italia, ci sarà veramente da disperare della « maturiti internazionale » delle &tesse Potenze dirigenti. ANTONIO BASSO

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