Lo Stato Moderno - anno III - n.12 - 20 giugno 1946

LO STATO MODERNO 271 IL PROBLEMA DELLE tOLONlE Alla vigilia della nuova, la terza, riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri, un'altra volta l'attenzione dell' opi_– nione pubblica si concentra sul problema del trattato di pace tra l'Italia e le Nazioni Unite, quel trattato che noi atten– diamo da trentatrè mesi e mezzo, da quando cioè l'Ita;ia, stipulando il 3 settembre 1943- l'armistizio di Cassibile, cessò di essere nemica de!le Nazioni Unite, per ,porsi abzi, a qualche settimana di distanza, al loro fianco. Il trattato è ornnai in elaborazione da più di nove mesi, da quando cioè si riunì per la prima vo:ta a Londra il Consig:io dei Ministri degli Esteri, e non ha ancora superato lo stadio de[a prima stesura da .parte delle quattro principali Potenze vincitrici; qua:che .particolare è stato !bensì risolto, ma Je questioni grosse, Trieste ·e Venezia Giulia, confini con gli altri Paesì limitrofi, colonie, riparazioni restano ancora da decidere. Diversità di punti di vista fra Potenze vincitrici che notoriamente muovono da mentalità diversissime per non dire opposte, aspirazioni anche di qua:cuno dei grandi vincitori o dei relativi sate:liti su dèterminate parti de: nostro territorio metropolitauo e coloniale, contestate dagli altri. Tutto questo è noto. Eppure noi, tutto ponderato, ci domandiamo, come, ad esempio, ragionevolmente, la questione delle colonie, da qualunque parte la si guaroi, possa dar adiro ad incertezze sulla sua solu:mone. I ternnini ne sono chiarissimi. L'Italia aveva 'a:la vigLia della guerra un impero coloniale di com– plessivi 3.487.558 kmq. di superficie e 13.112.000 abitanti; di questi, 2.388.273 kmq. di territorio con 2.750.000 abitano, (cioè poco più di un abitante per chilometro quadrato!) risali– vano ad acquisti anteriori al fascismo, anteriori anzi quasi per intero alla .prima ,guerra mondiale che li aveva solo lieve– mente arrotondati, gli altri erano frutto dell'invasione fascista dell'Etiopia, ma erano stati oramai internazionalmente ricono– S'Ciutiessi pure. Soro l'unione alla corona itaLiana dell'Albania (altri 28.738 kmq. e 1.106.000 abitanti) non aveva' avuto riconoscimento internazionale. L'Italia fascista ha perduto la guerra, le è succeduta un'Italia democratica, che ora, col mutamento di regime, ha mostrato di ,voler definitivamente rinnegarè il triste passàto, separando le sue responsabilità anche da quelila dinastia che il fascismo aveva favorito e fiancheggiato durante ventun anni. Ne viene di logica conseguenza che vadano perdute l'Albania e l'Etiopia, che gh antifascisti oggi al governo non avevano mai rivendicato, c9e l' « impero » italiano venga ridotto ai suoi territori prefascisti, oioè dimezzato di superficie e ridotto da 14.218.000 abitanti a 2.750.000, meno di un quinto. Sul resto, anche se non ci fosse di mezzo la cobel– ligeranza, non si dovrebbe, almeno per il fatto della guerra, aver motivo di discutere. Ma l'Italia democratica non chiede neppure questo. Essa retrocede ben volentieri -alla Cina, ridivenuta padrona in casa propria, I~ concessione di Tien-tsin, e a un'Albania veramente indipendente, l'isola di Saseno, e si-è dichiarata senz'altro pronta a cedere alla Grecia le isole dell'Egeo, popolate da una maggioranza ellenica, chiedendo solo che agl'Italiani di Rodi sia garantita la possibilità di continuare il loro lavoro, tanto utile a:la prosperità stessa dell'isola. Non solo: ha accettato fin dal 28 febbraio .1945, con un sacrificio che· dovrebbe essere adeguatamente apprezzato, la rinuncia - sono parole di De Gasperi - « ad ogni e qualsiasi diritto italiano su Tunisi e ad ogni forma di protezione verso quegli operai e quei lavoratori e professionisti italiani che, con la loro attività, hanno contribuito in forma considerevole allo sviluppo economico della Tunisia»; ha ammesso rettifiche di frontiera nel Fezzan. Anche per la Marnnarica, regione che ha un interesre soprattutto strategico, -già nella sua let– tera del 22 aprile 1945 al Segretario di Stato ,americano, dalla quale sono tratte le parole sopra çitate, il ministro De Gasperi ammetteva la creazione di quelle zone strategiche, basi aeree o navali od altre garanzie strategiche, atte a permettere « un'assoluta sicurezza a:le nazioni confinanti e alle vie ma– rittime internazionali ». All'Etiopia, infine, ferma restando la sovranità italiana ~ull'Eritrea, la stessa lettera di De Gasperi offriva IUil libero sbocco sui! mare, sia attraverso il ~erritorio , ita!Jiano, sia, se richiesto, con delle rettifiche <li frontiera, e una zona franca a Massaua a favore delle regioni set– tentrionali. Tutto questo, in aggiunta alla perdita di tutte le con– quiste fasciste, dovrebb' essere punizione sufficiente, checchè ne dica Thorez, non già per un cobelligerante, ma per un nemico che tale fosse rimasto fino all'ultimo. Come si può richiedere di più aa un paese che per quasi due anni ha combattuto al nostro fianco? E' chiaro, anche se le colonie non vi sono esplicitamente c'onsiderate, che tutto Io spirito de:la Carta AtGantica, e dei dodici punti del Presidente Truman, si opporrebbe .ad una diversa soluzione. Ed è chiaro d'altra parte che per l'art. 1 della Dichiarazione .Atlantica, secondo il quale i suoi fumatari « non mirano ad espan– sioni nè territoniali .nè d'altro genere » - dichiarazione fatta propria da tutte le Nazioni Unite coi documento firmato a Washington il 1 ° gennaio 1943 - non dovrebb'essere questione di assegnarl-e Jn qualsiasi forma ,in tutto o in parte, ad alcuno <lei -vincitori. Le J"agioni che consigliano di non toglliere all'Italia le sue co:onie, o, per meglio dire, di non toglierle più di quanto lo stesso De Casperi, in un documento che meriterebbe di essere maggiormente ,conosciuto, si era, alla vigilia de:1-aprima riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri, spontanea– mente dichiarato pronto a consentire, ,sono molte. Ragioni, in primo luogo, di ovvia giusbizia: si tratt'a di colonie che il nostro Paese ha acquistato col pieno consenso interna– ziona~e, che costituiscono una quota minima dell'insieme dei terJ"itori coloniali, specie in oonfront.o dei 45 milioni di abi– tanti dell'Italia metropolitana. Ragioni eoonornicbe e demo– graflbhe: L'Italia si è prodigata ,per la messa in valore delle sue colonie più di quanto le av.i;ebbero dovuto consentire i suoi ~rs.i mezzi, vi ha installato un numero proporzio- nalmente ,grande dei suoi _cittadini, ha la possibilità di conti- , nuare -l'opera di colonizzazione inttapresa, in condizioni che • avrebbero scoraggiiato chiunque altro, sul Gebel Cirenaico come sulla fasci!! tripolina, con vantaggio per l'economia generale oltre che p,er quella pur minima quota della •sua. esuberanza di popolazione ohe potrebbe annualmente trovarvi uno sbocco. Nulla giustificherebbe il privare un paese debole e povero ,come il nostro dal trµtto <li tanta fatica e di quegli altri pur sempre modesti eh' esso potrebbe continuare a co- gliervi con la sua laboriosità. • Ma c'è ragione per noi anche più forte. Uopinione pubblica italiana, che non è mai stata colonialista, e lo ha dimostrato dai tempi di Crispi fino ad oggi (le ambizioni co:'Oniali sono state sempre ,prerogativa di esigue minoranze) sentirebbe rlngiustizia <li una decisione che ci privasse delle colonie, di tutte le colonie solo perohè abbiamo perduto una guerra ohe le correnti oggi al potere non avrebbero mai voluta. E ,si fumirebbe un formidabile argomento alla propa-

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