Lo Stato Moderno - anno III - n.10 - 20 maggio 1946

218 LO STATO MODERNO sentiva rappresentante dell'intera anima nazionale nella interpretazione della propria coscienza. I partiti erano allora poco più - quando lo erano - di semplici organizzazioni elettoralistiche che o si scioglievano o si mettevano in quiescenza subito dopo le elezioni. La durata della legislatura era la loro grande invernata durante la quale si addor– mentavano profondamente, salvo a risvegliarsi non appena si levava la brezza annunciatrice di prossime gare elettorali. Gli iscritti ai partiti erano pochi in quei tempi, nè si pensava a una organizzazione tota– litaria come quella ,che si profila adesso; nè dietro ~i. partiti c'erano pile di libri, analisi sottili e ese– gesi minute, sicchè il passaggio da un campo al– l'altro era cosa che impegnava a dir molto la co– scienza e quasi mai il cervello, la cultura, la fatica di una vita. Tutto questo aveva due riflessi politici di pri– maria importanza;· nessuna forza estranea al Par– lamento .ne regolava gli atteggiamenti, e le. maggio– ranze e minoranze parlamentari potevano facilmente variare perchè i singoli deputati, non ancorati nè comunque rispettosi di una disciplina di gruppi (per lo più inesistenti) si spostavano a favore o contro il Governo per mille motivi rapidi e frequenti: l'al– tezza e la forza di un discorso (ahi, la inarrestabile decadenza de!l'oratoria parlamentare), la stanchezza di una seduta interminabile, un incidente interna– zionale, uno sciopero, l'errore di un prefetto, una campagna giornalistica, erano, 'Ciascuno per sè stes– so, elementi capaci di determinare bruschi rovescia– menti di situazioni e di forze. Tutto ciò non aveva riflessi costituzionali e· di governo evidenti sinchè i ministri erano soltanto se– gretari del Re, non sottoposti al giudizio del Parla– mento. Ma quando, attraverso una continua evolu– zione, essi divennero semplicemente dei mandatari delle maggioranze, revocabili con un semplice voto di sfiducia, allora quella mancanza di coesione poli– tica tra i deputati che abbiamo sopra lumeggiata dette luogo a quel fenomeno che con parola ora de– scrittiva e ora critica, .si sùbl chiamare « il parla– mentarismo». La facilità con cui i parlamenti crea– vano e disfacevano i governi, mentre impediva una continuità di azione costruttiva e feconda (sul che però sarà opportuno non esagerare) contribuiva a quel discredito della democrazia, che pure non era e non è affatto legata a quella forma costituzionale, dal quale non siamo ancora fuori. Da questo discredito partì l'esperienza del par– tito unico. Anche questo resta un fonomeno da in– dagare per vedere quanto ci sia in esso di pura e semplice volontà di potenza, e quanto di una ten– denza generale delle cose, cioè degli spiriti e del– l'economia. Se Russia, Germania, Italia, Spagna, Turchia, Portogallo (e non vogliamo aggiungere la Francia per la eccezionalità di guerra e di occupazione in cui si è ·svolto l'esperimento) hanno tutte, così di– verse tra loro, cedut<? alla lusinga del partito unico, ci si consentirà di ritenere che non di solo caso o capriccio si tratta. E in realtà, di ben altro si trattava. Per limitarci al solo· campo di analisi di questo sti,ldio, si trattava di una irresistibile tendenza del pa__rtitoa diventare il padrone dello Stato, a dominare dal di fuori il meccanismo dello Stato. ' Per rendersi esatto conto, almeno dal punto di vista formale, della forza di questa esigenza, occor– rerebbe rifare il processo stori-co attraverso il quale il partito, da "Semplice organizzazione elettorale si venne trasformando in istituto permanente, capace di convogliare masse sempre più vaste, di rispon– dere a interessi sempre più profondi, di creare una •nuova disciplina, peggio, un nuovo conformismo al quale dovevano piegarsi intelligenze e coscienze. Questo fenomeno è uscito ingigantito dalle esperien– ze del partito unico, tanto che mentre cosiffatti orga– nismi si incontravano prima soltanto presso i partiti proletari, oggi essi si sono estesi a tutte le organiz– zazioni politiche anche dei ceti più schiettamente conservatori. E' un fenomeno questo che andrebbe minutamente analizzato per i riflessi non tutti fe– lici, che esercita sul piano nazionale, anche dal punto di vista morale, ma qui ci basta soltanto prenderne ·atto e vedere, in confronto a questa situazione po• Utica, come può modellarsi la nuova costituzione. Procedere altrimenti, o peggio ancora ignorare questo elemento del problema sarebbe come proce– dere a un disegno ·di costruzione senza sapere di quali materiali ci si può servire. Ignorano per esempio questo nuovo elemento del partito fattosi ordine militante coloro che si ripro– pongono il problema dei rapporti tra il Parlamento e il Governo nei vecchi termini del vecchio parla– mentarismo; nei termini cioè di una maggioranza 'Volubile e indocile, mutevole e anarchica, capriccio– sa e infedele, capace di innalzare un ministero e di– struggerlo poco dopo. In questo senso, per esempio, si è da molti interpretato il rifiuto dei francesi a una costituzione che prevedeva una sola Assemblea; col desiderio cioè di evitare un Governo succube di una Assemblea instabile. Questo pare a noi un clas– sico errore di prospettiva storica. Oggi infatti il pe– ri<:olo non è di avere un Parlamento a maggioranza fluttuante, bensì un Parlamento a maggioranza trop– po stabile, un Parlamento cioè 6ove i ruoli sono fis– sati a priori, dove la discussione non varrà più nulla perchè la disciplina sarà più forte della persuasione. dove una maggioranza non si romperà mai - o ben difficilmente - perchè formata non da uol1lini sin goli responsabili solo di fronte alla propria coscien- 2:a, ma da partiti massicci e massicciamente diretti, in cui non è prevedibile, nel clima accomodante e conformista che viviamo (e che è illusorio pensare che stia per '[J}Odificarsi rapidamente) che accadano crisi o defezioni di notevole importanza. Questo fenomeno acquista tutta la sua gravità quando poi passiamo ad osservare da chi sono di– retti i gruppi parlamentari che .rappresentano i par– titi. Forse da se stessi?

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