Lo Stato Moderno - anno II - n.22 - 20 dicembre 1945

esilio, le torture; la nostra passione era quella del mondo, da cui non cl sen– tivamo- più isolati, staccati. E se le no~tre mani, in genere, sono pure, cio– nonostante non possiamo non ricor– darci di questi tempi che ci hanno resi coscienti che gli ultimi anni della pri– ma età, consunti in essi, debbono frut– tare. E' perciò ch'io risponderei alla domanda chi slamo e che vogliamo es– sere: diventare quel mondo, quel mon– do che è stato in questi sei anni nei qunli da fanciulli divenimmo giovani. Angoscie e speranze. Noi dobbiamo cioè rlc earci la fede nell'azione. Tutta di– versa è la posizione delle generazioni più giovani di noi. In esse la fede esi– ste. E' l'unica fede vitale. E' la fede n,:; a vita. Montale disse: « Ciò che non siamo ciò che non vogliamo•· I giova– nissimi dicono. Noi siamo ciò che sia– mo. Conosco un giovanissimo, poeta, che caratterizza letteralmente codesto stato d'animo. L'ermetismo, in lui, che lo ignora direttamente, è un risucchio. Non è più un desiderio di estinguerlo come in noi. All'amore inconfessato di Montale (Barche su.Ila Marna, domenicali in [corsa ne! dì della tu.a festa) l giovanissimo risponderà in un modo prepotente: Cadrò senza speranza atcu.na, nè con [ minima iUu.sione, nell'ombra verde mi getterò piangente , [e grato del mio destino. Non c'è dubbio che la crisi moderna è anche crisi religiosa. Ma non è da dirsi che l'umanesimo, religione moderna, abbia perso il suo significato. Che ~ia un equilibrio ormai instabile. L'umanesimo è in noi qualcosa di LOSTATO MODERNO edito,d-alla CASA EDITRICE GENTILE MILANO - Foro Buonaparte n. 46 Telefono 8'.613 Direttori: Mario Paggi e Gaetano Baldacci Vice Direttore: Antonio Basso Redattori: V. Albasinl Scrosati, Ma– rio Boneschi, Enrico Bonomi, Li– bero Lenti, Giuliano Pischel, Or– lando Ronchi, Sergio Solmi, Cesare Spellanzon. I manoscritti non .,t restituiscono LO STATO MODERNO vivente. Con un'esperienza più umana. Persino i nostri coetanei comunisti sono degli umanisti, tanto in loro (parlo di quelli che hanno sofferto la crisi in pieno, mm degli assenti) tanto in loro il comun:smo si è fatto sensibilità uma– na, ripiego religioso. Quando vogliono fare i macabri (talvolta piace a costoro apparirlo ancora), i sovvertitori di mas– se, allora le frasi da essi gettate lì con aria indifferente, fanno ridere: si com– prende come anch'essi abbiano capito - se non nella coscienza psicologica in quella storica - che il comunismo per essere moderno ed occidentale deve essere umanizzato. Deve disfarsi del mito. L'individuo dell'occidente potrà sopportare il mito fin che si trova in uno stadio di primitività. Lo sorpassa alle prime avvisaglie della cultura. E, mi pare, nel nostro caso, ce lo fa sor– passare proprio il ricordo di questi ven– t'anni. Così il comunista di oggi ha in lui innato il 'Senso, la ·legge della per– sonalità che fu oppressa, fin da piccolo; da quando lo inquadrarono nelle orga– nizzazioni. Anche se continua a ripe– tere la massa, la massa, la massa, egli sa che la sua anima (chè forse dentro di sè crede ancora alla sua anima) o Il suo cosmo sono qualcosa di incoer– cibile. Sente il suo io che si voleva disperdere nei campi di concentra– mento, nelle galere, nelle morti a mi– lioni. nell'enorme e lubrico. Per questo gli. amici della massa (sia– no comunisti o vattelapesca) ml met– tono di buon umore quando cadono in contraddizione. D'altronde, per conto mio, mi prendo anche l'appella tivo di conservatore, per– chè dico d'esser d'accordo che la rivo– luzione russa ha un significato ideale di grande progresso, simile a quello della rivoluzione francese; d'accordo sull'influsso positivo che può possedere come esigenza di una libertà econo– mica: non d'accordo sulla Russia d'oggi espansionistica, ·e sul partito comuni– sta italiano, che fa un gioco balordo. Innanzitutto non me la prendo perchè mi pare che la libertà sia proprio quel– la di essere quello che si vuole, quando non si tormenti il volere del prossimo col proprio al punto di proibirgli il suo. In secondo luogo perchè so che in ogni paese un moto rivoluzionario deve es– sere inteso diversamente. Della rivolu– zione francese bisognava saper rivivere i diritti dell'uomo e non Robespierre (in sede come siamo, contemporanea– mente, non storica. Ma la storia ai fu– turi). Certo, sempre come osservazione psicologica, non potrei chiamare il no– stro umanesimo tranquillo, che sappia Kant, Hegel, il Cristo e sia una demo– crazia ideale, aristocratica, immune. 365 C'è Il timore per noi, per i nostri maggiori, per i nostri figli. Per cotesto disagio, di solito, non amiamo discet– tare su noi stessi e vorremmo creare un mondo sicuro in cui espandere noi stessi e poi parlare. Vivemmo, sempre, in un mondo incerto, traballante, in– sicuro. La lotta tra il male e il bene, che Mann nel 1939 dichiarava passata dal subdolo all'aperto, ci sembrava di nuovo subdola, nascosta. Ci adonta il timore di guardare! In faccia, chiaramente. Nel '19 non essen– doci almeno stati mai i fascisti, ci si poteva incolpare senza timore di sen– tirsi dar un titolo che equivale a bol– larsi eternamente. Oggi tutti temono. Escluso ben pochi. Passando veramente alla politica, la rigidità schematica dei partiti oligarchici. Mentre le sinistre ripetono, su una scala internazionale l'errore del '19 (i comunisti quasi ap– provano o approverebbero mutilazioni all'Italia), le destre s'infiacchiscono In paure dinastico-istituzionali, ed il cen– tro, il P. d'Azione, in cui molti, moltis– simi di noi avevano riposto le loro spe– ranze, si trastulla nell'incertezza. L'errore fondamentale, nei nostri ri– guardi, specie nei riguardi dei meno addestrati, di questa politica di dubbio e di paura, è l'esempio. Molti di noi dicono: Non esiste la libertà. La sto– ria, si risponderà, insegna che esiste. Ma come potete insegnare a chi non ha vissuto? A chi non è uscito dal pae– se? Credete che non possano esistere fenomeni di lmbestiamento collettivo? Esagero forse. Ma vorrei che non vi fosse questa diseducazione. I maggiori ripensino a loro stessi vent'anni fa. Sta occultato in chi è giovane spesso più rispetto e fiducia di quel che si creda. L'empiria cui noi ci attacchiamo, e ci attacchiamo spesso, per forza di storica interpretazione della religione, con folle speranza, - corrisponda. si abbattano le astratte parole. Vi si appongano le concrete vicende e le illuminatrici idee. Una sola cosa dovrei aggiungere: che è fondamentale. Non ci soddisfa più il concetto na– zione. Ne sentiamo con feroce angusti.a la limitatezza. Perchè vogliamo difen– dere strenuamente i valori europei dJ civiltà; proprio per questo: non inten– diamo per nazionalistiche meschinità, far la fine delle città greche. E a que– sto processo che si svolge miserevol– mente di fatto di fronte a noi, ci op– porremo con ogni sforzo. Ma basta. Volli soltanto acce1pare al nostro problema e sono caduto In pieno in una questione ben più ampia. Voglia scusarmi, signore, e credermi suo con sincerità. • GIANFRANCO DRAGW I f·

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