Lo Stato Moderno - anno II - n.16 - 20 settembre 1945

208 LO STATO MODERNO IL DIRITTO E LA CIVILTA' Nel numero di luglio della rivista fiorentina « li Ponte» si è svolta una polemica in cui, per rara fortuna, l'altezza intellet• tuale dei competitori era pari alla grandezza morale del tema. Da una parte Jemolo - caricandosi coraggiosamente delle re• sponsabilità del chìerico, fisso alle cose eterne - sfida impo• polarità e pregiudizi e dichiara non equa, non giuridica la nor· ma che prevede pene per i membri del governo fascista e i· ge- rarchi del fascismo sino al 25 luglio 1943. Ed ecco la sostanza del suo ragionamento. Dopo avere premesso che i lutt( sparsi sul corpo della Patria giustificano il comune sentire sulla neces– sità che i loro autori ricevano pena esemplare, lo )emolo cosi continua: « Mi duole veder accedere a un tal modo di sentire alcuni di coloro la cui funzione sociale sta proprio nel resistere all'uomo della strada. E che debbono pur sapere che non si• com– pensa il dolore con altro dolore; eh~ alle colpe fanno _riscontro diversi ordini di saozioui, quelle politiche, quelle morali, quelle giuridiche, ed in seno a queste ultime le penali, le civili, le am· ministrative; che secoli di pensiero hanno stabilito quando si do– vesse applicare l'una o l'altra categoria di sanzioni; che il po• tere di applicare le sanzioni penali è sempre apparso il più de– licato e quello che doveva venir circondato da maggiori cautele, e che da secoli queste cautele ~i sono tradotte in regole, la cui osservanza inalterabile è per ogni uomo garanzia di libertà, si– curezza da arbitrii. La principale di queste regole, t:rasmessaci dai nostri avi e proavi come criterio indiscusso, inderogabile, posto a base ciel potere di punire dello Stato si traduce nella formula: - non può essere punito con sanzione penale se non il fatto che la legge del tempo in cui venne commesso conside– rava come reato, e colpiva con quella sanzione». Non so se Jemolo considererà tradimento della suà opinione, così nobilmente espressa, il trapasso che io ne vorrei operare dal campo strettamente giuridico a quello civile e morale, dove mi pare che debba essere nellameote affermato il principio per cui i valori della civiltà debbono essere àpplicati anche a co• • loro che li negarono, che la superiorità di un metodo politico e di uno stile umano non può essere abbandonato nemmeno di fronte all'ostacolo più grave, che è quello di farne partecipi coloro che lo contraddissero. Dall'altra parte sta Calamandrei, il più acuto forse dei no· stri giuristi attuali e animo aperto ad ogni sensibilità di bellezza e di giustizia. Calamandtei ha già manifestato la sua opinione contraria a quella dello )emolo irr tre articoli pubblicati òell'ago– sto 1944 sulle colonne dell' « Italia Libera » di Roma, che pur– troppo non ci è stato possibile rintracciare. Tuttavia dalla pole– mica che qqi riportiamo appare che in quegli articoli Calaman– drei ha sostenuto la tesi che il governo fascista durante il ven• tenoio sarebbe stato un semplice esercizio di potere « di fatto » le cui azioni dovrebbero essere giudicate alla stessa stregua di quelle compiute dal così detto governo repubblicano fascista dopo 1'8 settembre 1943. Ma su questo particolare argomento mi pare che la obiezione dello )emolo sia veramente insuperabile, e cioè che « la tesi del governo di fatto dovrebbe essere fatta proprio da quel governo che emana le norme sulle sanzioni con• tro il fascismo », e che di questa intenzione nulla trafpare non solo, ma è esatto perfettamente il contrario, se è vero - come è vero - che quasi tutta la nostra vita attuale è retta ancora dalla legisla– zione fascista, ricevuta e fatta prop'ria come regolarissima norma di diritto dai governi che si sono succeduti. Calamandrei sente tutto il peso della replica e - mentre si ripromette di tornare con maggior agio sull'argomento - arricchisce la discussione di tre altri ordinj di considerazioni: la pdma è che il principio della irretroattività del.la legge penale, per augusta che sia, deve cedere di fronte alla primordiale esigenza di impediIC che i cittadini si facciano giustizia da sè. « E quando la tensione politica è tale che senza l'intervento dello stato le vendette in– dividuali dilagherebbero nella guerra civile, si può pensare che anche il dogma della retroattività della legge penale debba per fo!'Zllpa;sare in seconda linea »; la seconda è che la « rottura vio- lenta dell'ordine costituzionale commessa da chì instaurò in Italia il fascismo era, anche sotto l'aspetto legalitario, un gravissimo reato secondo le leggi eh quel tempo»; la terza afferma che « il principio dell'irretroattività della legge penale deve valere nel– l'interno dell'ordinamento giuridico iu cui è scritto, ma non può essere invocato senza contraddizione a difesa di chi ha respinto e distrutto quell'ordinamento, e se ne i, messo fuori da ,è». Ci perdoni l'illustre maestro dell'Ateneo fiorentino se rite– niamo cqe nessuno dei nuo~ sottili argomenti 'da lui addotti ci sembra possano ouperare la posizione dello Jemolo. Non ti primo, che è argomento di carattere strumentale, u1 mera op– portunità politica, fuor d'ogni cnteno giuricllco e m<_>rale;11 secondo ha non solo bisogno di una dimostrazione ma - qua– lora riuscisse - condurrebbe dritti alla conclus10ne che ogrn rivoluzione è reato e- ci riporterebbe a quel facile scetticismo giuriclico che tra il Campidoglio e la galera non trova nltrn dilterente valutazione che la tortuna o meno del tentativo in– surrezionale. Non è nuovo nella storia il caso di uomini che, vittoriosi per un certo tempo, hanno poi soggiaciuto alla ri, scossa degli . avversari. Nuova è - crediamo - la pretesa di giudicare la loro primitiva vittoria non col metro della politica, ma col metro det diritto. L'ultimo argomento avrebbe bisogno - mi sembra - di una maggiore stesura e di una più a1npia chiariticazione; cosi com'è, 1111 pare conduca all assurdo di ne– gare in ogni caso il principio della irretroallivilà della legge pe– nale e persino la applicazione di ogni garanzia predisposta a favore dell'imputato, perchè chi viola per reato comune la legge, si pone )?er ciò stesso fuori dell'ordmamento gmridico e non potrebbe quindi invocare nessuna norma scritta nel suo interesse da,quell'ordinamento giuridico che si è violato. Conclusione? Ardua e dlflicilissima appare una condus1one perchè troppo il sentimento si ribella alla ragione; per con:;en– urn con Jemolo dobbiamo aggrapparci alla constatazione che la rN-gione è civiltà, e il senlimeulo, rroppe volte, non è che ritorno puro e semplice alla volontà del più tori~ Praticamente io penso che, essendo stato il veutennio fascista una spettacolare mescolanza di atlività pnliuca e di attività crÌJJJ<· nosa secondo la legge comune (ed è appunto per questo, e non soltanto per la torma dittatoriale della sua poillica, che ha su– scitato intorno a sè tanti odi e tanti sdegni), la semplice appli– cazione del Codice penale vigente all'epoca dei fatti - e cioé quello fascista con le sue pene pesanti - sarebbe stato sulfi– c1eote a colpire tutti i grossi e piccoh gerarchi del regime. Per il resto i partigiani del Nord hanno dimostrato come si liqui– dano, in fase insurrezionale, gli avversari più giustamente odt_\lti, Ma quando si vuol fare ciel diritto, allora bisogna farlo fino in fondo. il diritto è cosa troppo solenne ed augusfa perché si possa storce.ie secondo le passioni di parte, anche di quelle che a noi sono più care. E quella della irretroattività della legge penale è tale norma, si contonde in modo così indissolubile con ogni più alto valore della nostra civiltà, che non si può infrangerla senza che tutto il mondo morale collettivo dia segno di grave turbamento. Ed è q._uantoavviene. m. p. LA NUOVA EUROPA SETTJ.M.LJ \ '4.LE DI POLJ.T.LC.4. E LETTERA:l'URLI. Direttore: LUIGI SALVATORELLl. Reda11ore Capo: MARIO VINCIGUERRA. Redattori: GUIDO DE RUGGIERO, UMBERTO MORRA, PIETRO PANCRAZI. Segretario di Redazione: ALBERTO PICCONE STEI:.LA. Direzione - Redazione - Amministrazione ROM A . CORSO UMBERTO I, 47

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