Lo Stato Moderno - anno II - n.16 - 20 settembre 1945

206 LO STATO MODERNO mandato. Pareva perciò che ci si dovesse rassegnare alla col– laborazione, non con spirito di compromesso, ma pel diritto di controllare la cosa pubblica, perchè la situazione escludeva ogni scrupolo di vecchfa pregiudiziale mazziniana poggiante sul valore dei plebisciti. Inoltre la nostra assenza minacciava d'essere colmata colla partecipazione dei democratici-liberali, come si chiamavano i monarchici del Mezzogiorno. Furono giorni amari. Per la collaborazione io avevo un disgusto quasi fisico,.ma l'incubo di nuovi errori aventiniani irrimediabili mi angustiava .. E questo era il sentimento di quanti si adat– tarono all'ingresso al"governo. Per un difetto congenito d~l nostro partito, dove· spesso si discute quando· si deve decidere e si decide a insaputa di tutti e non si sa -da chi quando si dovrebbe discutere, il di– battito durò tre giorni continui, mentre gli altri partiti si da– vano da fare per costituire il ministero. Erano entrati in quei giorni nel partito Alberto Tarchiani e Alberto Cianca: Il primo era un po' amaro e scettico ma si dichiarava per la partecipa– zione; l'altro era risolutamente COl\trario. Alla fine si deliberò con un solo voto di maggioranza nel Centro Meridionale la partecipazione. Il nuovo .minis.tero si era, intanto andato organizzando. Meglio di tutto sarebbe stato se il Croce avesse assunto lui la presidenza, limitando il Badoglio agli esteri, riserbandosi alle grandi questioni in cui l'Italia avesse avuto bisogno di con– trapporre un nome mondiale a quelli dei grandi capi stra– nieri, e lasciando, cosa non insolita nei regimi costituzio– nali d'Inghilterra e d'Italia, il disbrigo di molte faccende ad un ministro factutum, come il Canning con lord Liverpool o il Cavour col cf Azeglio. Ma il Croce protestò altissimamente contro questa suggestione dicendo di non aver le doti neces– sarie a un primo ministro, e andò mostrando una sempre più decisa simpatia per il Badoglio, che a parer suo aveva tutte le qualità per guidare il ministero. A questo punto il Croce e lo Sforza cominciarono a divergere: forse perchè diventava evi– dente la complicazione di politica estera che il nome del conte Sforza includeva. Il nome del Badoglio destava in tutti non lievi preoccupazioni per il peso del suo passato, e per la scaltrezza che gli veniva attribuita. Tuttavia, debbo dire, il contegno del Badoglio fu in quel ministero molto corretto, salvo il caso delle dimissioni date senza consultare il Con– siglio: cosa di cui egli, continuando una prassi mussoliniana, diede l'esempio al suo successore. Entrai nel ministero col Tarchia11i, la testa più politicamente quadr.a e l'anima più schietta che abbia conosciuto in quei giorni. Il nostro compito ci si definì chiaramente: controllarn la politi6a del ministero e cercare di mostrare che anche il P. d'A. aveva doti costruttive oltre quelle agitatorie di cui ci si faceva una colpa. Per prima cosa volemmo determinare lo spirito con cui noi eravamo entrati nel ministero. A proposito della formula del giuramento richiedemmo ed •ottenemmo una dichiara– zione da leggere dinanzi al re con la quale si chiariva che non rinunciavamo all'idea repubblicana: era la prima volta che il compito di ministro non significava un'abiura del repub– blicanesimo. In una saletta del vescovato di Ravello la for– mula fu letta dal Badoglio presente Vittorio Emanuele III. Poi il Tarch.iani per il ministero dei Lavori Pubblici, io per quello dell'Isu;uzione ci demmo da fare il possibile, quando tutto pareva condarmarci ad assistere impotenti ai mali del paese. Avevamo il controllo alleato per ogni spesa superiore alle 500.000 lire; il più semplice trasferimento d'impiegati era con– trollato e criticato dai commissari locali alleati che spesso non erano molto cauti· nello scegliersi i consulenti locali, talora gli stessi gerarchi fascisti camuffati; perchè nella grande miseria del paese solo gli ex-fascisti potevano fare <lecorosamente gli onori di casa. Le grosse questioni urtavano contro decisioni che avevàno il rigore di disposizioni militari. Aci esempio, per la questione del grano il Consiglio era dell'opinione, per com– battere il mercato nero, di pagarlo a 1600 lire ai produttori. Pel ,timore dell'inflazione la Commissione alleata tenne fermo al_prezzo di 900-1000. Poteva avere ragione, ma oltre il veto non suggerì provvedimento alcuno. Così pure, pel timoré del– !' inflazione, la Commissione si oppose ad ogni miglioramento negli stipendi degli in1piegati, e il governare con uffici cli fortuna, con impiegati mal pagati e demoralizzati diventava un'impresa quasi disperata. Gli altri mezzi di governo erano scarsissimi. Per tutti i cinquanta giorni del ministero tribolai invano per ottenere quattro automezzi che mi consentissero d'inviare in tutte le direzioni ispettori che mi controllassero le scuole e i monumenti. Per mia fortuna come rettore io a·vevo fatto la mia pratica con gli alleati, conoscevo le loro idee e i loro metodi e godevo " presso di loro upa buona opinione, sicchè nel tempestosissimo campo -della scuola ebbi l'incondizionato aiuto del tenente colonnello ~mith, mio collega di Chicago e perfetto genti– luomo, e quello di tutti gli altri ufficiali della Sottoc!ommissione clell'educazione. Non so dire se tutti gli altri miei colleghi siano stati ugualmente fortunati. Mi trovai dinanzi al problema della gioventù di guerra che andava (e va) diventando un grave pericolo nazionale. Gio– vani abbandonati e trascurati dalle famiglie, dediti ad attività di fortu;1a, corrotti dal mercato nero e da tutte le losche ma– novre connesse, invadevano le scuole e le università con una inflazione rovinosa per l'unico titolo che noi ancora possediamo Tra le nazioni civili, d'essere cioè un popolo d'antica e alta cul– tura. Con la scusa della difficoltà di comunicazioni ogni città del Mezzogiorno mi chiedeva -l'istituzione di un'università, per– sino Reggio Calabria che aveva Messina di fronte oltre lo stretto. Le scuole medie affidate sempre ai vecchi presidi e ai vecchi provveditori, creature del regime fascista, non funzio– navano quasi affatto. Feci C0!1 cautela, ma co,n risolutezza in– sieme, i primi passi per ridare serietà alle scuole, e rieducare la giovent~ con l'unico mezzo efficace, il lavoro. Annunziai per i) nuovo anno J' abolizione di scuole superiori fantasma create -dal mio predecessore, richiamai presidi e professori al loro dovere, e diedi le prime disposizioni per ricostituire l'e– same di stato che venticinque anni fa fu il cavallo di batta– glia dei democratici-cristiani. Naturalmente tutto ciò offerse ai bassifondi dei diversi partiti il destro di mettere in agita– •zione le scuole e di servirsi di quella massa di manovra che il fascismo aveva usato per condurci al 10 giugno 1940. La cosa era tanto più facile in quanto avevo assunto anèhe l'epu– razione della burocrazia e avevo contro tutti gli strumenti ciel fascismo. Benchè i muri di quasi tutte le_città si copris– sero d'iscrizioni ingiuriose al mio riguardo e dinanzi alle scuole avvenissero schiamazzi, tenni fermo. Richiamai al loro dovere presidi e provveditori, e dopo pochi !iorni gli studenti torna– rono a scuola a prepararsi agli esami. Se il risultato di questa lotta vinta andò disperso non è colpa mia, ma -di chi subentrò, che non ebbe il coraggio cli continuare per quella che era la via necessaria per il recupero e la salvazione de:Ja nuovlf gio– ventù. Fuori dagli affari del particolare dicastero, diversi gravi pro-– blemi si presentarono durante i cinquanta giorni. In primo luogo l'intervista che il principe di Piemonte concesse al Times, avanzando la nobile idea che invece di lasciare governare i sei partiti, sarebbe st;to meglio che ci avesse amministrato la Com– missione alleata o un governo militare italiano. In Consiglio dei ministri il Croce rivendicò il diritto oi rispondergli come pubb:icista, e gli diede sul giornale una memorabile lezione; il Consiglio votò una secca deplorazione, il Tarchiani cominciò

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