Lo Stato Moderno - anno II - n.16 - 20 settembre 1945

222 to di ferocia hanno spinto a crudeltà e violenze che tutti ricordano e che noi avremmo voluto fossero prerogativa esclusiva degli uomini contro i quali avevamo combattuto. Passata la buria– na della giustizia sti.,adale, la ferocia si è tradotta in leggi ed ancor vive nelle parole e negli scritti, cosi che gli spiriti e civili • si · chiedono preoccu– pati se quel passato in cui pene e ca– stighi si eran fatti umani, e quindi ap– plicabili, sia irrimediabilmente trascoi,.. so e se i giudici debbano ancora a lun– go violare le leggi di un tempo feroce per non dover contraddire alla loro co– scienza. Ecco la protesta e l'appello di Achille Battaglla. Si trascurano gli insegnamenti di due secoli, si mettono da parte tutti i libri di sociologia e dU criminoLogta, tutte le fatiche e le esperienze scien– tifiche di due scuole, e si torna ad agi– re con un semplicismo quasi medio– evale. Cresce la delinquenza? Si ac– cresca il castigo! I delitti di rapina divengono più numerosi? Si ripristini la pena di morte! Le indagini polizie– sche non giungono ·a risultati imme– diati? Si ripristini... !'interrogatorio di terzo grado e la tortura! (Non scrivia– mo a caso: purtroppo, anche su que– st'ultimo punto s! è andato accenfaan– clo un deplorevole sistema, gid noto agli imputati di delitti politici durante il fascismo, e c'è rischio di giungere ad una regolamentazione ufficiale di esso!). Questa grossolana ingenuitd, e quella di chi pensa che bastino due articoli di legge per risolvere problemi sociali di est.-ema comp!essitd, sono causa dell'an– dazzo attuale verso le pene esorbitanti e crudeli che non solo non facilitano, ma ostacolano, la prevenzione generale e speciale def delitto. Per fornire un solo esempio, di quanto andiamo scri– vendo, diremo che in seguito all'ultimo decreto 10 maggio 1945, il furto di due galline in un pollaio, commesso di not– te e con effrazione, è divenuto di com– petenza della Corte d'Assise! Ciò basta a togliere ogni efficacia di prevenzione generale alla péna che, a tale scopo, dovrebbe seguire immediatamente il delitto. Si aggiunga che per un reato di questo genere Si dovrebbe commi– nare una pena enorme, tra i quattro ed i venti anni di reclusione: e non si tror,erd mai un giudice coscienzioso che non senta il bisogno di compiere ogni sforzo · per eludere e violare la legge, evitando una pena sproporzionata al delitto, e, qu~l che più conta, assai spesso all'imputato. Ora, si deve chiedere ai nostri gover– nanti il ritorno ad una legislazione che abbandOni gli inutili rigori e le inutili crudeltd, e riprenda le vie tracciate dal pensieri> scientifico moderno in tema di pre,penzione sociale. Si tratta di dar mano ad una grande opera di bonifica umana: ec! anche la Legge, entro stretti limiti, può aiutarci. Ma più assai deb– bono aiutare i partiti, la stampa, i cit- LO STATO MODERNO tadini singoli. Bisogna us'cire qÙanto più presto possibile dal tono di incivile ferocia in cui è precipitato il paese, o sard troppo tardi. Collegiregionali (L'Italia Libera, 13 settembre 1945) Tl?niamo · a segnalare le considera– zioni svolte da Agostino Zanon a fa– vore dei collegi regionali, di cui questa rivista si è già latta sostenitrice nei Lineamenti Programmatici per i! Par– tito d'Azione; particolarmente degna dt attenzione ci sembra l'osservazione del– l'accresciuta coscienza regionale degli Italiani del Nord in relazione all'attività partigiana organizzata appunto sulla base della regione. Nel sistema proporzionale invece il collegio può essere di varia ampiezza; può essere p. es. nazionale, .-egionale, provinciale. La scetta, praticamente, è fra questi tre termini ed è problema tecnico e politico insieme. Il collegio nazionale sa.-ebbe troppo vasto e porrebbe ogni elettore di fronte a Uste di candidati quasi tutti a lui ignoti (abbiamo. detto che il problema degli uomini deve passare in seconda linea, ma non ne deriva che sia proprio da trascurare completamente): darebbe un potere grandissimo aUe direzioni nazionali dei partiti rendendole arbi– tre quasi assolute della formazione delle liste proprio in un momento nel quale i partiti sono pieni di -uomini nuovi a mala pena conosciuti nell'am– bito regionale; sarebbe un sistema ac– centratore contrario all'indirizzo at– tuale della coscienza politica · italiana ch'è quasi tutta per il decffitramento. I collegi provinciali sarebbero troppo piccoli e si baserebbero su di un ent~ artificia,le, non sentito dal popolo: che tale è la provincia. Il popolo sente, se mai, l,a regione. Il collegio regionale; ecco La via di mezzo che Questa volta ci pare anche la via giusta. Non troppo piccolo per lasciar prevalere modesti interessi lo– cali nell'elezione di un'assemblea ch'è nazionale e sard decisiva nella vita della nazione; non troppo vasto da non far sentire i punti di vista e i legittimi interessi dell,a periferia nelle liste che i singoli partiti formeranno, esso si basa su di un organismo, la regione, che non è creazione artificiale come la provincia, ma è parte viva della tradi– zione e, quel ,che più importa, della at– tuale coscienza politica italiana. Insistiamo su quest'ultimo motivo; è il motivo più serio e profondo fra quelli che ci possono spingere a soste– ner La regione al posto della nazione o della provincia; il sentimento regionale ha avuto tra il '44 e il '45 und grande ripresa neUa coscienza politica italia– na, e tale ripresa è legata alla paTte che la regione ebbe nel movimento della resistenza. li problemadei reduci (L'Italia Libe.-a, 15 settembre 1945) Siamo in un periodo in cui è facile lasciarsi prender la mano dalla dema– gogia; d sembra quindi dovere di se– rietà e di onestà affrontare il problema dei reduci senza ricorrere a promesse che il Paese non potrebbe in nessun modo ·mantenere. E' quanto mostra ap– punto di fare A'ldo Garosci in un suo recènte articolo. · " Anzitutto, si deve mettere bene in chiaro, che quel che l'Italia deve ai suoi reduci, al di Id dell'assistenza im– mediata, non è un impossibile risarci– mento. Il nostro paese esce dalla guer– ra in tali condizioni che nessuno ri– sarcird mai i danni fattigli. Nessuno ripristinerd le opere d'arte distrutte, le vite spezzate, le famigliè disperse. Nes– suno rifard dell'Italia, nell'equilibrio mondiale, la potenza che usci daUa guerra del 1914-18. Bisogna avere il coraggio di" .dire che non vogliamo ri– costruire L'Italia, nè nel campo del la– voro, nè in quello politico, nè in queUo -internazionale quale essa era nel 1918 'O ne,! 1939. Anche a chi pareva bella, anche a chi non pensa ai germi di di– struzione che portava in sè, dovrebbe ormai chiaramente imporsi il fatto che essa non tornerà più. Bisogna avere il coraggio di dire chiaramente che non Titroveremo le nostre case, la nostra vita, quali e3se erano prima della guerra; nè i reduci, nè nessun ii1tro, neppure quelli che credono di aver salvaguardata la loro piccola felicità privata. Quel che l'Italia deve ai suoi reduci è una possibilità effettiva di lavorare, e duramente lavorare; è la certezza che non ci sono ~ posti » privilegiati per quelli che stavano a casa, che a loro ·saranno chiusi. Se c'è da esser disoc– cupati, non' è giusto che siano i Teduci a esserlo. La politica di ripresa eco– nomica, di ripresa della produzione, di distruzione dei monopoli costituiti, di grandi lavori, è la vera politica dei reduci. Non si tratta di imporre cin– quanta reduci di più a fabbriche che lavorano in perdi(a. Bisogna avere il coraggio di spezzare i grandi complessi monopolistici creati per la guerra dal fascismo, di rendere libertd di inizia– tiva, nel quadro deLle leggi sociali, a tutti. Solo così chi torna tra noi e non può essere aiutato, saprd e potrd aiu– tarsi da sè. Naturalmente, una politica sociale di questo genere può essere svolta solo in .-elazione a una certa politica generale. Se la politica generale non avesse gli svolgimenti progress4vi che ormai re– clama, se non si giungesse alla Costi– tuente e alla Repubb!icà., sarebbe im– possibile una politica di ri~resa. SERAFICU8

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