Lo Stato Moderno - anno II - n.16 - 20 settembre 1945

• LO STATO MODERNO 213 DAL PROCESSO ·DJ RIOM • A.L PROCESSO PETAIN 3. - Il colpo di Stato Reynaud era stato vinto dalle forze coalizzate contro di lui, ma diversissime tra loro che avversavano il proseguimento della guerra: i conservatori e i filofascisti. Correnti che, per dar loro nomi personali", potremmo chiamare dal nome dei loro esponenti più in vista: Pétain e Weygand da un lato, Lavai dall'altro. Entrambi temevano una vittoria che potesse risolversi io un trionfo della democrazia; i primi per amore di uno stato monarchico conservatore, i se.condi perché par– tigiani delle dittature totalitarie. Nazionalisti e antitedeschi i primi, filofascisti e filonazisti i secondi. Pétain portava con sè tutto il peso di un glorioso passato: Verdun, la vittoria del 1918, la Francia guerriera, morale, cattolica e s:111a pare– vano rappresentate e riassunte in -quel nome e l'aureolavano di un nimbo di gloria e di speranza. Lavai non aveva per lui niente Jli simile. Venuto dal nulla, si sapeva che con ogni arte era riuscito 2d ammassare un enorme patrimonio: terre, case, industrie, alberghi, giornali gli appartenevano. Politica– mente aveva peregrinato attraverso tutti i partiti dall'estrema sinistra ali'estrema destra fascista. Pochi_uomini politici, nella più corrotta vita politica francese, godevano di più sfavore– vole nomea. Non era nè popolare, nè simpatico. Rotto però al giuoco politico, sepP,e abilmente servirsi del!'eterogeneo compagno che la ·sorte gli offriva e avanzare facendosi scudo del nome del maresciallo. Pétain, formato la sera del 17 giugno 1940 un ministero d'_aspetto composito, iniziò la 11ottestessa le pratiche che do– vevano portare all'armistizio. Alle dodici e trenta del 18 leg– geva alla radio il messaggio che tutto il mondo ascoltò con il nodo a,lla gola: « Faccio dono alla Francia della mia per– sona... ». Lavai era stato escluso dal nuovo gabinetto per un ultimo riguardo verso l'alleata Gran Bretagna, dato l'atteg– giamento troppo apertamente ostile che aveva sempre avuto nei suoi confronti. Ma egli era tuttavia al lavoro dietro le quinte. • Defenestrato Reynaud, altri rimanevano che avevano con– diviso e sostenevano ancora il suo punto di vista. Lebrun, presidente della Repubblfoa, Jeannenay, presidente del Senato, Herriot, presidente della Camera - le tre più alte autorità dello stato - erano dell'avviso che il governo dovesse lasciare il suolo metropolitano e cercar -rifugio oltremare, ne!l'impero. « A Bordeaux, in Francia, sotto la pressione nemica, il go– verno non può avere la libertà di liberamente discutere e decidere», affermavano. Pétain, dal canto suo, aveva invece dichiarato a « Io resto ;_ « Rimasto sulla banchina, dalla quale· avrebbe vedute scomparire all'orizzonte le navi su cui s'al– lontanavano gli esiliati, il maresciallo Pétain sarebbe rimasto certamente circondato dal più profondo rispetto, ma, solo, non avrebbe potuto nè di diritto nè di fatto rappresentare il Go– ve·rno francese, che, al di là del mare, sotto la pressione dei tre più alti personaggi della Repubblica, della Gran Bretagna e di un'opinione pubblica locale non aggiornata, avrebbe ri– fiutato l'armistizio... Così, grazie a questa scappatoia, i tre presidenti sarebbero giunti al risultato sperato: il prosegui– mento della guerra, politica sconfessata dalle maggioranze del gabinetto Reynaud » (Jean Montigny, Toute la vérité sur un mois dramatique de notre histoire, 1940, p. 17). Montigny, è béne avvertirlo, fu l'uomo di fidµcia di Lavai e suo porta– voce autorizzato. Il voto del passato ministero serviva a dar una veste legale, m\ la ragione vera del!'opposizione era nella deliberata volontà di approfittare dell'occasione per compfore un colpo di stato che, vagheggiato éla tempo, abbozzato nel 1936, si riteneva ormai avesse per sè ogni probabilità di successo. In un'aU:a scolastica, in Rue ·Anatole France a Bordeaux, wia parte dei parlamentari incerti si riùni\'a a discutere. Gli altri, viste le prime luci della nuova aurora dell'astro Lavai risorgente, si avviavano verso la casa del sindaco Marquet, dove in un piccolo salotto Lavai li riceveva e dispensava in– coraggiamen·ti, dava indirizzi, raddrizzava le idee, impartiva ordini. Egli è il vero cleus ex machina. Pétain agisce dietro suo consiglio; i parlamentari si incanalano sulla via eh' egli traccia, Lebrun cade (non perché non capisca, ma perchè non sa prendere una decisione) nella trappola eh' egli gli tende. Già fin dal 18 Lebrun dichiara al marescial;o: « Credo mio dovere di recarmi in Aìgeria e, poiché lei non vuole accom– pagnarmi, vi formerò un altro Governo». « Che valore avrà?> - ribatte Pétain. Ma Alibert. -i;ottosegretario alla presidenza, interviene « forçant un peu l' optimisme » (Montigny): « Per ché· tanta fretta? I nostri aviatori dichiarano che non c'è an– cora nessuna infiltrazione tedesca sulla riva sinistra della Loira». Alle 14 del giorno 20 Lebrun telefona ad Alibert: « I tedeschi avanzano. Non è più possibile procrastinare. La mia macchina è pronta. Parto per Port-Voodres, un caccia mi porterà in Algeria». Dall'altro capo del filo: « Aspetti, signor Presidente, alle 17 potrà a,·ere nuovi dati ». Alle 17 un ordine del presidente del consiglio vieta a tutti i minjstri di lasciare Bordeaux prima delle 8 del giorno seguente. La disposizione colpisce i be presid~nti e i ministri che li volevano seguire. Alle undici del 21 due delegazioni di lavaliani si mettono in moto, l'wm si reca da Jeanneney e Herriot per invitarli a desistere dal!'opera di persuasione che stanno compiendo su Lebrun, mentre l'altra, capitanata da Pierre Lavai, va dal Pre– sidente deJ:a Repubblica. « Perchè siamo venuti? - egli dice. - Per discutere il vostro progetto di partenza; per elevare una protesta contro di esso; per scongiurarvi di non tradurlo in atto». Nè esita a pronunciare le parole « defezione :o· e «tradimento». Vacillante, incerto, ma cocciuto, Lebrun non s'era 11ncora arreso. Il ministero, egli lo sapeva, era in mag– gioranza d'accordo con lui. A quello dunque l'ultima parola. Il 23 una seduta di gabinetto l'avrebbe pronunciata. Ma il 22 Pétain minaccia di dimettersi se il Presidente insiste nel negare· - come fa per la prima volta da chi!' è in carica - di firmare due decreti che nominano ministri Lavai e Mar– quet.' E' la capitolazione. li governo non abbandonerà il suolo france~. Lavai conseguì cosi la seconda vittoria. Allontanato Reynaud, impedita la partenza del Governo verso l'Africa del Nord, conveniva- ora dare l'assalto alle isti– tuzioni. Lavai ragionava così: « i dirigenti francesi nel corso degli ultimi anni avevano imprudentemente trasformato prima i conflitti latenti in Europa, poi la guerra, in una crociata ideologica. Avevano legato la causa della democrazia alla pre– sunta vittoria della Gran Bretagna e della Francia; soprag– giunta la sconfitta, la democrazia è battuta: dunque deve pagare» (Montigny, p. 54). Ma Lavai era troppo abile poli– tico per affidarsi al potere suasivo di così specioso ragiona– mento. L'opposizione· era ancor forte: primo compito doveva essere quello di disgregarla. Si assistette così al fatto stranis-

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