Lo Stato Moderno - anno II - n.12 - 20 luglio 1945

LO STATO MODERNO· - !O LUGLIO 190 123 sovente Imprigionando editori e com– pilatori, Indisturbata e puntuale appa– riva la Critica, dove non mancavano at– tacchi agli scritti pubblicati nelle ras– segne soppresse di fresco. La dittatura filosofica e letteraria che Croce aveva instaurato intorno al 1910 e mantenuta, a dispetto dell'eresia gentiliana, anche in pieno fascismo, proseguiva trionfale. La sua natura di conservatore meri– dionale si era rivelata con la restaura– zione del crocifisso nelle scu.ole e la teoria della religione come introduzione alla filosofia Idealistica. Il suo nazio– nalismo salandrino era evidente. Co– sicchè, davanti al montage radiofonico londinese, restammo assai perplessi e fu con vera gioia che leggemmo poi come UR giornalista sovietico, che for– se 1'icordava quanto calunniosamente croce aveva scritto del pensiero russo (cfr. Boris Jacovenko, Ftlosofi rus– si, Roma, 1927, pr~xione; e l' ap– pendice sul « Ma.rxinno teorico in Ita– lia • che segue la ristampa del La– briola, La concezione materialistica nella storia, e che è del 1937) con ra– pido e sbrigativo giudizio avesse ricol– locato Croce al suo posto, in biblioteca fra le curiosità napoletane, so.stenendo che di politica egli non capiva niente. Tuttavia la sensazione che Il partito li– berale Italiano fosse Croce persisteva: la gazzarra del « vaccariello » Cione, screditò maestro e discepolo, ma non impedi che altri alunni, da buoni pro– fessori Idealisti e crociani, tirassero a compromettere 11partito liberale in una questione di setta filosofica, e che or– gani liberali ancor oggi continuino a inchinare Croce caposcuola, e ponte– fice massimo del liberalismo nostrano. In realtà, se c'era - dopo Cavour, unico maestro - da ricreare una tra– dizione, e da scegliere un nume tute– lare, bisognava lasciar da parte Croce e la sua filosofia, ed eleggere a capo– stipite Giolitti. Quest'ultimo, a quanto mi raccontava Luigi Ambrosini, non ft. - almeno fino al Congresso di Livorno - mai Iscritto al partito liberale (che in provincia si chiamava Unione Li– berale Monarchica Umberto I) ma solo gli stolti possono negare che Giolitti sia stata la figura di primo piano della nascente democrazia liberale del Nove– cento. Gli nocque in Italia, dove I capi partito erano intinti di letteratura, o almeno di oratoria e di retorica, la mancanza di « bello stile», ma le Me– morie ch'egli dettò al Malagodi sono un piccolo testo classico di avveduta politica e di saggia amministrazione, e reggono, per la chiarezza e la nudità della pagina, inolti raffronti. Nè si può dire che la popolarità, davvero assai larga e diffusa, di Giolitti, fosse esclu– sivamente piemontese: un mio amico di Abruzzo ricorda che i ,paesani suoi, che dovettero a Giolitti strade e fer– rovie, ne salutavano il nome. La parte più riflessiva e di tendenze ammini– strative anzichè ideologico-speculative, dei centromeridionali, fu tosto giolit- tiana, ed era ra media e piccola bor– ghesia che oggi costituisce le «masse» del nuovo partito liberale. Anche al– lora restaron<1 antigiolittiani i gruppi conservatori del Nord che, con Ettore Jannl, vede~ano in Giolitti il « bolsce– vico dell'Annunziata»; e la frazione rivoluzionaria del socialismo. A parte, alleati infidi e sovente nemici aperti, i clericali a cui davà ombra il suo spi– rito laico e positivo, e quel sentirlo amico del popolo prima di ogni altra cosa. Nel dopoguerra, Giolitti stanco e in– vecchiato, fu inferiore alla prova, e il colpo di Stato del 1915 già aveva mo– strato i limiti delle sue possibilità: per giocare nazionalisti e fascisti, gli sa– rebbe occorsa una collaborazione so– cialista che, correndo al suicidio e ca– strandosi con le sue stesse mani, il P. S. I. con cieca ostinazione gli negò. Le curiose simpatie che letterati come Lo– renzo Montano, Filippo Burzio e Bene– detto Croce gli concessero, erano segno ch'egli entrava ormai nella storia, os– sia usciva dalla realtà ·politica, che si chiamava nazionalfascismo. La tradi– zione della « pratica • liberale si spe– gneva col ministero del 1920, e non fe– licemente; quanto alla dottrina, che è eterna, la Rivoluzione liberale di Piero Gobetti costituiva un primo tentativo di aggiornamento. Intorno al foglio to– rinese coesistettero il conservatorismo pittoresco di Giovanni Ansaldo, che sperimentava I colori di una tavolozza ch'egli doveva poi me\tere al servizio di Arnaldo e Benito Mussolini e della famiglia Ciano; e quello lucidamente giuridico di Manlio Brosio; le tendenze federaliste e socialiste donde sboccerà il « partito d'azione •; una vena di nit– tismo, di P.P.I. e di comunismo. C'e– rano, a quella tavola rotonda, che ebbe i suoi cavalieri e i suoi felloni negli annal! duri della resistenza ventennale, tutti gli elementi per una ripresa e discussione della dottrina e del meto– do. Nessun bisogno dunque di pigliar lumi a Napoli. Senonchè, Giolitti e Gobetti scom– parsi, Benedetto Croce viveva e pro– sperava. Le Memorie, dal 1922 al 1932 erano state malamente- vendute, e nep– pur ristampate, e ci volle la mia andata alla condlrezione della Casa editrice Fratelli Treves perchè si facessero I rendiconti di un libro dimenticato dal pubblico e dagli stampatori. Il ricordo di Piero Gobetti era stato difeso più a lungo dalla intrepida tenacia della si– gnora· Ada e di pochi amici, ma i vo– lumi delle opere erano pubblicazioni « pericolose » nel caso, ahimè frequente, di perquisizioni. Qual meraviglia dun– que che Croce, liberale per picca al fascista Gentile, e sviluppo delle sue idee filosofiche, occup3sse tosto tutto l'orizzonte del neo-partito? La giovane generazione, che di Giolitti aveva va– ghe, stravolte e calunniose nozioni, che di Gobetti non aveva vissuto l'esperien– za, trovò sottomano solo la molto me- ·diocre « Storia • di De Ruggiero e quelle crociane, e credette in buona fede che il liberalismo cominciasse e finisse ll, con la fi lo.sofia idealistica. Durante i quarantacinque giorni di Badoglio, le acque si mossero, e si cominciò a capire che la cosa era assai più complessa. In Piemonte, ricompar– ve la nota Iétteraria di Burzio, ma la vecchia schiera glolittlana di Solerl, Frassatl, ecc. riebbe il suo posto al sole, e f uonorata: Luigi Einaudi (aH'estrema destra del partito com'era stata sempre la corrente albertiniana) riallacciò una tradizione che la morte di Francesco Ruffini aveva minacciato di interrom-' pere. Dopo 1'8 settembre 1943 ebbimo la lieta sorpresa di rivedere, in seggio ministeriale, Manlio Brosio. La polariz– zazione crociana era evitata, e presto gli eventi politici rimandarono il filo– sofo alla sua filosofia. Queste vicende hanno avuto notevoli ripercussioni nella gestazione e nello sviluppo del rinato partito liberale. Non è fare oltraggio ad alcuno il rico– noscere che gl! manca l'uomo unico, iiappresentativo, che era ieri Giolitti, e che oggi ha li partito comunista in To– gliatti. VI sono due o tre readers della vecchia generazione, e uno almeno della nuova, ma ciò è fonte di diversità di vedute, e di una condotta poco omoge– nea (analogo problema nel partito d'a– zione; quanto al socialista, l'antitesi Nenni-Saragat e Paolo Treves, non si è ancora posta chiaramente). La stessa linea del partito è serpentina: in alcune regioni, antimonarchico dichiarato, è in altre agnostico, in altre ancora coper– tamente monarchico. Qui si vuole un partito liberale democratico, con l'ac– cento su democratico; altrove, l'etichet– ta liberale maschera un conservatorismo degno della Perserveranza. Il voto alle donne è stato accolto tiepidamente, e con cautele e riserve; nessuno slancio pel movimento femminile, cioè femmi– nista e suffragista, divorzista, ecc. In materia sindacale, dottrine molto va– ghe coprono un conservatorismo pater– nalista. In politica estera, è - credo a ragione - sospetto di nazionalismo. Organi importanti sono in mano a re– i-rivi, i quali hanno già ottenuto di crea– re nell'opinione popolare la sensazione che «liberale• equivale a «fascista», e su questo punto non temo smentite. ~ comprensibile che se le « masse» li– beral! sono centromeridionali, cioè so– stanzialmente conservatrici, il partito si orienta a destra; ma è aitrettanto certo che al nord, progressista, non rac– coglierà che ,i voti dei die hards e del fascisti, se continua su questa strada. Il partito d'azione, che è di quadri se non di masse, gli porterà via tutta la borghesia Intellettuale di sinistra, la più viva, tutti i voti di coloro che pur non sentendosi marxisticamente • pro– letari •• del « popolo» sono e saranno amici e alleatt contro la reazione. So– cialisti e comunisti avranno buon gioco a dipingerlo come l'asilo dei • fascisti ~-

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