Lo Stato Moderno - anno II - n.12 - 20 luglio 1945

LO STATO MODERNO - 20 LUGLIO 1945 , 11~ cultura, tutta ·la cultura, come la co– scienza stessa della vita, nella sua li– bertà assoluta, sen:lla ostacoli nè limiti di sorta, politici, nazionalistici, tradi– zionalistici, moralistici, confessionali, avremo perciò stesso distrutto alla ra– dice ogni possibilità di ritorno fascista in campo culturale, Il secondo J]Unto mi sembra ancor meno chiaro. • Lo scioglimento di certi enigmi della nostra cultura• credo debba essere il compito specifico e con– tinuo del critico, senza che occorra costituire un'associazione apposita, che sarebbe poi tale per modo di dire, po– sto che, per quanto grande possa essere l'affinità dei suoi componenti sul piano politico, ciascuno, quegli enigmi, finirà sempre per scioglierli a suo modo. Valga per tutti un esempio. Per l'amico Elio Vittorini l'avversario è l'idealismo, anzi la « dittatura dell'idealismo», ch'egli accusa di avere « estraniato violente– mente (sic) la cultura dalla vita, ren– dendola astratta espressione formale». Se Vittorini intende, come penso, di.: stacco della cultura dalla vita sociale, l'accusa fatta all'idealismo mi sembra ingiusta, perchè tale distacco è caratte– ristico dell'intera nost'ra tradizione let– teraria e culturale (basti pensare, per contrasto, alla tradizione inglese, o a quella spagnola). Mi sembra, poi, che l'assenza per lunghi anni in Italia di motivi concreti di pensiero che non si muovessero nell'orbita idealistica, non venga di per sè ad istituire una « dit– tatura dell'idealismo», a meno che non si ·voglia con ciò alludere alla forte per– sonalità del Croce. Nè si può dire _che, malgrado la presenza di un Gentile, la filosofia idealistica sia mai stata impo– sta, e neppure raccomandata, d!al go– verno fascista, che fu -per fortuna no– stra troppo rozzo per preoccuparsi di simili faccende. Quanto a me, non credo di poter essere accusato di eccessivo crocianesimo, avendo in più di un'oc– casione manifestata la mia insofferenza per gli schematismi metodici nel campo critico e auspicato modi più flessibili e liberi, affidati principalmente alle qua– lità native e alla ricchezza d'esperienza dell'interprete. E penso anch'io che nella nost'ra cultura più recente esistano le premesse per una integrazione e un superamento delle posizioni idealistiche. Ma la verità e la precisione devono an– dare innanzi a tutto. E fare dell'ideali– smo filosofico il responsabile dei mali, o pretesi mali, della nostra cultura, è irrazionale e antistorico, non essendo l'idealismo il creatore, ma piuttosto un aspetto di quella cultura, buona o cat– tiva che sia. Nè si può dimenticare che l'idealismo, e in particolare quello cro– ciano, ha profondamente permeato le correnti più vive del pensiero italiano del nostro secolo, e che, pur avendo offerto qualche esteriore giustificazione al fascismo, esso ha in buona parte ispirato i più concreti motivi della po– litica antifascista (e in particolare quella di sinistra: pensi Vit1orini a Gobetti,- e addirittura a Gramsci: e sfogli, per con– vincersene, la collezione del!'« Ordine nuovo • - rivista). Infine, mi pare che una filosofia non possa certo combat– tersi allineandovt contro i grossi e pic– coli calibri d'un « Fronte della Cultu– ra », come se si trattasse di una fortezza da espugnare, ma opponendovi una filo– sofia altrettanto pensata ed elaborata, ai suoi motivi alt'ri motivi, e insomma, come si dice, di superarla. In conclu– sione, si tratta di pensare e di appro– fondire per proprio conto, con cautela e spirito d'indagine disinteressata, non di ubbidire a stati d'animo d'indeter– minata rivolta e alle suggestioni d'un romanticismo « vitalista • ancora peral– tro informulato. Ch'esso possa poi nu– trire l'arte d'uno dei nostri migliori « scrittori nuovi », è un altro discorso. Quindi lÒ « scioglimento degli enigmi della nostra cuitura » è da lasciarsi al– l'iniziati va del singolo filosofo e del singolo critico, o di quei gruppi che spontaneamente si formano, per affi– nità naturale di posizioni di pensiero, nel seno di una cultura: e ad un tal compito non è certo indicato un « Fronte della cultura», la cui origine è chiara– mente polil'ica (non diciamo di questa u di quella politica) e tale deve resta!'e pt?l essere efficiente. In conclusione, non credo che i primi due punti su cui ci intrattiene Ferrata possano mai costituire un terreno d'in– tesa comune fra gli intellettuali, e nep– pure fra gli intellettuali « progressisti •• ad indicare con tale termine un orien– tamento comune verso una·democ~azia concretamente rivoluzionaria. Penso, al contrario, che sul terreno propriamente politico si renda possibile un accordr, fruttuoso. Anzitutto, per quanto ri– guarda h cliiesa de1la cultura: non già della cultura progressista contro la cul– tura conservatrice,- che sarebbe un metl'ere la cultura contro sè stessa, ma contro le forze che intendessero vio– larne o limitarne la libertà d'espres– sione, sotto qualsiasi pretesto, politico, moralistico, confessionale. In questo tentativo ·di ampliare l'oriz– zonte della nostra cultura potrà rien– trare l'istituzione di più intensi scambi con le altre correnti europee e mon– diali, e, all'interno, un avvicinamento fra uomini provenienti da diverse di– sciP'line e appartenenti a diverse posi– zioni politiche e di pensiero, che tro– verebbero una prima base d'accordo, al di sopra dei dibattiti di partito, nella preoccupazione di approfondire assieme le singole questioni in un comune spi– rito di libertà e di disinteresse. Penso, · per questa parte, a qualcosa come il programma della francese « Union pour la vérité • .Il costume dell'intellettuale italiano va da un estremo di riserva– tezza, dalla « torre d'avorio •• all'altro estremo dei rapporti equivoci della chiesuola e della consorteria, col loro correlativo di violenza e acredine pole– mica una volta fuori dall'atmosfera del « gntpPO •· Credo impossibile riformare la cultura, come è impossibile riformare– la vita. Ma il costume si: e mi pare che vita e cultura avrebbero tutto da gua– dagnare da un nuovo spirito di confi– denza e di pacata civiltà che avvicinasse– uomini di diversa provenienza e fede in un tentativo di disinteressata reci– proca comprensione. Infine penso che il terzo punto su cui ci intrattiene Ferrata, ossia il rapporto, fra la cultura e la «massa» meriti di essere affrontato: e, su ciò, dissento :m poco dall'amico Baldacci, che, se ho– bene inteso, non si pone neppure il pro– blema, affidando l'educazione culturale· del popolo ad una ipotetica • felice coin– cidenza della nuova cultura con la vita sociale del tempo presente •. Dal canto mio, penso che se la st.ori'-1 può avere un qualche senso - ed essa non ha, evidentemente, altro senso che quello che gli uomini vogliono darle - - in difetto di che essa non sarebbe· altro che quel « racconto insignificante, pieno di furia e di rumore, narrato da un idiota•, di cui parla Macbeth in Sha– kespeare - e se il senso che gli uomini vogliono oggi imporle è quello di un riscatto dell'uomo, di un enuclearsi, da~ sonno della « massa •• di un sempre maggior numero d'individui liberi, il che vuol dire sempre più consapevoli, sempre meglio in grado di giudicare. del giusto e dell'ingiusto, di sè e del loro destino - e questo, io penso, è il vuo significato di democrazia - la questione non può non proporsi. Una soluzione indiretta ed implicita è offerta dal fatto stesso della ritrovata libertà e volontà di progresso, le quali, agendo negativamente, con la semplice. soppressione dei vincoli di soggezione ad una mentalità prestabilita, e positi– vamente, col creare le condizioni d'una vita economicamente e socialmente più· giusta e tollerabile, faciliteranno Il na– turale evolversi delle classi umili •verso. forze educative superiori. Il rim•·ttersi ad una tale soluzion? in • diret•.::i r•on esclude tuttavia che i mi-• gliori intellettuali possano prenjere in esame i mezzi concreti diretti at~ aiu– t:ire questo risveglio. Il prim?, e princi– p,,k, è quello affidato ai partiti poli– tici, e specie a quelli • di massa •, i quali, invitando l'uomo alla compren– sione dei suoi effettivi bisogni sociali, chiamandolo a giudice del proprio ùe– stino nella storia e ridestandolo cosi dal sonno del costume e dell'ubbidienza passiva per renderlo soggetto respon– sabile, perciò solo attuano l'opera edu– cativa più concreta possibile, come quella che si innesta su interessi reali, va incont'ro ad una domanda concreta. E tale compito sarà tanto più fecondo quanto più la struttura dei partiti ri– sulterà pervasa di spirito democratico ,e saprà ridestare nei loro militanti il più aperto spirito di critica e d'iniziativa. Ma il fronte della cultura avrebbe, com'è giusto, un compito specifico di educazione culturale che Ferrata, con particolare riferimento al cinema e allo spettacolo in genere, circoscrive per ora

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