Lo Stato Moderno - anno II - n.9 - 20 giugno 1945

LO STATO MODERNO - 20 GIUGNO 1945 dell'8 settembre fu la risoluzione o l'avviamento alla risolu– zione di questo problema dei giovani: fu la sua maturazione. J giovani che avevano talvolta sentito parlare con attonimento, come di una parola senza preciso significato, di libertà, sen– tirono la libertà finalmente come un dato immediatamente perspicuo; e la Patria aveva finalmente un contenuto umano: quelli cosi numerosi che fecero la resistenza, quegli altri che presero la via dell'esilio, ritrovarono immanenti i valori della Patria e della politica; e la rivalità delle patrie, che il nazio– nalismo aveva alimentato e portato alla tensione della guerra, cadeva, e lasciava il posto a quella società delle libere patrie per cui combattevano i giovani di tutti i movimenti di resi– stenza. I giovani italiani si trovarono caricati di un compito a cui erano forse immaturi, ma in cui li aiutarono l'intuito giusto e la fede: ·e per l'Italia il vero e autentico fronte dei giovani fu il), questa riscoperta del senso della vita, che li associ!!-va i giovani di tutta l'Europa occupata. Ora si tratta di meditare questo salto, con cui il problema dei giovani è giunto alla consapevd!ezza di sè: e questo è daccapo il pro– blema della scuola: il problema della politicità o apoliticità della scuola. Qui è il nocciolo della questione della scuola, se si vuole che quella rivelazione improvvisa e fiammeggiante della libertà diventi un costume e un rinnovamento duraturo. · Che la scuola, in un senso immediato, debba essere apo– litica, è cosa che va da sè: questa correzione urgente all'im– mediata politicità della scuola fascista è già un fatto com– piuto; e va inteso in tutta la sua portata; che la scupla non è nè un luogo nè uno strumento di propaganda, per nessun partito, è cosa che ogni coscienza: educata d'insegnante av– verte immediatamente, senza che lo Stato arrivi a pretendere dagli educatori ciò che lo Stato liberale richiedeva agli uffi– ciali e r.:· magistrati, la non appartenenza ai partiti politici. Ma la prepoliticità della scuola è un'esigenza altrettanto evi– dente, che deriva immediatamente dal concetto della libertà. Perchè l'educazione fascista non era nè politica nè prepoli– tica? Perchè era dogmatica, perchè l'educazione nei suoi cri– teri fondamentali non era affidata alla scelta e alla critica degli uomini a ciò prepOitì, ma giungeva sotto forme di diret– tive e di circolari. Nella scuola di uno Stato libero la pQliti– cità entra nella forma spontanea in cui ogni insegnante la reca nella sua cultura, nella sua parola, nei suoi atteggiamenti mentali che deve giustificare ai discepoli, che deve discu– tere nell'atto stesso che li manifesta. C'è nell'atto dell'inse• gnamento una socialità (3) in cui l'insegnante cessa di essere un tecnico per essere semplicemente un uomo: se il .fascismo poneva dinanzi ai giovan,i l'inafferrabile anima e la pretesa personalità dello Stato, la libertà pone davanti ai giovani quel– l'unica realtà esistente che è, nel maestro, l'uomo. L'uomo, e la cultura: che vuol dire la formazione delle idee, lo sguardo aperto sulle cose come sono, la ragione tutta dispiegata e senza dogmi. Questa è la politicità della scuola, cioè la fofmazione di intelligenze avviate ali'oggettività e alla critica, a quell' a– bito di controllo del giudizio sulla parzialità passionale che permette di giudicare poi le cose della vita: ed è qui la sal– datura tra la scuola e la vita. ·se c'era, sotto il fascismo, frat– tura tra scuola e vita, ~iò non era, come ha scritto Elio Vit– torini, una colpa della dittatura idealista; era colpa di una spessa ombra frappostasi tra il discepolo e il maestro, ed era l'ombra minacciosa dell'arbitrio dello Stato: era essa che im– pediva, quando lo impediva, di scoprire nell'insegnante come nel discente, tutto l'uomo. , Questa unica politicità della scuola, che è la sua prepo• liticità, può sussistere meglio che altrove (almeno nella situa- (3) - Su ciò, un bell'articolo di FAUSTO MONTANARI, nel– l'Italia del ;?7 Jnag!!iQ J94!): ~a form~i9ne (Jep!i insepnanti, zione e nella tradizione· italiana) nella ·scuola dello Stato: quando lo Stato sia, genericaI!lenté inteso, uno Stato di li– bertà. E' proprio la laicità e la cosiddetta impersonalità dello Stato che lascia maggiore libertà all'insegnante, e che nello stesso tempo può meglio chiedergli conto del compimento dei suoi doveri. Dell'insegmnnento privato o libero, l'epoca fa– scista ci ha offerto una così amaramente scandalosa esperienza, che bisogna, almeno per il momento; ritirargli ogni fiducia. E' da fare eccezione per quello imparti_to negli istituti reli– giosi; ma ritengo che lo Stato, pur lasciandoli naturalmente pienamente sussistere per le garanzie di serietà organizzativa che offrono e per il carattere solitamente eletto. dei loro inse– segnanti, debba pur loro sottrarre la parificaziÒne: uno Stato di civiltà liberale non può ammettere Qlle una formazione dogmaticamente diretta si sottragga ali'obbligo di un controllo della cultura laica - controllo non arbitrario, s'intende, ma che proverà semplicemente la formazione critica e il grado di spontaneità che le scuole confessionali debbono pur accor– dare ai loro discepoli, se vogliono fame degli uomini, e se vogliono pure che la religione sia convinzione persuasa e non abitudine ed esteriorità. Quanto all'istruzione privata laica, poichè i suoi peccati non erano tanto politici quanto peccati contro lo Spirito Santo, trattandosi troppo spesso di vere e proprie industrie e non di case con cura d' anime, dovrebbe essere sottoposta al trattamento dell'epurazione: non solo do– vrebbero tali istituti vedersi in genere ritirata la parificazione. che in regime fascista era unicamente una questione di de– naro, ma essere sospesi dal!' attività, e riaperti solo dopo un esame di caso per caso, quando il pubblico controllo si fosse assicurato della dignità e capacità dei dirigenti, della loro vocazione educativa, del valore dei loro insegnamenti, del numero limitato dei loro alunni, dei criteri esclusivamente scolastici e non speculativi dell'ammissione di questi, e della necessaria -attrezzatura. Ciò sia detto ammettendo idealmente le dovute eccezioni, che esistono, ma che non hanno certo nulla in contrario a ·subire la prova di una severa ispezione; · Si dirà che questo atteggiamento contrario all'insegna– mento privato è illiberale: ma la libertà è u.n fatto morale, e nelle cose della scuola la libertà deve imporsi di essere più che altrove severa. E del resto questa è la sola via che possa aprire anche alla scuola privata la possibilità di riportarsi ad un'effettiva funzione di collaboratrice della scucila pubblica. Sempre bisogna tener presente che la scuola è un fine sociale af{!dato in tutta libertà allo scrupolo delle coscienze indivi– duali; ma proprio per questa libettà che si deve dare piena– mente, si debbono chiedere tutte le garanzie di serietà e di · effettiva volontà d'educazione. Il vero modello di scuola deve perciò rimanere la scuola di Stato, la sola, anche, dove l'in– seir,nante, pur così modestamente retribuito, si senta libero, perchè non ha padroni. non ha dirigenti, e sa di servire in ogni scolaro, che avvicina e a sé interiorizza, esclusivamente alla cultura e al Paese. In ciò è anche implicita la risposta alla questione se l'esame di Stato si debba ronservare o no: l'esame di Stato si deve conservare, e sia pure con qualche modificazione strutturale, che consenta di alleviare l'inconve– niente del giudizio recato dall'insegnante· che non ha una co– noscenza antecedente dell'alunno: ma non si esageri. questo inconveniente, che può essere corretto da una ma"iore di– ;tensione di spiriti nell'esame stesso, quando i programmi siano riveduti nei loro eccessi, e·si conceda all'esaminatore di Stato il tempo e la calma di affrontare a fondo l'animo dell'alunno. Gli errori giudiziari nel campo degli esami, salve queste con– dizioni, resterebbero per lo più una excusatio non petita der-li alunni giustamente riprovati. · UMBERTO SEGRE (ccmtinÙa) . i

RkJQdWJsaXNoZXIy