Lo Stato Moderno - anno II - n.9 - 20 giugno 1945

Stl tò STÀ'i"ò MODERNO - 20 CttidNO 1946 libertà ». E non invita gli scrittori a segregarsi nella contem– plazione egoistica di una « Bellezza » che sarebbe impura per a fatto stesso di non avvertire il tragico senso sociale, ma anzi a vigilare sulla libertà, unica forma del « progresso » umano. E a questo punto la parola «Forma» acquista an– che il significato eh'essa ha nel diritto, il quale è la forma di una legge in cui si esprime la mente e la volontà di un popolo. E infine, se la libertà è necessaria a ciascun uomo per il suo svolgimento, e piri si è liberi più si è uomini, essa è necessaria in grado supremo a coloro che lavorano ta sl)– stanza stessa delle idee e dei miti in cui si it1carnerà ùJ vita sociale: dico gli scrittori, gli artisti, gli scienziati: quelli che a mo,~do moderno chiama i « lavoratori del pensiero». Il no– stro è, dunque, un invito a questi lavoratori di partecipare alla più gelosa tra tutte le politiche: quella che difende l'essenza stessa, la «forma» dell'umana conviDenza, e cioè la libertà nel suo cammino difficile, ma sempre perfettibile, _anziinfinito. · F. F. PROBLEMIDELLASCUOLASECONDARIA . ' . . ' II. - POLIT1CITA E APOLIT1CITA DELLA SCUOLA li diletto della riforma Gentile era, abbiamo detto, il di– fetto delle sue qualità. A parte l'inconveniente fondamentale del virtuosismo imposto dalla mole dei programmi, quell'iper– trofia del latino, sorta per combattere la mezza cultura, ·si pre– stava ad un equivoco che vorremmo credere non voluto ·dal (..;entilestesso, ma di tacile quanto pericolosa diliusione: l'equi– voco della retorica delr antichità classica, la retorica della tra– dizione romana {limitata naturalmente alla romanità dell'lm– pero e del basso Impero) che il fascismo poteva tanto acco– gliere quanto quella opposta di Marinett1, della rottura di ogni tradizione: punti cli vista opposti ed egualmente propu– gnati, non già, naturalmente, per liberale tolleranza, ma per . indiiferenza e spregio della cultura. li latinismo contribuiva !li credersi nobilitati, in una miserabile pseudotilosotia della storia, e legittimati da una tradizione in1peria,istica gloriosa. Così il carattere umanistico della nostra scuola, che era vera– mente la sua miglior tradizione, serviva a pretesto di d1sun1a– nizzazione della scuola. Poichè si diceva di sentire che « la tradizione classica è senz'altro la nostra più protonda e origi– nale tradizione di popolo » (1), si pensò, demagogicamente, di estenderla a tutti: senza intendere che questo tipo di cultura, cili, uchiede distacco, contemplazione e agio di meditazione, doveva appunto essere· riservata a chi ne provasse la voca– zione e la predisposizione, e che l'avrebbe poi, cresciuto negli anni, comu.11cata agli altri, non come immediato latinetto, ma come senso della nusurn e dell'equità, come abito contempla– tivo e scienWico, come senso ùc1, oggettività, e via dicendo. ~ra sempre lo stesso spirito di democrazia ultradiretta che ,J?0rtavanel fascismo alle elezioni plebiscitarie. La pietosa con– clusione era quella che si può ritrovare in un aneddoto rac• contato dal l•lora, uno degl'infiniti del genere: « Un tempo sulle cartoline postali, tra i clichés delle cosiddette " Grandi opere del regime», gl'italiani scoprirono nientemeno il tempio ~ Vesta: il iascismo si appropriava, per legittima successione, _anchele opere dell'antica Homa. Non è perciò meraviglia che un ragazzo triestino d ·una classe del ginnasio inferiore scri– vesse in un componimento: « Ed ora, per volontà del duce, dove prima era una landa deserta, è sorta una grande città chiamata Roma, capitale d'Italia> (2). Questa era una delle vie della politicità fascista della scuola. La quale.era, non occorre dirlo, un male, e come ogni male nasceva da una contraddizione di motivi dell'azione, i cui termini erano quei.ti : lo Stato si proclamava Stato etico, in polemica con il tanto oltraggiato agnosticismo dello Stato liberale, e pertanto si assumeva l'obbligo di essere uno Stato (1) - ERNESTO CODIGNOLA: Il problema educativo - Ili, 288 (Firenze, La nuova Italia). (2) - FRANCESCO FLORA: Ritratto di un ventennio - Na– poli, Macchiaroli, 1944, pag. 40. educatore e pedagogo, mentre evitava di darsi naturalmente una dottrina· coerente della moralità, cosa che del i-esto non era suo ufficio di determinare;. ma, d'altro lato, lo Stato non intendeva affatto affrontare gli autentici rischi dell'educazione, che sono i rischi della libertà; sua unica esigenza era che si· formassero generazioni devote al « credere, obbedire, combat– tere». Naturalmente esso sentiva l'impossibilità di trovare ne- .gli insegnant-i una complicità convinta ad un simile proposito, così alieno alla natura della scuola, dove nulla è da credere dog– maticamente, dov.e non. c'è nessun problema nè rapporto di obbedienza, e dove si combatte solo la battaglia intellettuale del chiarimento dei fatti e delle idee; ed allora 0011 restava, per politicizzare la scuola, che ricorrere a mezzi extraeduca– tivi, e, cioè, antieducativi, e quindi col -degradare, ammansire e svuotare progressivamente la serietà e il contenuto' della ri– forma Gentile; e ora si impoverì l'organizzazione e il buon andamento dell'istruzione con tutti gli obblighi premilitari (af– fidati all'Opera Balilla e alla Gil, e fu ventura e buon senso italico che i professori non dovessero parteciparvi e fossero · solo chiamati a punire nella scuola i ragazzi renitenti a quelle chiamate draconiane nei pubblici stadi); ora si intimidirono insegnanti ed alunni che si fossero p~rmessi la minima libertà e schiettezza di. pensiero, ed i più arditi e valorosi si espul• sero; ora, si imposero norme e spiriti ai testi scolastici, che dovevano svalutare la Rivoluzione francese o l'Italìa risorgi– mentale e liberale a sola esaltazione del presente; ora si esclu– sero dall'insegnamento 'della filosofia i testi che avrebbero sol– lecitato la meditazione sui probl_emi della vera giustizia SO· cialf'l, e si obbligò ad una cosiddetta cultura fasèista, che, sotto forme più pompose, c'era pure nei Licei, ad introduzione dell'obbligatoria lettura della Dottrina del Fascismo dovùta a tanto pensatore. Che cosa si voleva dunque: l'educazione o l'oscurantismo? Tutt'e due insieme, e cioè l'oscurantismo sotto veste di educazione. Ricordo che subito dopo il 25 luglio si cominciò a par– lare di un « problema dei giovani », e si scrissero allora, su giornali e riviste, cose assai confuse: si ha l'impressione che ')ra si sia come diradato, su questo problema, un velo di neb– bia. li problema dei giovani, come allora si esitava ancora a formularlo apertamente, era quello della diseducazione fascista. La giovinezza italiana, e soprattutto i figli della beata bor– ghesia, usciva dalle scuole apatica e scettica, sfrontata e va– cua: e si dovrebbe dire che allora il problema dei giovani non era veramente arrivato ancora alla coscienza dei giovani stessi. Anche il patriottismo, o, come meglio si deve dire, l'a~or di Patria, era cosa languida e priva d'interesse, perchè lo Stato si era fatto cosa troppo trascendente per vivere nel cuore degli uomini; si vide subito come quella trascendenza era la sua inesistenza in senso profondo e reale. L:i tr::gecli,1 ..

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