Lo Stato Moderno - anno II - n.5-6 - marzo-aprile 1945

APOLITICITA DELLE COOPERATIVE Che il i;novimento cooperativo - nelle sue svariatissime. forme - sia chiamato ad esercitare funzioni di primaria importanza. nella fase ricostrut– tiva, non è chi non veda. In un'economia tragicam1::nte deficitaria - vera e propria economia dell'inopia - come quella che ci attanaglia, una struttura e una prassi aziendale che eliminino tanto gli assilli speculatori, quanto l'in-– tervento di c:ostosi ed inutili intermediari, è di per sé promessa di successo ewnomico e di utilità collettiva. In secondo luogo, in un mondo che ha percorso sino alla catastrofe la parabola dell'autoritarismo economico, accop– piante dittatura politica e vassallaggio plutocratico, la .cooperazione signi– fica autonomia d'impresa, con potere di autodeterminazione democratica da parte di tutti coloro che la compongono, e iniziativa popolare dal basso. Là cooperativa di consumo è uno degli aspetti di quella che vorrei chiamare de– mocrazia economica dei consumatori; quella di produzione è elevazione alla eguaglianza, su base democratica, di lavoratore ed imprenditore. Queste prospettive di sviluppo fecondo - non solo economico, ma so– ciale- ripropongono il problema pratico della politicità o della apoliticità. delle singole cooperative. Deve cioè essere o meno la cooperativa, pur re– stando strumento economico, l'estrinsecazione di un dato partito politico ed essere, quanto meno, collegata con gli intenti e la prassi di un partito? Oppure, trincerandosi nella sua finalità prettamente economica, deve man– tenere una neutralità, una estraneità, un. agnosticismo - anche se nobilitati dall'appellativo di «indipendenza»? Deve innalzare una bandiera politica o marciare sotto un incolore vessillo su cui stia scritto « solo l'interesse eco– nomico dei soci »? Prescindendo da degenerazioni grettamente utilitarie e da deleteri agno– sticismi astensionistici o rinunciatari, bisogna riconoscere che le ·ragioni che si fanno valere per la apoliticità delle cooperative - in qualche modo af– fini a quelle in favore del sindacato unico ed apolitico - non sono di poco conto. Si obbiettano alle cooperative di parte lo spreco ed il frazionamento delle energie economiche e l'impossibilità di creare organismi solidi, abbrac– cianti l'intera collettività,. capaci di resistere alle fluttuazioni congiunturali; lo sperpero di spese generali e di gestione, evitabile in maggiori ed unitari com– plessi; la impossibilità, nella polverizzazione delle iniziative e nella conseguente debolezza finanziaria delle cooperative, di procurarsi (specie nelle ·cooperative di produzione) quel personale tecnico che è primario coefficiente di successo; il tralignare della concorrenza reciproca in un'antieconomica e distruttiva- lotta di sopraffazioni; la diffidenza verso la stessa idea cooperativa che, spede nei piccoli centri, deriva dal vederla associa~- a contrasti politici, spesso trasmo– danti !Il personalismi o rivalità locali. . Ragioni insomma che sembrano senz'altro persuasive. Tuttavia/!!'es e– r:enza pratica del cooperativismo non le conforta che debolmente. p1u cospicui e fortunati esperimenti cooperativi - tanto minacciosi da r sca– tenare contro _di loro la reazione violenta dei vari fascismi, in combutta con le borghesie ed i capitalismi - sono proprio di cooperativismo di parte. Si pensi all'educativo inserimento nell'orizzonte della vita operaia delle coo– perative laburiste inglesi; al magnifico sviluppo d_elle cooperi:Ìtive sociali– ste o cattoliche belghe; a quell'ammirato esempio ch'erano la Federazione cielle cooperative agricole socialiste di Ravenna, frutto dello strenuo apo– stolato di Nullo Baldini, alle cooperative agra_rie socialiste di Molinella, a - 29

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