Lo Stato Moderno - anno II - n.5-6 - marzo-aprile 1945

quelle della gente di mare (tutte aggredite, devastate, stroncate da quel fa. scismo che ora, in extremis, non manca di tirare in ballo nostalgie coope– rative da attuarsi... d'autorità!); alle cooperative e casse rurali del Trentino, istituite, in contrapposto con quelle operaie cittadine, socialiste, come espe– rimento anticipatore di una delle più sane iniziative del Partito Popo– lare, ecc. E il fenomeno si spiega. La cooperazione, specie quella produttiva, e~ige dedizioni, sforzi, sacrifici. Si è perfino tentati di dire che il suo successo è in ragione diretta di quelli e che cooperative non Ìmpegnanti seriamente, effettivamente, durevolmente l'apporto dei soci sono le più precarie. Ora il solo interesse economico, per evidente che sia, non par sufficiente a su– scitare ed alimentare quell'afflato collettivo e quella solidaristica devozione ch'è premessa dell'ideale cooperativo. Il puro interesse economico, dopo i primi entusiasmi, si sgomenta delle difficoltà, fa il raffronto dei costi e dei risultati, si delude dei mancati utili immediati, è sbaragliato dai primi ac– cenni di crisi. L'ideale cooperativo e la pratica cooperativistica hanno biso– gno di integrarsi con un ideale più vasto, radicale, trascinante, quale non può essere che l'ideale politico. Le stesse classi operaie - lungi dall'avere quella mentalità materialistica ed utilitaristica che il borghese, avvezz0 a considerare tutto per rapporti di do ut des, ha il pregiudizio di consi– derare universale - sanno che la cooperazione può migliorare il loro te– nore di vita od elevare la dignità del loro lavoro, ma che non basta in nessun modo a trasformare la società e a condurre alla. loro emancipazione. La cooperazione, allo stato di cose, è un ausilio, non una soluzione: la so– luzione si ricerca sul terreno politico. E del suo riverbero la cooperazione s'illumina. Ragionando in modo strettamente economico, è chiaro che la vitalità della cooperazione, organo sostanzialmente di resistenza, deriva dalla omogeneità degli interessi dei componenti la singola associazione: e quelli politici, per coesione, intensità e consapevolezza, predominano. Né basta. Da una parte infatti il cooperativismo muove da un principio antagonistico all'ordine economico-solciale esistente: è prassi anticapitali– stica in atto. Non può quindi rimanere indifferente a quei partiti e movi– menti che - sul piano politico - combattono un sistema che lo intralcia, che lo insidia direttamente o indirettamente (non foss'altro che per mezzo c!el credito), mira ad assoggettarlo al proprio dominio e a renderlo anch'esso uno dei suoi tanti vassalli; e men che meno a quei partiti che lottano per la conquista di posizioni favorevoli allo sviluppo cooperativo. D'altra parte il cooperativismo impara a sue spese quale importanza abbia per la sua esistenza la -politica economica dello Stato e delle pubbliche autorità: di– rettamente, come salvaguardia delle conquiste e realizzazioni cooperative contro minacce, violenze, inframmettenze reazionarie; indirettamente, attra– verso una infinità di fattori (sistema doganale, fiscale, monetario, crediti– zio, ecc.). Ma le sorti di questa politica economica non si determinano che sul terreno politico, per mezzo delle lotte e conquiste di partito, della cri– tica politica, dell'azione parlamentare. Restando politicamente agnostiche, le cooperative, per affermare le loro necessità, devono trovare in partiti estra– nei o in uomini politici occasionali dei protettori - di necessità non disin– teressati - oppure devono sottomettersi (come nel fascismo) ad un Governo paternalista addormentatore, insidiatort o corruttore che ne regoli il passo - e tutti sappiano che paternalismo significa asservimento. Così finiscono col perdere quella indipendenza che, col loro politico astensionismo, s'illude– vano essersi garantita. E tuttavia se da questa tesi generale scendiamo all'applicazione con- -30-

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