Lo Stato Moderno - anno II - n.3-4 - 1-16 febbraio 1945

stazione di una situazione insostenibile, che ancora negli anni precedenti aveva mostrato per chiari, sintomi d'esser tale da non po~r essere ulteriormente tollerata dai Siciliani. I quali da gran tempo lamentavano che la Costituzione loro concessa da re Ferdinando I nel 1812 fosse stata loro tolta, quando co– desto Borbone, riconquistato il trono di Napoli, lasciò l'Isola per il Conti– nente. E a rivendicare la loro Costituzione, nella quale vedevano il presidio della loro propria autonomia, insorsero nel 1848, com'erano insorti nel 1820-21. Ma questa volta, diffidando essi della lealtà del sovrano e del governo parte– nopeo, non esitarono a manifestare il fermo 'proposito di voler recidere i le– gami che li •univano a Napoli, cosicché ben presto il Parlamento siciliano pron– tamente con:vocato in Palermo decretava la decadenza della dinastia borbo– nica dal trono di Sicilia, riservando ad una successiva decisione, a dopo che la Costituzione del 1812 fosse stata opportunamente corretta e ammodernata, la nomina di un altro sovrano, che doveva essere tratto da una delle famiglie regnanti in Italia. Era a questo punto naturale che i Siciliani cercassero d'essere sostenuti in questo loro atteggiamento dai Governi di Londra e di Parigi: sia perché in– ghilterra e Francia erano considerate potenze liberali ed amiche delle nazioni desiderose di modellare il loro interno reggimento sull'esempio costituzionale dei due grandi popoli occidentali; sia perché Inghilterra e Francia erano en– trambe potenze mediterranee, con le quali la Sicilia manteneva costanti e fre– quenti rapporti culturali e mercantili; sia perché l'Inghilterra in particolare aveva avuto molta parte, l'anno 1812, nella concessione fatta con riluttanza dal Borbone della Costituzione politica, che adesso i Siciliani tornavano a ri– vendicare con estrema energia e risolutezza. E se in un primo momento la Francia, che per le tre giornate della rivoluzione di febbraio era intanto dive– nuta repubblica, ebbe parte piuttosto secondaria nelle trattative intercorse tra Napoli e Palermo, e destinate a trovare un qualche punto d'accordo ti-a la Corte borbonica e il Governo provvisorio siciliano, l'Inghilterra invece vi ebbe parte precipua, tanto più che allora, e da qualche tempo, trovavasi in Italia, investito di una delicata missione politica presso le Corti della Penisola, un membro del Gabinetto liberale inglese formato e diretto da Lord Russell, il' nobile Lord Minto. Costui era stato sollecitato dal Borbone napoletano a in– tervenire presso il Governo di Palermo in qualità di amich~vole conciliatore; ed egli aveva infatti accettato, col consenso di Lord Palmerston ministro in– glese per gli affari esteri, di trattare l'intricata questione, nella quale conflui– vano le passioni lungamente compresse di un popolo orgoglioso risoluto e con– scio dei propri diritti, e le preoccupazioni e gli interessi di una dìnastia, ch'era vogliosa di non subire 11.lcuna umiliante menomazione: tanto più che sul punto essenziale di salvaguardare com.e che fosse l'unità delle due parti del Regno meridionale, essa si sentiva sostenuta dal consenso generale del popolo napo– letano, - il quale era sostanzialmente contrario a che la Sicilia sciogliesse defi– nitivamente i vincoli che l'univano al Regno peninsulare. Se l'Inghilterra avesse voluto approfittare di questa circostanza per acqui– star predominio nell'Isola, è evidente che il Governo di Londra avrebbe agito in modo da esacerbare il conflitto fra i que avversari, da dividere sempre più irreparabilmente Napoli dalla Sicilia, il Borbone dai suoi sudditi ribelli, da intromettersi infine sempre più esso medesimo nella contesa, offrendo magari la propria mallevadoria per l'applicazione effettiva e integrale della Costitu– zione del 1812, che già era nata sotto gli auspici della mediazione britannica, - 28

RkJQdWJsaXNoZXIy