Lo Stato Moderno - anno II - n.3-4 - 1-16 febbraio 1945

sprovvista dal Gran Consiglio; si constatino le ire e le vendette per le pretese antiche trame di Badoglio e dei grandi generali, quasi non fossero stati le creature del fascismo e proni ai voleri di questo e del suo capo, e quasi Mus– solini, ministro delle forze armate, non li avesse avuti in pugno. Insomma, per i creduli che agli sfoghi postumi del neo-fascismo prestano fe_de, Vittorio Emanuele ed i suoi fidi meriterebbero il titolo di antichi ed indefettibili anti– fascisti e ad essi spetterebbe per intero la gloria del rovesciamento di un regime inviso. I Savoia non hanno che da ringraziare i loro inopinati difen– sori di questa immeritata - ma purtroppo non del tutto sterile - riabili– tazione. Più àiretti e concreti favori il neo-fascismo va prestando al tanto dema– gogicamente perseguitato capitalismo. Questi servigi, o per lo meno i più co– spicui tra essi, non occorre andarli a cercare molto lontano. Lasciamo da parte il fenomeno dell'inflazione che il neo-fascismo, suo diretto responsabile, si è mostrato incapace di fronteggiare. Si noti solo, per incidenza, che di per sé l'inflazione, mentre segna la rovina per le categorie dei risparmiatori e dei retribuiti a reddito fisso, mentre sacrifica le categorie, corne quelle dei lavo– ratori, i cui redditi difficilmente e tardivamente sono in grado di tener dietro all'aumento del costo della vita, poco tange i ceti abbienti, messi al riparo del!a svalutazione dalla consistenza dei beni reali, e addirittura avvantaggia - in quanto favorisce i debitori e ne allevia di fatto gli oneri finanziari - i complessi industriali capitalistici, meglio in grado, del resto, di rivalersi sui prezzi. Non sono insomma i capitalisti che sopportano le conseguenze del– l'inflazione, che intanto rovina le forze del Paese e logora le energie e le resistenze dei ceti popolari. Ma, a parte il fenomeno generale, sta di fatto che i recenti provvedimènti restrittivi, così manifestamente inetti nella loro demagogia a porre riparo alla inflazione in atto e a stabilizzare la moneta, hanno avuto come unico reale effetto quello di bloccare salari e stipendi nello sforzo di adeguarsi, sia pure molto alla lontana, all'accresciuto costo della vita. È vero che si tratta di un circolJ vizioso: ma così si arresta solo uno dei termini - le retribu– zioni -, mentre l'altro - i prezzi - non solo è rimasto abbandonato a sé, ma - per colmo d'ironia - si sono avute contemporaneamente cospicue ascese nei prezzi di generi di prima necessità politicamente controllati. In– somma, tra tante declamazioni anti-capitaliste, il neo-fascismo ritorna alla sua antica funzione schiavistica, svolta per più di vent'anni, di tenere de– presse ed inadeguate le retribuzioni dei lavoratori, di ogni categoria e ceto sociale, a tutto profitto dei complessi capitalistici. Terzo, e inestimabile, servigio reso agli stessi ceti capitalistici, lo si ha in tema di socializzazione. Per quanto poco o niente meriti un tal nome quel demagogico compromesso, fatto per abbagliare gli allocchi, che il neo-fascismo gabella come socializzazione, sta di fatto che socializzare, oggi, nelle condi– zioni in cui si trova l'Italia settentrionale, è economicamente il più assurdo degli assurdi. Quando anche i più imponenti complessi, ad esempio la Fiat, chiudono giornalmente con milioni di deficit; quando la produzione non può svolgersi" normalmente per mancanza di materie prime, di energia o di com– bustibili, di mezzi di trasporto, senza tener conto dell'asportazione- dei mac- ; chinari e della deportazione delle maestranze; quando, senza tener conto delle rovine belliche, la produzione non è assicurata che per brevissimo tempo; quando insomma è in gioco non l'efficienza ma l'esistenza stessa dell'industria, - 26-

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