Lo Stato Moderno - anno I - n.4 - ottobre 1944

titteia e ai progressivo sviluppo di essi. Sanno altresl che questa trasformazion~ si può ottenerè soltanto attraverso una concreta azione rivoluzionaria della demo– crazia socialista, la quale ha il vantaggio, su tutti gli estremismi dittatoriali, di una chiara coscienza della varietà dei rapporti umani nonché dellà impossibi– lità intrinseca all'uomo, pena la morte dello i.pirito, di abdicare a talune con– quiste che costituiscono il fondamento della civiltà. SICANUS LA V I O L E N Z A E l' I R ò N I A Sono, non da oggi, un ammiratore di Leone Trotzkij: Mi piace la sua spie– tatezza, quasi empietà, nel giudicare la poliika, il suo senso talvolta esasperante della soggettività della storia, che lo fa cosi diverso dal solito ristucco- marxista, tutto intento a cogliere non si sa quali favolose e scientifiche leggi obbiettive che spuntando dal grembo dell'economia ti offrono pronta la spiegazione di ogni più vaga grazia e di ogni più tremenda guerra. In fondo, e forse l'argomento meri· terà altra volta più lungo discorso, Leone Trotzkij era un_ liberale; uno di quei disperati e amarissimi liberali che in tutto hanno perso fede tranne in sé stessi e nella perfettibilità della condizione umana. Dalla fede in sé stesso, maturata nelle nevi della Siberia, nelle marce mura del carcere, sugli asfalti americani, egli trasse quel compiuto dominio sulla natura degli eventi politici che dà alle sue pa gine migliori un senso lieve d'ironia socratica, cioè di comprensione perfetta dei modi e dei fini della s·toria che gli si svolge davanti. Dalla perfettibilità della condizione umana trae la giustificazione della vio– lenza, mediatrice dialettica tra un passato tenebroso e un futuro libero e felice. Senonché ad un certo punto ci si accorge che la ironia non è solo, come vo– leva Socrate, comprensione delle cose, ma comprensione delle cose come appa– iono al vincitore. E quando il mutevole vento della fortuna cambia di rotta, al– lora l'invettiva o il lamento è la sola vana risorsa del vinto. Sentite come, preso al laccio dei suoi casi personali, il Trotzkij si lagna di quel– la violenza che beffardamente gli si è rigirata tra le mani (Die wirchlige Lage in Russland): « Il gruppo dominante crede di poter arrivare a tutto con i suoi meto– di di violenza. Questo è un errore profondo. La violenza può avere un ruolo enor– me in una rivoluzione, ma solo in determinate condizioni, quando cioè essa è sot– toposta ad una classe politica onesta. I moti violenti dei bolscevichi contro labor– ghesia, contro i menscevichi, contro i social-rivoluzionari, si svolsero sotto certe date condizioni storiche e portarono ad avvenimenti giganteschi. Le azioni di vio– lenza di Kerenskij e di Tseretelli contro il bolscevismo hanno solo affrettato la rovina di un regime di compromesso. Ma l'attuale gruppo dominante ricorre al– l'esilio, agli arresti, alla privazione del lavoro quali mezzi di oppressione e di in– timidazione contro il suo stesso partito. Il lavoratore teme di esprimere il suo pen– siero nelle riunioni locali, teme di votare secondo la sua coscienza. Il nostro par– tito, che si dice l'espressione più alta della dittatura del proletariato, è terroriz– zato dalla dittatura di una burocrazia. E mentre terrorizzano il partito, annul– lano le suè facoltà di farsi temere dai nemici del proletariato. • La verità è che la violenza è uno strumento e come tale non si può teorizza– re; si può soltanto, quando si ritenga necessario, usarla circondandola di quel pic– colo disprezzo con cui è lecito considerare i semplici strumenti, indifferenti alle categorie del bene e del male. Altrimenti si corre il rischio di subire l'ironia degli altri quando si pretende che la « santa violenza • ci usi la cortesia di fermarsi al limitare della nostra casa. E questo non è accaduto a Trotzkij soltanto. MOMUS - 10 -

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