Il Socialismo - Anno I - n. 24 - 10 febbraio 1903

386 IL SOCIAI.ISMO il salario, ma il profitto». E nella sua IV0l1111111gsfrnge, Engels (1872) esclama: « Le imposte! Cose che riguar– dano soltanto la borghesia, ma che interessano assai poco i lavoratori! Ciò che il lavoratore paga d 1 impo– ste, entra alla lunga nei costi cli prod~1zione della forza di lavoro e deve essere restituito dal capitalista». Nella sua famosa lettera aperta al Comitato centrale operaio, Lassalle ripete la stessa cosa e dice che i la– voratori non hanno nessun interesse al pane a buon mercato. L'istesso punto di vista è poi consacrato nella ri– soluzione officiale del Congresso socialista di Gotha, del 1876 1 che stabilì: « li Congresso dichiara che i socialisti tedeschi restano t'udijferenli innanzi alla guerra scoppiata fra le classi possidenti a proposito di libertà degli scambi o protezione doganale; che la questione se si abbiano o no ad introdurre dazi protettori è una questione pratica che deve essere risoluta caso per caso; che la penuria delle classi lavoratrici è radicata nelle generali circostanze economiche del nostro sistema di produzione, ma che gli attuali trattati di commercio stabiliti dal Governo sono sfavorevoli ali' industria te– desca e reclamano modificazioni; che infine la stampa del partito deve essere stimolata ad avvertire i lavora– tori di guardarsi dal cavar le castagne dal fuoco per conto d'una borghesia reclamante l'aiuto del Governo per mezzo dei dazi ». Il Congresso internazionale socialista cli Ginevra dichiarò, ancora una volta, che la politica commerciale « era una questione interna dei partiti borghesi». li successivo Congresso di \Vydener della democrazia so– cialista tedesca (1880} confermò questa deliberazione. Insomma, sino a pochi anni addietro, era dogma fra i socialisti, il disinteressarsi di quistioni commerciali. Lo spettro della legge di bronzo dei salari impediva loro la netta visione dei rapporti reali. *· .. 11 punto di vista dal quale si ponevano allora i socialisti era quello del consumo. Si trattava in defini– tiva di stabilire se una determinata riforma doganale avrebbe accresciuto il benessere delle classi lavoratrici, permettendo a queste ultime di ottenere, per uno stesso salario, una massa crescente di beni materiali. Ma un secondo punto di vista non tardò a svilup– parsi. Esso trovasi esposto accanto a q,uello del con– sumo nel famoso discorso sul libero scambio, tenuto da Marx a Bruxelles, il 9 gennaio 1847. In quel discorso, Marx proclama che « la condi– zione piit favorevole per i lavoratori è il crescere del capitale>>. Quando il capitale non si sviluppa, I' indu– stria o resta stazionaria o arretra; nell'uno e nell'altro caso la prima vittima è appunto il lavoratore. Il prezzo del lavoro non cresce se non quando la ricchezza, le forze produttive, in una parola, il capitale produttivo crescono nel paese. Il loro sviluppo ha per presuppo– sto una maggior richiesta di forze di lavoro e perciò il crescere del salario. « La condizione indispensabile - dice Marx altrove - per uno stato tollerabile del lavoratore è il piit possibile rapido crescere del capi– tale produttivo. Un notevole incremento del salario ha per presupposto il rapido crescere del capitale pro– duttivo». Dal punto di vista, dunque, dello sviluppo delle forze produttive, quale sistema conviene più?, quello protezionista o il sistema del libero scambio? Anche qui bisogna distinguere. Il sistema protezio– nista serve certamente ad allevare un'industria bambina ed a portarla sino al grado della grande industria: questo l'avviso di Marx. Ma ad un certo punto di sviluppo della grande industria, questa divien dipendente dal mer– cato internazionale ed allora il protezionismo si riduce ad un ostacolo. Lo sviluppo delle forze produttive rende necessario il libero scambio. I lavoratori trag– gono momentaneo vantaggio da questa trasformazione doganale, ma il risultato definitivo di essa è ridurre il lavoratore al minimo indispensabile all'esistenza. Infatti la legge economica sulla quale è assiso il sistema della libera concorrenza riduce il prezzo cli tutte le cose al costo di produzione. Ora il prezzo della forza di lavoro equivale al complesso dei mezzi di sosten– tamento che mantengono in ,·ita il lavoratore. Come la libera concorrenza impone fra i costi quello reputato minimo fra tutti, cosi il salario tende al più basso li– vello possibile. Qual sistema commerciale, dunque, le classi lavoratrici debbono scegliere? « Ma in generale - dice Marx - il sistema protezio~ nista è oggi conservatore, mentre il sistema della li– bertà commerciale è sovversivo. Esso distrugge le na– zioni già vecchie e spinge all'estremo il ·contrasto fra proletariato e borghesia. In una parola: il sistema della libert..'\ commerciale affretta la rivoluzione sociale. E soltanto in questo senso rivoluzionario, io voto per il libero scambio ».' Il punto di vista, dunque, del Marx, è quello che potrebbe dirsi produzionistico. L'interesse prospettivo e immediato delle classi lavoratrici è connesso allo sviluppo delle forze produttive. Ora le forze produt– tive si sviluppano successivamente attraverso due si– stemi contrari: il protezionista e il liberista. L1. classe lavoratrice - questa sembra la conclusione che deve ricavarsi - è condizionatamente favorevole I in un primo momento, al protezionismo; in un secondo, al liberismo. Questo modo di vedere è poi seguito dai socialisti tedeschi. Lo Schweitzer, successore di Lassalle nella direzione del movimento operaio, così giudicava intorno all'azione della classe lavoratrice cli fronte alla tariffa liberale proposta nel •870 dal Governo tedesco: « dal mio punto cli vista di partito si può sostenere l'aboli– zione o la diminuzione d'un dazio esistente soltanto in due casi. Prima, quando si ha da fare con un ramo d'industria che è in pieno sviluppo ed é perfettamente capace di concorrere con l'estero ... E nel caso op– posto1 quando cioè un ramo d 1 industria sta per morire ed è sul declinare. » Kel 1877, quandosi discusse intorno ai premi d'espor– tazione stabiliti dal Governo francese, Bracke elencò, come narra lo Schippel, la cui storia qui riassumiamo, i vari casi in cui il Partito socialista poteva esser fa– vorevole ad una politica protezionista. Tali casi pos– sono essenzialmente ridursi a due: o quando l'industria, pur essendo iendenzialmente capace di sviluppo, non è al presente in grado di sopportare la concorrenza dell'estero, o quando, essendo già stabilito un dazio in sè stesso non necessario, la sua eliminazione rea– girebbe in modo pericoloso sulla vita attuale del!' in– dustria stessa. Così vediamo la teoria dell'utilità di secondare lv sviluppo delle forze produttive, condurre !a democrazia socialista ad un'attitudine eminentemente opportunistica sul terreno della politica commerciale. . .. ì'\otisi ancora. La politica commerciale del Partito socialista, sino ad un ventennio addietro, è tutta fondata su cli un grossolano errore eco11omico e su cli una me==a verità dell'esperien=n volgare. L'errore economico è rap– presentato dalla cosidetta teoria del salario di bronzo, secondo la quale il lavoratore otterrebbe per il suo la– voro una rimunerazione appena rispondente alle esi– genze minime dell'esistenza. La. mezza verità dell'espe– r:1enzavolgare è che un complesso cli misure protezionisti– che possa sviluppare uno stato rudimentale d' industrie. 1 MARX, Ntde ii6,r die /•rare des Freilwndd$, :ippcndicc :ill:i Rlem1 der Philo$t1)Me. - Smttg:ut, ,892, p:ig. 188.

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