Il Socialismo - Anno I - n. 12 - 10 agosto 1902

182 IL SOCIALISMO come la vogliono i poeti, ma oramai gialla di pellagra e di miseria, come la vedono i nostri occhi vivi. Passo sulle condizioni generali, per cui in Sabina e in una parte dell'alta Umbria, l'emigrazione ha spo– polato le campagne; passo sulle descrizioni di miserie, nutrite di granturco fradicio, che i padroni concedono a credito ai contadini, e a prezzo di granturco ottimo, per non averlo potuto vendere sul mercato: miserie che rubano l'erba ai fossi e contendono al maiale le ghiande per alimentarsi! ... E vengo a qualche dato, di luogo e di fatto, più concreto. In moltissime parti dell'Orvietano, i contadini, lavo– ra'ndo fino all'estenuazione, non giungono mai a po– tersi nutrire intermittenlemenle di pane bianco e a so– stentarsi con un bicchier di vino. Vecchi cadenti, mi dicevano che da 50 anni essi stimavano propizia quel– l'annata in cui, nutrendosi di acqua e granturco fra– dicio, potevasi limitare a dieci o venti lire la cifra del debito annuale. Il pareggio neanche in tali condizioni è sperabile. 11 risparmio, un'utopia che non attraversa nessun cervello malato! La famosa mezzadria, in gran parte della campagna umbra, consiste nel dividere in due mucchi tutti i rac– colti, per indi prelevare, dal mucchio del contadino: 1° tulle le sementi per i prodotti che si debbono dividere; 2° tulle le sementi dei foraggi che debbono ali– mentare le bestie di proprietà esclusiva del padrone (collaia). Sì che, alla fine, il mucchio del contadino è ridotto a quell'agonia, cui porranno fine il debito annuale col veterinario, col fabbro e, principalissimo, col padrone. A questi oneri, già gravissimi, si aggiunge, nel patto colonico, una tassa di L. 5 per ettaro, che il contadino, non si sa perchè, deve pagare al padrone; una tassa di L. 0.50 che il contadino deve pagare (risum teueatisl) per le spese d'ammin;strazione, necessarie all'azienda ... del padrone. Se il contadino abita, anzichè sul podere, nel vicino caseggiato, deve pagare ugualmente il fitto della casa, ove abitano soltanto i buoi, le pecore e i maiali di pro– prietà padronale. Se la grandine o la peronospora tolgono interamente il prodotto dcli' uva.. il padrone segna ugualmente a debito del contadino un quintale d'uva, che in ogni modo gli dev'esser fornito, anche se le viti ... vi si rifiutano! A tutta questa armonia sociale, per cui il lavoratore della terra si trova esausto di forze nelle rnernbraue di speranze nel cuore, si aggiungono, spolpatrici di ossa squallide, l'usura e la camorra. L'usura, per la quale il padrone vende al contadino il granturco fradicio, per farglielo pagare a prezzo di merce buona; o cede, durante l'inverno un sacco di granturco, per ripigliare un sacco di grano, al raccolto; o fa venire lo zolfo che gli costa 20 lire al quintale, per farlo pagare alla vit~irna trenta centesimi al chilogramma. La camorra ... Merita la pena di citare qualche esempio che ancora vive e si perpetua da diecine di lustri. A Carnaio/a, presso Orvieto, esisteva un forno di pro– prietà comunale, di cui tutti potevano servirsi pagando una tassa, che il padrone antistava per conto del pro– prio colono. Come avviene spesso nei luoghi lontani dall'Amministrazione centrale, quel forno, da pùt di 40 mmi, è diventato proprietà di un privato, che se ne serve per esclusivo uso proprio. Ebbene? I contadini continuano da più di 40 anni a pagare la tassa per il forno, che non è più loro e del quale non possono servirsi! Ancora: dieci o quindici anni or sono, il proprie– tario del podere cedeva, per consuetudine, un po' d1 legna per il riscaldamento invernale del mezzadro. E il mezzadro stesso pagava, per la concessione, una tassa annua di una lira. Ora la legna non è più dai padroni accordata, ma il contadino seguita a pagare la sua tassa, per il benefizio... che da quindici anni non gode più! Allo stesso modo, con altri giochetti di bussolotti, il padrone giunge a scaricare sul collo del mezzadro tutta la tassa d'assicurazione contro l'incendio ... E a queste frodi materiali si accoppia spudorata– mente il più autentico feudalismo morale. Un giovanotto rende madre una ragazza e vuole sposarla. Il padrone glielo proibisce, minacciando di cacciarlo dal podere; gl' impedisce, cioè, di fare il ga– lantuomo. Ma il bravo contadino sposa ugualmente la ragazza e la lascia a casa dei suoi, lontana molti chi– lometri.. perchè il padrone, che non gli consente il pane, gli ruba anche l'amore! A Otricoli, presso Narni, un feudatario mette sul patto colonico che il mezzadro non possa appartenere a società politiche, nè a organizzazioni operaie! .. E basta così. Si capisce ora perchè anche i capitalisti dell'Italia centrale e settentrionale gridassero contro la libera voce di Enrico Ferri, che bollava le camo1-re del sud. Era, per essi, una questione di rivalità e, forse, di egemonia! Ma intanto, a parte gli strilli della borghesia e di chi ne sostiene gli interessi, di fronte alle odierne agi– tazioni agrarie, una questione, terribilmente minacciosa, rimane insoluta. Queste condizioni fatte ai mezzadri vogliono dire pellagra, tisi, denutrizione, malaria, morte, per infinite moltitudini di lavoratori. Nei conflitti eco– nomici, il Governo interviene a favore dei proprietari, contro gli affamati. I più generosi lo vogliono impar– ziale, neutrale. Ma è lecito domandare se, in nome di un diritto, che vince la transitorietà del conflitto e dell'ora che passa; in nome di un diritto, codificato nelle leggi e nei cuori, il Governo non possa e non debba interve– nire, ancl1e senza gli scioperi, non in nome deil' eco– nomia nazionale, ma in nome della vita nazionale, della pubblica salute, per togliere a pochi strozzini il diritto di vita e di morte, che essi esercitano spietatamente o indisturbatamente. Questi proprietari, grossi e piccini, che protestano se i contadini, mezzo morti di fame, rifiutano il foraggio alle bestie, questi pugnalatori dello stomaco, che ogni giorno infliggono un aggravio e impongono una pri– vazione, fanno ben qualcosa di maggiore e di peggiore, che non siano le sevizie e le lesioni contemplate nel Codice penale! La borghesia radicale avrebbe almeno l'obbligo di questa riparazione, di fronte a quella storica dell'89 che ricorda così spesso e così piacevolmente! Quanto a noi, socialisti, l'obbligo nostro, a mio avviso, è ben più grande. Noi dobbiamo dimostrare che la fetta di pane ottenuta in uno sciopero vittorioso è ben poca cosa, se non la condisca la viva fede di graduali progressi e non la difenda una precisa coscienza di classe. Noi dobbiamo, parlando non un po' meno d'organizzazione, ma un po' più di socialismo, far sì che il ministro Giolitti debba, un giorno, smentire l'af– fermazione di ieri, che le agitazioni proletarie non hanno nessun carattere politico! Altrimenti, dopo la vittoria, gl' incoscienti si assi– deranno tranquilli e si vedranno togliere, in un'astuzia d'amministrazione, il poco frutto di una grande bat– taglia campale.

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