Il Socialismo - Anno I - n. 12 - 10 agosto 1902

IL SOCIALISMO ,s, Marx, nella sua prefazione alla Critica delta econo– mia politica, qualifica come Rivoluzione sociale la trasfor– mazione - più o meno lenta o rapida - di tutta l' im– mensa sovrastruttura giuridica e politica della società, che emana dal cangiamento delle sue basi economiche. Se noi ci atteniamo a questa definizione, eliminiamo sin dal principio dal concetto della Rivoluzione sociale il « cangiamento delle basi economiche, » quali ne pro– dusse, per esempio, la macchina a vapore o la scoverta dcli' America. Questo cangiamento è la causa della Ri– voluzione, non la Rivoluzione stessa. Ma io non vorrei arrestarmi a questa definizione marxista della Rivoluzione sociale. La si può concepire anche in un senso più stretto, e in questo caso non ogni trasformazione della sovrastruttura giuridica e politica della società significa una Rivoluzione, ma intendesi per Rivoluzione una forma o un metodo particolare della trasformazione. Ogni socialista tende alla Rivoluzione sociale nel senso più ampio, e nondimeno vi sono socialisti che rigettano la Rivoluzione e vogliono raggiungere la trasfor– mazione sociale semplicemente con la Riforma. Alla Ri– voluzione sociale si contrappone la Riforma sociale. È questa controversia che oggi è discussa nelle nostre file, cd io qui tratterò semplicemente della Rivoluzione so– ciale in questo senso più stretto, come particolare me– wdo della trasformazione sociale. La controversia tra Riforma e Rivoluzione non si trova nella circostanza che in un caso sia adoperata violenza e nell'altro no. Ogni misura giuridica e politica è una misura violenta, che è eseguita dal potere dello Stato. E nemmeno particolari specie cl' impiego della violenza - (lotte di strada o esecuzioni) - formano l'essenziale di una Rivoluzione in opposizione alla Ri– forma. Esse nascono da particolari circostanze: non sono necessariamente collegate con una Rivoluzione e pos– sono accompagnare movimenti di Riforma. La costitu– r.ione dei deputati del 3° Stato come Assemblea nazionale di Francia nel 17 giugno 1789 fu un atto eminente– mente rivoluzionario, senza nessuna attività violenta esteriore. La stessa Francia aveva viste invece nel 1774 e nel 1775 grandi insurrezioni, al solo scopo minima– mente rivoluzionario di ottenere un prezzo fisso del pane che doveva porre un termine al suo incarimento. Ma l'accenno alle lotte di strada o alle esecuzioni come note caratteristiche della Rivoluzione è contem– poraneamente una fonte, dalla quale noi possiamo attin– gere istruzione sull'essenza della Rivoluzione. La grande trasformazione, che incominciò in Francia nel 1 789 è divenuta il tipo classico di ogni Rivoluzione. In essa noi possiamo studiare meglio l'essenza della Rivoluzione e anche la sua opposizione alla Riforma. La Rivoluzione fu preceduta da una serie di tentativi di Riforma, tra i quali sono maggiormente noti quelli di Turgot - ten– tativi, che, in molti rapporti, aspirano a quello stesso che eseguì poi la Rivoluzione. Che cosa distingueva le Riforme di Turgot dalle corrispondenti misure della Ri– voluzione? La differenza tra le due era la conquista del potere politico fatta da. una nuova classe. In ciò sta la differenza essenziale tra Rivoluzione e Riforma. Misure, che tendono ad adattare la sovrastruttura giuridica e politica della società alle cangiate condizioni economiche, sono Riforme, se partono dalle classi, che sin allora hanno dominato politicamente ed economi– camente la società - esse sono Riforme, anche quando non siano date spontaneamente, ma sieno strappate dalla ressa delle classi dominate o dal potere delle circostanze. Tali misure sono invece emanazioni cl' una Rivoluzione, se esse partono da una classe, che sinora sia stata eco– nomicamente e politicamente oppressa e che abbia con– quistato ora il potere politico, che essa deve necessa– riamente utilizzare, nel suo proprio interesse, a trasfor- e nnco mare più o meno rapidamente, tutta la sovrastruttura giuridica o politica ed a creare nuove forme della coo– perazione sociale. La conquista del potere dello Stato, fatta da una classe sinora oppressa, cioè la Rivoluzione politica, è quindi una essenziale nota caratteristica della Rivolu– zione sociale nello stretto senso, in opposizione alla Ri– forma sociale. Chi respinge per principio la rivoluzione politica come mezzo della trasformazione sociale, o vuol limitare questa a quelle misure che devono ottenersi dalle classi dominanti, è un riformatore sociale, per quanto il suo ideale sociale possa essere opposto alla forma sociale esistente. E' invece un rivoluzionario chi vuole che una classe finora oppressa conquisti il potere dello Stato. Esso non perde questo carattere, se vuol preparare ed acce– lerare questa conquista con riforme sociali che egli cerca di strappare alle classi dominanti. Non la /enden:a alle riforme sociali, ma la espressa limitazione ad as~c distingue il riformatore dal rivoluzionario sociale. D'altra parte diviene una Rivoluzione sociale solo quella Rivolu:;ione politica, che parte da una dasse finora socialmente oppressa, la quale è costretta a com– pletare la sua emancipazione politica con la sua eman– cipazione sociale, poichè la sua passata posizione sociale si trova in inconciliabile conflitto col suo dominio po– litico. Una discordia nelle classi dominanti, per quanto essa. possa assumere le forme più violenti di una guerra civile, non è una Rivoluzione sociale. Karl Kautsky, La truffa della mezzadria. conservatori - anche quelli che, con eufemismo pio, noi amiamo chiamar presbiti - mentre assistono, indifferenti spesso, talvolta benevoli, agli scioperi, al– l'organizzazione, alla resistenza degli operai industriali, si spaventano ora di fronte alle agitazioni dei lavora– tori della terra e mascherano di amor patrio la loro difesa in favore dell'agricoltura, quando anche sotto quella difesa altro non si celi che la paura e la prote– zione della proprietà, minacciata nelle aride briciole del reddito fondiario. Nessuno, tra il cozzo delle due resistenze, operaia e proprietaria, ha reso responsabili i capitalisti del– l'eventuale danno che alla produzione frumentaria o vinicola possa derivare. E il ragionamento, nella logica grassa dei nostri latifondisti, è liscio e scorrevole come slitta sul ghiaccio. Essi dicono, infatti: Se i lavoratori della terra vo– gliono strapparci più alte mercedi, che a noi non piace di accordare, essi provocano naturalmente, per rea– zione, la nostra resistenza; dalla quale, a sua volta, deriva l'abbandono dei campi, la decimazione dei pro– dotti, il danno alla ricchezza agricola nazionale. Dun– que la causa prima di questo danno è... la resistenza dei lavoratori della terra! li ragionamento, nelle sue parti grammaticali e sin– tattiche è perfetto. E tanto più perfetto appare, in quanto che nessuno si è curato di dimostrare se non sia giusta la resistenza dei contadini e se, per converso, non sia iniqua la reazione dei proprietarii. Esaminiamo dunque serenamente alcune cause lo– cali, che possono aver determinato gli odierni scioperi agrari, ed esaminiamole appunto in quelle regioni dove, invidiato dai proletari della campagna settentrionale, vige il beato sistema della mezzadria, a cui piovono tutti gl' inni bucolici e georgici dei conservatori italiani. . .. Ho raccolto questi dati in un lungo giro di propa~ ganda e cli organizzazione, traverso l'Umbria, non verde

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