La Rivoluzione Liberale - anno II - n. 11 - 24 aprile 1923

46 ILLIBERISMO NELINL'TERNAZIONALE Caro Gobettì, m'è accaduto più volte, trovandomi a discutere delle mie idee con persone colte, di dover constàtare, per le domande rivoltemi e per le obbiezioni mosse1ni, che il movimento anarchico, che pure fa parte, e non piccola, della storia. del socialismo, è o semi-ignorato o malame!fte conosciuto. Non mi son-01 quindil stupito, leggendo l'articolo del prof. Gaetano ll1osca sul materialismo storico, nel Yedere annoverato tra i socialisti ntopiSti il Proudhon, che rimarrebbe mortificato nel vedersi posto a braccetto con quel Blanc, che egli saettò con la più aspra ironia per aver posto « l'Eguaglianza a sinistra, la Libertà a destra e la Fratellanza in mezzo, come il Cristo Ira il buono e il cattivo ladrone». Per esclude.re il Prottdhon dagli scodellatori della zuppa comunista, basterebbe la critica alla formula, che divenne poi il credo Krapotkiniano, « da ciascuno secondo le sue fqrze ed a ciascuno secondo i suoi bisogni,,, formula che egli chiama una cos-zdstica avvocatesca, poichè non vede chi potrà fare la valutazione delle capacità e chi sai-à giudice dei bisogni. (Cfr. L'Idée générale de I.a Ré1Jolution au dix~newvièm.e siècle. - Garnier, Paris, 1851, p. 108). L'errore ìu cui è caduto il .Mosca è interessante, poichè dimostra come sia sfuggito a molti studiosi della storia del socialismo questa verità: che il collettivismo dell'Internazionale ebbe un T"alore essenzialmente critico. Fatto che è stato negato anche da alcuni anarchici, come da L. Fabbri, che sostiene essere l'anarchismo « tradizionalmente e storicamente socialista ~ in quanto ha per base della sua dottrina economica < la sostituzione della proprietà socializzata alla proprietà individuale• (clr. Lette·1·ead mi socfol.ista; Pensiero - r910, n. 14J p. 213). Basta una rapida scorsa alla storia della I.a Internazionale per smentire questa affermazione. L'Internazionale nacque in Francia, nell'atmosfera ideologica del mutualismo proudhoniano 1 e, come dice :Marx in una sua lettera relativa al Congresso di Ginev-ra (1866), non aveva, nel suo primo tempo, espressa alcuna idea collettivista nè comunista. Il rapporto Longuet nel Congresso di Losanna (1867) dimostra che Proudhon dominava ancora. E tale dominio si riscontra nel Congresso di Bruxelles (1868), in cui, tuttavia, si affacciò l'idea collettiv;sta, ma in modo generico e limitata alla proprietà fondiaria e alle vie di comunicazione. La collettivizzazione affermata nel IV Congresso, quello di Basilea (1869), fu limitata al suolo. L'influénza praudhoniana 0 dunque, è parallela all'anti-comunismo e all'auticollettivismo. Al co1lettidsmo aderirono Bak.ounine e seguaci, ma t"edendo in esso più che un progetto di forma economica, una formula di negazione della proprietà capita.lista. Bakounine era entusiasta di Proudhon. Egli (Cfr. Oeu11res, I, 13-26-29)esalta il liberismo nord-americano [non erano ancora sorti i trusts], e dice e La libertà dell'industria e del commercio è certamente una gran cosa, ed è una delle basi essenziali della futura alleanza internazionale fra tutti i popoli del mondo ». E ancora : « I paesi d'Europa OYe il commercio e l'industria godono comparativamente della più grande libertà, hanno raggiunto il più alto grado di sviluppo,. L'entusiasmo per il liberismo non gli impedisce di riconoscere che fino a quando esisteranno i goYerni accentrati e il la...-oro sarà servo del capitale e la libertà economica non sarà diretta111,ente vantaggiosa che alla borghesia>. In quel direttamente vi è una seconda riserva. In· fatti egli vedeva nella libertà economica una molla di azione per la classe borghese, che egli afferma essere ingiusto considerare estranea al Javoro (Cfr. Oeuwes, Ì, pp. 30 e segg.), e non poteva non riconoscere la fw1zione storica del capitalismo attivo. Interessanti sono anch-e i mo· tivi delle simpatie del B. per il liberalismo nordamericano, poichè ci spiegano che cosa egli intendesse per proprietà. Il B. fa presente che iI sistema liberista nordamericano ~ attira ogni anno centinaia di mig1iaia di coloni energici, industriosi ed intelligenti,, e uon si impressiona punto all'idea che costoro divengano, o tentino divenire, proprietarL Anzi, si compiace che vi siano coloni che emigrano nel Far West e vi dissodino la terra, dopo essersela appropriata, e 11ota che < la presenza di terre libere e la possibilità per l'operaio di diventare proprietario, mantiene i salari ad una notevole altezza ed assicura l'indipendenza del lavoratore, (CJr. Oe1•wes, I, 29). La concezione del valore energetico dell.a proprietà, frutto del proprio lavoro, è la nota fondamentale della ideologia economica del B. e dei suoi più diretti seguaci. Tra questi Adh/:mar &hwitzguébel, che nei suoi scritti (Cfr. Quelques écrits, a cura di J. Guillaume, Stock, Paris, pagina 40 e seguenti) sostiene che l'espropriazi011e rivoluzionaria deve tendere a concedere ad ogni produttore il capitale necessario a far valere il suo lavoro. La dimostrazione storica dell'anti-comunismo bakunista sta nel falli> che le tenden,re comuniste nell'Internazionale italiana trionfarono nel 1867, quando l'attività del Bakounine era quasi interamente sospesa (Cfr. Introd. del Guillaume alle Oeuwes de B., p. XX) e nel fatto che in Spagna, ove l'Alleanza aveva piantato profonde radici, perdura una corrente anarchica collettivista -in sen,;o bakunista, LA RIVOLUZIONE LIBERALE Se il colletti11ismo dell'Internazionale fosse stato compreso dal•l\1azzini non ci sarebbe stato il fenomeno della sua critica a.nti•conu,nista. Cosl criticava il ì\!fazziui: « L'lnterna.zi.onale è la negazione di ogni proprietà inclividuale, cioè di ogni stimolo alla produzione . . Chi lavora e produce, ba diritto ai frutti del suo lavoro: in ciò risiede il diritto di proprietà ... Bisogna tende1·e a.Ila c1·ea.zionc d'11,n ordine d,i cose in c.11,i la, p·roprietà non possa. più di11en.tare -nn. m.ouo• poUo, e non pro11e1i.ga. nel futuro che dal, la11oro it. SaYerio Friscia, nella « Risposta cli un inter11a1.:io11alista a Mazzini », (pubblicata sopra il giornale baknnista L'Eg1taglian.za di Girgeuti, e ripubblicata clal Guillaume, che la trova superba e l'approrn toto col'de [Cfr. Oe,wres de B., vol VI, pp. 137-140]) rispondeva: , Il socialismo non ha aucora detto la sua ultima parola; ma esso non. nega. ogni proprietà· ·individuale. Come lo potrebbe, se combatte la proprietà individuale (leggi : ca.pital-ista) del suolo, per la necessitii che ogni individuo abbia "" diritto assol·1•to di. proprietà su ciò che ha prodotto? Come lo potrebbe se 1iassioma « chi lavora ba diritto ai frutti del suo lavoro », costituisce una delle basi fondamentali delle nuove teorie sociali? •. E dopo aver analizzato le critiche d~l Mazzini, esclama : « :Ma non è questo del puro socialismo? Che cosa volevano Lerou .. x e Proudho11, N!arx e Bakuniu, se non· che la proprietà sia il frutto del lavoro? E il principio che ogni uomo deve essere retribuito in proporzione alle sue opere, 110n risponde forse a quell'ineguaglianza di attitttdini e di forze ov~ il socialismo vede la base dell'egu.aglianza e della solidarietà umana? >). 111 questa risposta del Friscia è netta l'opposizione Clelia proprietà per tutti alla proprietà monopolistica cli alcuni; il principio dell'eguaglianza relativa (economica); ed in fine il principio dello stimolo al lavoro rappresentato dalla ricompensa proporzionata, automaticamente, alle opere. Non peusi, caro Gobetti, che potrebbe essere utile, su R. L., una se1·ie di studi. sul libet-alismo economico nel socialismo? Credo colmerebbe una grande lactu1a e le'verebbe di mezzo molti e vecchi equivoci. Credo ne risulterebbe, fra le tante cose interessanti, questa verità storica: essere stati gli anarchici, in seno all'Internazionale, i liberali del· socialismo. Storicamente, cioè nella loro funzione di critica e cli opposizione al çomunismo autori~rio e centralizzatore, lo sono tutt'ora. Tuo C. BERNERI. LES . DEMI ~ S(JLDES Durante il pe1iodo della , dittatttra » giolittiaua il partito socialista era stato quasi .maturato per diYenta.re partito legalitario. Se rambiente parlamentase presentava ancora qu~lcbe astaco· lo da. supera.re. qualche compromesso da trattare, la struthu·a e lo spilito generale delle organizzazioni si erano modellati già sufficientemente alla struttura ed allo spirito burocratico, unica realtà - triste realtà - esistente dell'organismo statale in ·1talia. E' t!ll punto della storia italiana dell'aYanti guerra, illuminato in viva luce dalla indagine cli ~1ario lVIissiroli, nella Nlonarchfo SO• eiali.sta. • La guerra di Libia provocò ·uno scarto fatale non tanto per la crisi suscitata con la secessione di Bissolati e dei suoi amici, qu,auto pel fatto che il partito socialista si trovò disorientato, ricacciato all 'inclietro di aìcuni anni e ancora da.vanti a un nuovo é ormai sterile processo di revisione del proprio bagaglio ideologico, che era stato messo er: in soffitta» e stava bene li. Il pa,rtito socialista, ·che, nella .sua maggioranza, era· cli,·entato così alieno e cosi impreparato alla rivoluzione (lo spirito delle masse non permetteva di amn1011ire che rivoluzione significava privazione) ; tuttavia ancora una volta fu padroneggiato precisamente da quei ritnasngli rivoluzionari che per pigrizia morale o pe~· calcolo di miope furberia si ci era adattati a tenersi in casa, c01ne nna riserva per i tempi incerti. Fu quella la prima ca,111,pagna di Benito Mussolini contro il socialismo italiano, ed io sono persuaso che fece più male allora, che era nel partito in una posizione preminente, che dopo che n'è uscito. L'azione dissolvente di :Mussolini in seno al partito,- nel periodo 1912-14, culminata nella strage di polli e in altri goffi vandalismi perpetrati nella famosa a: settimana rossa » ha lasciato un mal seme di nuove equivoche velleità riYoluzionarie in un partito che aveva già voltato le spalle alla 1ivoluzione. Serrati ora 11011 fa che ripetere, 111-utatis m,1t.ta.1uìis, gli atteggiamenti 1nussoliniani, e questo fatto è una misura sufficiente deUa inferiorità di Serrati di fronte a Mussolini e del nuovo e maggior male che, dopo Mussolini, ha cagionato Serrati al al suo partito, dalla fi11edella guerra in qua. Eppure, malgrado le derivazioni e le involuzioni, per le quali il partito socialista si trovò mal preparato davanti al grande evento della guen:a <::uropea, esso era già di spirito tanto conservatore che per istinto, più che per una detcrn.tina- 'l..ionemo.turata dallo studio delle cause, fu contrario alla guerra 1 insie1ne coi cattolici e con Giolitti. Alla prima ventata foriera del più vasto uragano che si stava per rovesciare sull'Europa, e che avrebbe sconvolto quell'equi1ib1;0 economico, nel quale sola.mente era possibile la graduale ascensione delle classi 1ne110 abbienti, e il loro assorbimento entro l'ambito delle istituzioni, il partito socialista ebbe la paura pi ì1 che la comprensfone del pericolo imminente, abbandonò armi e bagagli sul non glorioso campo rivoluzionario, dimenticò le recenti schermaglie parlamentari contro Giolitti, e rientrò nelle file conservatricigiolittiane. E' vero che Jo fece senr,a una co- .sden?.a precisa di ciò che faceva e senza capfre tutto l'intimo significato de11'avvcniment.o, a cui portava un così notevole contributo. Schierandosi di fatto coi neutralisti, esso non capl il signi• ficato storico del cosl detlo 11culralismo, che significava conservazione dei valori europei, equilibrio, mercè il quale poteva attuarsi un programma riformista. r socialisti, i cattolici e Giolitti, con altri pochi gruppi isolali, in gran parte d'intellettuali, sono stati gli ultimi veri conservatori d'Italia, alla vigilia della guerra. I socialisti ebbero una vaga intlliz;ione di ciò, sentirono per istinto di conservazione che dovevano volere anche la conservazione politico-ecouomica europea, e dovevano quindi rientrare nel programma legalitario giolitliano, dal quale la prepotente minoranza mussoliuiana li aveva fatti allontanare uel '12. Furono guidati da questo istinto, ma il pensie.-o era intorbidato dal rivoluzionarismo la· tente, ed avevano quasi verg~na di quello che facevano: versavano fiumi di lag-rilue espiato1ie sul 1nisero Belgio1 e Tonino Graziadei faceva l'uomo preoccupato di obbietti,-:-ità, pesando il pro e il contro dell'intervento sulle bilandne del farmacista. :Mussolini, l'ispiratore della« settimana rossa», uscì dalle file socialiste, e fu per la guerra. La scissione si verificava su di una ·linea perfettamente logica. La neutralità era il bisogno di conservazione; 1'iutervento, la guerra era la porta aperta alla rivoluzione: era logico che per quella passasse Ninssoli11i. Questi, nel 1915, si trovava in una direzione ideale molto vicina a quella di Lenin e dei suoi amici, i futuri bolscevichi, i quali infatti, gioirono anch'essi dal loro esilio svizzero dell'entrata in guerra della Russia. Se 11011che, logico nel :,uo slancio iniziale e nelle sue linee generiche, anche il fascismo nasceva -coi suoi equivoci organici. Uscito dall'equivoco socialista (un conservatofismo che crede suprema sapienza tenersi in riserva una ritirata rivoluzionaria) entrava nell'equivoco delle varie tendenze eterogenee che determinarono 1 'interve~- to jtaliano, sotto la spinta di idee e sentimenti cliversissimi e contrastanti : da una parte le tendenze democratiche per quel complesso di ideologie sopravviventi, le quali si possono con abbastanza approssimazione indicare sotto il titolo di « wi.lsonismo », e che ebbero la più caratteristica espressione nella frase bissolatiana: Soldato dell'Intesa (dell'Intesa, non dell'Italia); da una altra parte le tendenze dei partiti di destra e nazionalisti, i quali considerarono anche questa gtterra -alla stregua delle altre, come un gioco di forze, dentro le quali era opportuno far giocare anche quelle ilaliane, •per risoh·ere alcuni problemi particolari sciaguratamente non r~solti a tempo debito e rimasti anacronisticamente sospesi1 o per ottenere particolari vantaggi economici, coloniali, ecc. (Sacro egoismo). Nè l'una nè l'altra tendenza pensava che quelle ideologie sarebbero naufragate e quegli interessi sarebbero stati sof- • focati dentro l'ondata oceanica, nella quale mescolavano e confondeYai10, senza sapere pet quanto tempo, le nostre modeste acque mediterranee. Il fascismo - bisogna riconoscerlo - durante la guerra e subjto dopo non fu un beueficiatio, ma piuttosto tilla vittima di quelle alleanze e di quegli eqni\·oci. Esso portò a combattere sotto le bandiere regie elementi anarcoidi schiettamente rivoluzionari, e subito dopo Versailles dovette partecipare della responsabilità delle disillusioni nazionali. La sua posizione fu poi aggravata da] fatto che esso poteva tauto meno giustificare la propria condotta davanti ai suoi proselili, iu quanto che il fiue ultimo della sua azio11e veni,a a mancare: l'Italia, malgrado tutto, 11011faceva la rivo]uzione, quella rivoluzioue che 3C fosse scoppiata anche ne1la pri1navera o nell'estate clel 1919, avrebbe ritrovato alla sua testa molto più probabilmente Mussolini e i comunisti torinesi che Turati, Treves e lo stesso Serrati. Invece il socialismo, alla fine della guerra, si trovaYa in una situazione prh·i1egiata di fronte a grandi masse, nelle quali facilmente si radicava la convinzione nelle virtt\ profetiche dei capi. Questi si trovavru10, con poca fatica, davanti ad un bel tesoretto costituito dalla fiducia popolare. Tn quel momento bastava che il socialismo c011tinuasse per la sua straLla1 ritrovala quasi per caso durante la crisi della neutralità, e che sfrnllasse tutti i vaulaggi cl1e presentava il programma giolittiano di Drouero, per la effettuazione di un'azione di governo sociaJ-democratico. Esso, infine, doveva intttire questa consegtienza rigidamente logica degli avvenimenti precedenti: che, non avendo voluta la guerra, 11011poteva volere la ri voh1zione. Che se poi si sentiva proprio ripullulare in seno i bollenti spiriti, e, andando a ritroso del proprio cammino. voleva saltare un'altra volta il fosso della rivoluzione, allora non doveva perdere l'unica occasioue che gli si pre(ieuta1;a1 quando migliaia di e <"ompagni > e migliaia di malcoutenti erano ancora sol~ati ed aveYano an~ra in mano le armi ed ancora nello spirito, l'abitudme di maueggiarle indifferentemente; doveva attua: re l'unica 1ivolu.zione possibile, la rivoluzione d1 quelli che tornavano dalla trincea, e non trovavano lavoro. In questo caso, ~on rapida 1nossa, doveva « smobilitare , la sua propaganda .di guerra e , mobilitare » una· propaganda con tutt'altro spirito, che andava diretta tra' .le fila dei reduci. E, come primà conseguenza di questo rovescia: 111 entq ai prograJnma, doveva met~ere da_P3:1"tegh elementi rifonnisti (conservatori) e richiamare a sè O allearsi con Mussolini. Non fece niente di tutto questo : lasciò che i I governo d!sarmas~~ . i proletari e armasse la Guardia regia : lasc10 che 1nconstùti rancori e sordidi egoismi umiliassero e invelenissero i reduci; lasciò che gli orgaU:izzatori ripetessero su più vasta scala gli erro1i del 1912-13, fino al pietoso conato dell'occupazione delle fabbriche. Il socialismo, con le sue ta"nte e ricche organizzazioni, con le sue fitte schiere, con la sua bella disciplina, col prestigio acquistato durante la guerra, e non solo in mezzo al proletariato, sperperaYa in pochi mesi queste ricchezze come un qualsiasi pescec~- ue senza cervello. In queste circostanze era fatale che tornasse 1 'ora di lviussolini, a breve scadenza; ma era ugnaltneùte fatale che, tornando per effetto di una mancata chiarificazione del socialismo, dovesse sentire esso stessoJ per contraccolpo, nel proprio seno, gli effetti funesti di quel fatto. Il programma dei fasd, steso ùa Mussolini - si ricordi - non prima ·dell'autunno del 1919, lasciava ancora aperte le porte a tutte le eventualità rivoluzionarie (riconoscimento delle principali rivendicazioni proletarie, sindacalismo, nessuna pregiudiziale sul regime, la Costituente, ecc.). i\1ussolini era tutt'altro che sicuro di quello che l'avvenire poteva riservare, e con gelosa cura si conservava ampia libertà di 1novimenti. ì\-Ia l'errore socialista lo costrinse a rimanere nelle ibride alleanze di gue;·ra (destra e nazionalismo) e ad inquadrare le proprie masse - alle quali doveva dare uno sfogo - in quella che è stata ed è ancora la parte più odiosa dell'azione fascista, lotta di proletari contro proletari, la quale viene aizzata e sfruttata da interessi ristretti, egoistici, sordidi, che hanno giustificata ampiamente la frase dannunziana dello « schiavismo agra.rio ». Malgrado tutto questo risucchio di equivoci, che è andato salendo da mesi, malgrado il peggiore di tutti gli equivoci, cioè i menzogneri ed ipocriti , blocchi » delle elezioni del '21, io penso che il pernio della lotta tra socialisti e fascisti resti sempre il problema non risolto nel 1918-19, alla fine della guerra, vale a dire eminente.mente un problema di disoccupazione. Il socialismo non. capi questo fatto, che saltava agli occhi di tutti, che specialmente dopo la guerra il proleta1-iato non si esauriva nei tesserati delle cru.nere del lavoro; che s'era fonnato un Yasto proletariato ai • margini della· borghesia, forse difficile ad individuare ed irregimentare, perchè composto in buona parte di spostati, ma che appunto per questo richiedeva tutta l'attenzione e le cure di organiLzatori sagaci, per non lasciarselo sfuggire. Bisognava ricordare che le « giornate di luglio» in Francia, furono in buona parte 1'opera degli spostati delle guerre napoleoniche, dei d.enii-soldes. La rivoluzione fascista, a cui assistiamo· oggi in Italia, ba molti punti di contatto col fenomeno francese del 1830. Al chiudersi della guerra, si a,·anzava una schiera eterogenea di parla, che si trovava in una condizione molto 'inferiore a quella del proletariato organizzato. Questo negò loro cli riconoscerli, per uno spirito di chiuso ed avaro conservatorismo; lo stato li abbandonò a se stessi .. Dopo pochi mesi quelle classi di diseredati, cacciate dal bisogno, si avYentaYa.no all'assalto più facile e pitì promettente di bottino, quello delle organizzazioni dei proletari tesserati, i loro parenti benestanti. Un episodio della lotta di popolo niagro coutro popolo grasso. Gli interessi agrari, industriali, ecc., ha11uo' sfruttata una lotta, che, messa iu termini econon1ici, è stata di vera e propria concorreuz...1., giocando al ribasso sulla clisoccupa1,ione, avendo di m.ira precipuamente la di.minuzione del tasso dei salari. .:\Luno VINCIGUF.RIU\. (Da ll fascismo 11-istoda "" solita.rio di prossima pnbblica,c.ione presso l'eclitore Piero Gobetti). PIERO □□BETTI - Editol'e TORINO • Via XX Seltembre, 60 :Jmminenli I due studi pi1ì ccnnpl-eli sul. fe-nomeno fascista: LUIGI SA[,VATOR[ì[,[,I NAZIONALFASOISMO Lire 6 MARIO VINCIGUERRA IL FASCISMO visto da un solitario Lire 5

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